10 marzo 2006

exibinterviste – la giovane arte Donatella di Cicco

 
Focus sull’italianità di inizio secolo, tra pose antiche e maschere (e omologazioni) nuove di zecca. A tu per tu con Donatella di Cicco. Che racconta il suo lavoro e difende l’esigenza di stare a lamentarsi…

di

Artista e basta?
No, anzi. E in questo periodo della mia vita neanche lo desidero veramente: probabilmente non troverei più argomenti su cui lavorare.

Che formazione hai?
Accademia di belle arti, scuola di fotografia e corsi vari.

Vuoi presentarci le tue foto?
M’interessano situazioni legate alla cultura di massa, ai comportamenti e alle aspirazioni che essa può generare. In particolare mi piacciono alcuni atteggiamenti dell’italianità. Attualmente mi sto avvicinando di più alle storie delle persone, in particolare a quelle che per me diventano uniche proprio per il loro modo di essere uguali a tutte le altre.

Perché i titoli in inglese?
Li uso proprio per sottolineare un certo provincialismo: come quando non conoscendo bene determinati argomenti, non solo si finge di saperne qualcosa, ma si ostenta anche una certa sicurezza.

Meglio viaggiare o guardare il mondo da casa?
Ho sempre pensato che per parlare in maniera universale bisogna restringere la ricerca, anziché ampliarla. Meglio concentrarsi su una realtà, ovunque essa sia, e andare fino in fondo. Credo sia inutile rincorrere situazioni in giro per il mondo. E poi si arriva sempre in ritardo. O almeno è così per me.
Donatella di Cicco, Under 50, stampa lambda su alluminio e plexiglas, 2005
Influenze?
Ho sempre ammirato gli artisti che fanno un lavoro rigoroso, austero e asciutto. Così come quelli con un’ironia dissacrante ma disincantata. La risata che dura poco non mi coinvolge. In generale credo di avere bisogno di qualcosa che mi emozioni.

Qualche riferimento preciso?
Per l’impostazione e il rigore ho guardato molto la fotografia di August Sander e di Diane Arbus. Poi, il cinema duro alla Michael Haneke (ma anche quello di Ken Loach) e le scene romantiche e un po’ grottesche dei film dalla colonna sonora intensa. Mi viene in mente una scena de L’uomo senza passato, il film di Aki Kaurismäki: c’è lui che entra nel locale e con una certa sicurezza prende per mano la sua donna; poi se ne vanno in silenzio, insieme, sulle note romanticissime di una cantante dal viso segnato.

Quale la tua mostra migliore?
Non ne ho fatte molte. Ogni volta mi dico: “ecco, questa è la mostra più bella che hai fatto”. Poi cambio idea, subito, dopo mezz’ora. E allora arriva lo sconforto. Sarà che adoro lamentarmi, che non ho voglia di rinunciare alle serate con gli amici a bere e a discutere del fatto che tutto va male.

E il cosiddetto “sistema dell’arte”?
Penso che un buon lavoro, soprattutto se è serio, prima o poi esce fuori. Ingenua?
Donatella di Cicco, Like sisters, stampa lambda su alluminio e plexiglas, 2005
Chissà. A questo punto descriviti…
Cerco di avere un atteggiamento equilibrato, né presuntuoso né troppo umile, che diventerebbe sennò la stessa cosa. Nel lavoro come nella vita credo molto nel rispetto. Forse sono troppo insistente nelle cose. Questo se da un lato mi spinge positivamente, dall’altro non mi fa capire quando devo fermarmi.

E la politica?
La politica è dappertutto! Mi fanno rabbia quelli che se ne escono col classico “no, non m’interessa” quando si parla di politica. Certo, anch’io conosco solo il nome del politico di turno a cui dire le parolacce…

Una persona che pensi di dover ringraziare?
Mi capita d’incontrare persone che stimo molto e che nel tempo mi hanno dato consigli.

