24 novembre 2006

exibinterviste – la giovane arte Pietro Ruffo

 
Apologia delle stratificazioni, architettoniche e biologiche. E del lavoro no-stop, dalle nove alle sette di sera. Direttamente dal romano Pastificio Cerere. Con una nota polemica nei confronti della critica…

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Quanto lavora l’artista? Io del lavoro ho una concezione da impiegato. Inizio alle 9 e stacco alle 19. E non ho mai dipinto di notte dopo una sbronza. Sono, penso, ciò che più è distante dal cliché dell’artista bohémien. Sarà perché quando non lavoro divento estremamente pigro.

Come hai cominciato?

Da ragazzino avevo idee ben diverse. Poi, verso i 15 anni, ho iniziato a frequentare lo studio dell’artista francese Veaute. Là ho avuto un primo approccio, materiale, con l’arte. In seguito mi sono iscritto ad Architettura, ho iniziato a dipingere e a fare le prime mostre. Dopo qualche anno ho sentito che questa poteva diventare la mia attività.

Su cosa verte la tua ricerca?
Sono affascinato dalla geologia, dai grandi movimenti tettonici che agiscono sulla terra. E dalla biologia, con le sue macrostrutture funzionali (come il polline). Indago la mappatura del territorio per capire il rapporto che c’è fra questi fenomeni e le dinamiche sociali.

Più in particolare?
Mi interessano le forme parassitarie, intese come forme di vita che si nutrono dell’organismo sulle quali nascono, sottraendone l’energia necessaria per crescere e causando nel contempo la morte del supporto “ospitante”.
Pietro Ruffo, Dementia 8, particolare dell’installazione presso la Yellow Bird Gallery di New York, 2004
Influenze artistiche? Penso che ogni mostra, ogni catalogo letto o solo sfogliato, ogni avvenimento esterno, suscitino in qualche modo una riflessione. La somma di queste riflessioni diventa, poi, strumento di lavoro quotidiano.

La lettura critica del tuo lavoro la condividi?
Il critico ama parlare di se stesso per almeno tre quarti del testo. Poi, nell’ultimo paragrafo, fa un accenno all’artista.

Addirittura…
Ma va bene così, almeno chi vede il lavoro non è troppo condizionato. Ma confesso che rileggendo alcuni testi a distanza di qualche mese, riesco a capirli anch’io.

Una persona che vuoi ringraziare umanamente?
Diversi incontri hanno influito sul mio lavoro. In generale sono circondato da persone attente. Una di queste è, certamente, Flavio Misciattelli. Mi ha permesso di venire a lavorare al Pastificio Cerere. E ha sempre seguito con attenzione il mio lavoro. Negli ultimi mesi direi Lorcan O’Neill.
Pietro Ruffo, Israel flag, grafite e gesso su carta, cm 275x400, 2006
Com’è il Pastificio Cerere, vissuto dall’interno?
È un posto speciale, per l’interazione che si crea tra gli artisti che ci lavorano e con le persone che quotidianamente lo frequentano.

E Roma? Te la senti di dire qualcosa di non banale su Roma?
È una città che si è sviluppata tramite straficazioni. Ogni epoca è stata parassitaria di quelle precedenti, crescendo sulle rovine delle magnificenze del passato, o utilizzando proprio le rovine come cave a cielo aperto. Ecco, secondo me è un peccato che da uno o due secoli questo meccanismo si sia interrotto.

E allora che si fa?
Non saprei. Ma non mi dispiacerebbe che, ad esempio, un nuovo museo in acciaio e vetro venisse costruito, oggi, utilizzando inserti tratti da frammenti prelevati a San Pietro. Dopo tutto è sempre stato così. I monumenti si conservano nell’introiezione degli stessi in altri edifici: più della metà delle pietre del Colosseo oggi si trovano a San Pietro. Non vedo perché, in linea di principio, non si possa continuare.
Pietro Ruffo, Beslan Doppia Mappatura, veduta dell’installazione presso lo Studio Pino Casagrande di Roma, 2006
Qual è la tua mostra migliore?
Speriamo la prossima…

E l’artista meno sopravvalutato? Siamo tutti sopravvalutati. Un po’ di lavoro nei campi non farebbe male a nessuno. A me per primo!

exibinterviste – la giovane arte è un progetto a cura di pericle guaglianone

bio:Pietro Ruffo è nato a Roma nel 1978; vive a Roma. Tra le personali: Beslan doppia mappatura, Studio Pino Casagrande, Roma (2006); Flag, Aka, Roma (2005); Geologia umana, Spazio Lavoratorio, Milano (2003). Tra le collettive: Residenti, Fondazione Pastificio Cerere, 2005; Fragments of time, Yellow Bird Gallery, New York (2005); Insideout, A temporary art collection, Red Bull Academy, Milano (2004). Workshop e progetti: Realizzazione di due lavori a parete per l’ospedale di Vladikavkaz, donati dalla Fondazione Pastificio Cerere, Protezione Civile Italiana; workshop di pittura con i bambini di Beslan all’interno dell’istituto di recupero psicologico (2005); workshop di pittura con i bambini di Sarajevo e Marzabotto nell’ambito del progetto Ciao Sarajevo, Bologna, a cura di Globalab (2001); workshop per la realizzazione di un’opera permanente al Centro d’Arte Contemporanea di Algeri, UNAC, Algeri (1999).

[exibart]



3 Commenti

  1. uè…che dire di Pietro??? forse uno delle migliori promesse nel panorama artistico italiano…no …tolgo il forse? No…tolgo anke promessa…diciamo che è una meravigliosa conferma.

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