30 settembre 2016

Fino al 2.X.2016 SOLO, a group exhibition Nuovo spazio di Casso, Casso

 

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Qui prima delle parole e delle immagini ne va del luogo. Siamo a Casso, non lontano da Erto, vicino la mondana Cortina, paese che si inerpica sulla roccia dolomitica e guarda il fronte della frana del monte Toc. Una grande emme scava la montagna e segna il pendio da dove la sera del 9 ottobre del 1963 si ebbe il crollo che riversò nella diga del Vajont trascinando nell’ondata di acqua e fango uomini, case, animali e il paese di Longarone. “Scrivo da un paese che non c’è più”, annotava Gianpaolo Panza sulla Stampa, il mattino dopo. “Un tratto dell’alta valle del Piave lungo circa cinque chilometri ha cambiato volto e oggi ricorda allucinanti paesaggi lunari.” 
A cinquant’anni dalla sciagura, c’è la nuova Longarone, un nuovo paesaggio che riempie il fondovalle, mentre Casso, come un animale ferito, rimane inerpicata sulla roccia. Qui in luogo della vita, c’è la persistenza della memoria. Casso è un paese abitato da undici famiglie, che stanno di fronte alla semiologia del disastro e laggiù vedono la diga del Vajont che è rimasta intatta. E simbolo di questo paesaggio è l’Ex Scuola, restaurata da Valentino Stella nel 2012, dove sorge ora il Nuovo Spazio di Casso che ospita la mostra “SOLO, a group exhibition”, promossa da Dolomiti Contemporanee e curata da Gianluca D’Inca Levis e Poalo De Biasi. 
Otto artisti e undici opere provenienti dalla AMC Collezione Coppola dialogano tra loro. Un dialogo tra spazio, opere e contesto che ha la prima ragione nelle ampie vetrate dell’Ex Scuola, da dove l’esposizione si apre sul paesaggio del Toc, che riorganizza l’esposizione più della volontà curatoriale.
Sono prova di questo dialogo inevitabile anche gli intonaci esterni, conservati da Stella a simulacro di come il disastro li ha mutati, nel riverbero di acqua e rocce che vi ha impresso sopra l’ennesima prova della semiologia di Casso. Sul filo di questa suggestione, si inserisce l’istallazione di Nina Canell, Perpetuum Mobile, 2014. Un contenitore d’acqua è accanto a un sacco di cemento semiaperto. L’acqua evapora e il vapore si poggia lentamente sulla sostanza del cemento, mutandone la consistenza così come un paesaggio muta nel tempo. Un contatto tra i due elementi veicolato dall’aria, nessun canale di preferenza o artificiale. Un mutamento impercettibile quindi, che ha bisogno del tempo che i sensi nell’immediato non registrano, ed è il risultato del rapprendersi del cemento da polvere a solido.
Nicola Samorì, Uri Aran, SOLO un tavolo, SOLO, a group exhibition, foto:Nicola Noro
Di grande fascino anche la tela di Daniel Pitìn, Lake, 2010, dove sembra tornare il tema di ciò che appare e di ciò che lascia una traccia in sovrimpressione. In un paesaggio un gruppo di uomini discutono, mentre una figura in primo piano, dipinta di una materia che sfuma, attraversa l’intera composizione e ne ridisegna il senso che a quel gruppo di uomini immersi nel quadro sfugge. Si avvale di una tecnica mista Pitìn, tanto da inserirvi anche mozziconi di sigarette, a dire dell’integrazione degli elementi reali in quelli della rappresentazione o a dissolvere la perfettibilità della costruzione simulata. 
Contestuali anche i due dipinti di Nicola Samorì. Accanto al noto lavoro del 2012, J.R.S.R (Simonia), che già girava quando il pittore, qualche anno fa, era una giovane promessa di Emilio Mazzoli, c’è il raffinato Landscape, sempre del 2009, dove la questione ambientale è già contenuta nel titolo e il rifluire della materia sulla superficie dipinta è una riscrittura dell’opera.
Contenuto e misterioso il lavoro esposto di Uri Aran, che è una tassonomia in legno con l’ausilio di un piccolo scaffale come supporto, diverso dalle grandi istallazioni presentate alla Biennale di Venezia. Un virtuosismo la pittura di Manuele Cerutti (presente con due lavori: Ritratto di eroe, 2014; Il ponte di pietra, 2010), a cui la Collezione Coppola dedica l’ultimo numero delle sue pubblicazioni, ma che nei soggetti e nella forma, e perché no anche nel gusto, ricorda molto, anzi in quasi tutto, la pittura di Borremans. Presenti anche tre oli di Giuliano Sale, dove tra gli altri primeggia un eloquente monocromo nero, assieme a un piccolo olio di Matthias Weischer. Di grande interesse anche il diorama di Marcel Dzama, The end of the line, 2010, teso a rappresentare l’energia sessuale di un gruppo di ballerine nel contesto di una forza oscura rappresentata da un’animale che ha sembianze di una cane, anche se le forme della bestia non né restituiscono l’esattezza biologica. Ma c’è anche un principio interno che governa questa mostra e ne dà il titolo. SOLO, infatti, è un gruppo di pubblicazioni, ragionate a rivista, che la Collezione Coppola edita sui propri artisti, dedicando a ognuno un quaderno, denso di foto e asciutto di testi. “Ed è appunto da questa rivista – spiegano i curatori – che prende avvio la mostra, ma anche dal concept dell’edizione 2016 di Dolomiti Contemporanee. E il progetto di una rivista è sempre un progetto espositivo”. In questa direzione si spiega l’undicesimo lavoro, nient’altro che un tavolo realizzato dal curatore De Biasi dove è esposta la storia della rivista Solo, raccontando una breve storia caratterizzata da una ricerca grafica. Tappa questa ricerca di una nuova stagione che Dolomiti Contemporanee rilancia in questi giorni attraverso un progetto di crowdfunding per portare avanti oltre l’avventura di Casso, il fronte dell’Ex Villaggio Eni a Borca di Cadore dove la scommessa del recupero dello spazio in latenza è una scalata ripida forse non lontana dalla vetta.

Marco Petricca
mostra visitata l’11 settembre
Dal 20 agosto al 2 ottobre
SOLO, a group exhibition

Nuovo spazio di Casso, 
via sant’antoni 1, Casso (pn)
Orari: dal martedì alla domenica, 10.00-12.30 e 15.00-19.00
Info: www.dolomiticontemporanee.net

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