Dai, almeno un nome!
In realtà sono sempre in attesa del critico della mia vita, quello serio e intelligente che capisce tutto senza che tu apra bocca. Ma poi penso: perché mai dovrebbe venire proprio da me?

la rubrica exibinterviste – la giovane arte è a cura di pericle guaglianone

bio: Donatella di Cicco (Napoli, 1971) vive tra Napoli e Milano. Ha vinto diversi premi, tra i quali: Fondazione Sandretto Re Rebaudengo 2003 (ex equo); European Agfa Digital Portrait Award 2000 (ex equo). Tra le personali: Life opportunity, Antonio Battaglia, Roma (2006); Mirage, Antonio Colombo, Milano (2003). Tra le collettive: La strada, 17°ed. Fuori Uso, ex capannone ortofrutticolo, Pescara; Italian Camera, S. Servolo, Venezia (2005); Spread in Prato, Prato; All Tomorrow Parties, Gallery Zyono, Belgrado; GE/04, Galleria d’arte moderna, Palermo; Da Guarene all’Etna03 (FSRR) Guarene d’Alba (CN); In faccia al mondo. Il ritratto contemporaneo nel medium fotografico, Villa Croce, Museo d’Arte contemporanea, Genova; Assenze/presenze, le Boutanique, Bruxelles; Prototipi.02 Fondazione Olivetti, Roma (2003), Periscopio 2002, Posteria, Milano; Last Minute, Vecchio Ospedale Soave, Codogno, Lodi; Via Satellite, Mercati di Traiano, Roma; Blind Date, Via Farini, Milano; Passaggio di testimone, Padiglione Italia, Venezia (2002); International fototage Herten vision of Europe, Das Bild Forum, Herten, Germania (2001).

[exibart]



6 Commenti

  1. Questa rubrica è un’arma a doppio taglio e lo dimostrano le brutte figure che spesso fanno i giovani soprattutto.
    Questa è un’intervista molto puerile, spiegatemi il suo senso di esistere…
    Se non avete niente da dire perchè accettate di esser intervistati? Sarebbe meglio un autoritratto…una bella fotografia, magari 4000×5000 pixel.

  2. x Giovanni Ricciardi, i tuoi quadri sono dannatamente belli. C’e’ un pò di Salle e non solo, anche io cerco in quella direzione, a modo mio. In merito alle interviste beh…Che dire? Diciamo che poi uno si stufa pure di venire sul sito…

  3. il lavoro-solo il lavoro determina la qualità di un artisti-le chiacchiere devono stare a zero—servono a chi intervista—il lavoro di un artista cambia con l’incontro con la vita—-posso fare delle affermazioni momentanee in progress è l’andare—–inoltre occorre un substrato culturale e gli incontri opportuni per aver qualcosa da esprimere —ho parliamo della nostra prima colazione e la notte passata insonne—forse viviamo del tempo del chiacchiericcio inutile—-tutti hanno diritto di farsi intervistare ma se poi non hai niente da comunicare?forse dobbiamo rivedere le nostre opportunità—studiare di più—è venuto il tempo del silenzio meditato—del riguardare la natura e viaggiare nei pensieri di un silenzio meditato– l’abbracciare un semplice albero e comunicare con esso–non stiamo mica alla prima comunione o al battesimo del pupo?un saluto affettuoso–antonio

  4. mi meraviglio di te, di cicco!
    E adesso? Chissa’ cosa pensera’ l’ultimo critico di turno che ti ha (si fa per dire) curato in 3×2 ora che non ti sei genuflessa a baciare il suolo dove lui e’ frusciato! e il gallerista? Ma come,non citi il gallerista? non e’ l’uomo che ti ha cambiato la vita? no, dai… non si fa.
    tieni conto che e’ gente che campa di queste lisciatine di pelo. e’ bene che tu lo sappia: non sono piu’ tuo amico. al massimo potrei propormi come tuo curatore ma temo tu debba prima dilapidare tesori di talento per giungere infine umiliata e vinta ai miei piedi…
    [intendiamoci: se entri nella mia scuderia le interviste te le visto in anticipo]
    Inutile dire che attendo anche le mirabolanti “cose da dire” che per certo avranno questi soloni che ti citano per vacuita’. Chi e’ senza poeti scagli la prima cetra!

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