03 dicembre 2010

decibel_contemporanea Il bel giorno, vibrante e virginale

 
Il calendario di musikfest 10 esplora l'universo artistico di due grandi compositori del XX secolo, accostati per la prima volta in Europa in un programma ampio e articolato. Un viaggio attraverso la musica, le influenze e la scrittura di Pierre Boulez e Luciano Berio...

di

Berliner Philarmonie.
19.09.2010
Johathan Nott e i Bamberger
Symphoniker
si apprestano a trascinare la sala in un’accorata esecuzione
del Sigfried Idyll di Wagner, seguita da un’esplosiva Pli
selon pli
, work in progress per soprano e orchestra scritto e rifinito da Pierre
Boulez
tra il 1957 e l’89. Un programma (ma preferiremmo dire un’esperienza
musicale) nel complesso stridente, apparentemente bizzarro e senz’altro
inedito, soprattutto per il pubblico della musica contemporanea berlinese,
eppur in se stesso coerente, risolto, letteralmente e autenticamente sinfonico.

Nei venti giorni di concerti
alla Filarmonica di Berlino, Strauss,
Bach e Stravinsky risuonano nella stessa “atmosfera” di Debussy, Berg, Berlioz, in una
dialettica complessa che si muove dalla ricezione creativa dell’opera d’arte
alla scrittura, verso nuova musica. Luciano Berio e Pierre Boulez – nel ritratto disegnato
da Winrich Hopp, dal 2007 direttore artistico di musikfest berlin
segnano i poli opposti di questa ricezione. Un comune universo creativo che
racchiude l’interesse per la musica extra-europea e il folklore popolare, la
varietà sonora dell’impressionismo e i linguaggi non-lineari, la poetica del
cielo della terra.

Oltre 60 lavori di 25 diversi
compositori (20 solo dal catalogo di Berio e Boulez), più le straordinarie
esecuzioni dell’Ensemble
Intercontemporain
, l’acclamata presenza dello stesso Boulez alla
testa dei Berliner Philarmoniker. Infine, la grande orchestra gestita
come corpo sonoro infinitamente smembrabile e ricomponibile, così come le
parole e i fonemi s’intrecciano nei versi di Mallarmé. Abbiamo posto alcune
domande a Winrich Hopp, per comprendere meglio la fitta trama di rapporti che
sostiene questo programma così innovativo e riuscito.

Pierre Boulez - photo Kai Bienert / Piero Chiussi
Ho percepito, nell’organizzazione del programma,
la presenza di un filo conduttore storico forte. C’è secondo lei una relazione
tra il doppio focus su Berio e Boulez e l’idea di una linea storica che
definisce la tradizione e il linguaggio della musica occidentale tra XX e XXI
secolo?

Il suo punto di vista è molto
interessante, ma non è il mio punto di vista. Io cerco di comprendere il mondo
di un artista, non sono un artista. Il mio lavoro è presentare l’arte e per
farlo devo poter conoscere a fondo il mondo di un artista. Il lavoro principale
è comprendere l’arte stessa. Ad esempio, Berio ha secondo me una comprensione
della musica tale per cui pezzi di diverse epoche possono stare insieme. Boulez,
dal canto suo, quando era un giovane compositore era interessato a Johann
Sebastian Bach e alla musica extra-europea. Era interessato a Strawinsky,
Bartok e più tardi a Wagner e questi sono gli ascolti più familiari dal punto
di vista di Boulez.

È certamente una forma di
tradizione, che è interessante, ma io non credo in un approccio storico di
presentazione della musica. Si tratta di ricostruire il percorso creativo
dell’arte. Come musicologo so che gli artisti lavorano diversamente con la storia.
La storia in se stessa è costruzione, la tradizione invece è qualcosa su cui
siamo inseriti.

Quello che ho cercato di fare
qui è di presentare cose che sono raramente mostrate prima a Berlino. Abbiamo
cinque grosse orchestre, tutte con un ampio repertorio autonomo negli anni.
Quando pensavo al programma mi sono chiesto come potevo presentare questi
compositori nel festival in un contesto completamente nuovo così da poter
scoprire nuovi aspetti nella musica. Il mio obiettivo specifico è stato quello
di presentare la grande orchestra e creare un festival per orchestra. Boulez ha
sviluppato un concetto molto aperto di orchestra che io ho voluto provare a
sviluppare nel contesto del festival. “Il
corpo di un’orchestra è inventato dallo spartito
”. Abbiamo lavorato con
l’orchestra come corpo così inteso ma anche come corpo sociale, come
istituzione, che sono due cose completamente differenti. Questa è stata una
grossa sfida. Gli artisti hanno diverse idee di come un’orchestra dovrebbe
essere.

Luciano Berio
Che cosa intende quando specifica che l’orchestra
come corpo sociale è diversa dall’orchestra in quanto corpo armonico o
strumento?

L’orchestra come istituzione
è un corpo sociale che ottiene supporto finanziario dalla città o dal governo,
è un’azienda. Ogni orchestra ha dunque una sua struttura interna, il direttore,
il repertorio, i tour, la sua tradizione, la sua funzione ecc. Se invece si
osserva l’orchestra di Mahler allora diventa uno strumento per creare un mondo.
E così accade nella musica di Lachermann o di Stockhausen. Ho chiesto alle
orchestre che cosa avrebbero voluto fare con la mia offerta. Io ho solo offerto
un programma e chiesto alle diverse orchestre come avrebbero potuto partecipare
al festival. Mi limito a dire: “Siete
un’ottima orchestra, siete interessati a venire a Berlino a suonare questo tipo
di musica o avete qualche proposta?
”.

Come ha scelto un’orchestra piuttosto che
un’altra?

Guardi, Boulez e la sua
musica… Non ci sono molte orchestre capaci di performare la sua musica, con
l’esperienza necessaria per eseguire i suoi lavori. Ce ne sono poche in Europa.
Avremmo potuto invitare orchestre dagli Usa, ma questo avrebbe significato
organizzare un tour e trovare i finanziamenti sufficienti per questo e in
definitiva sarebbe molto difficile da organizzare. Riguardo Boulez e la scena
europea, ho invitato i direttori a lasciarsi influenzare dal modo in cui Boulez
stesso conduce e concepisce l’orchestra.

C’è poi la splendida
tradizione dell’Ensemble Intercontemporain, fondato da Pierre Boulez, e poi
diretto da Peter Eötvös, David Robertson, Jonathan Nott e oggi Susanna Mällki,
e così ho pensato di invitarli. Alcuni direttori hanno dovuto declinare la
proposta di preparare i lavori di Boulez per mancanza di tempo e mi hanno
proposto un programma in cui non c’è traccia di Boulez, ma in cui il modo di
condurre l’orchestra è profondamente influenzato dal pensiero di Boulez e
questo è secondo me molto interessante.

Non c’è una regola precisa
alla quale mi attengo per concepire il programma del festival. La sola idea è
la consapevolezza di creare un programma completamente nuovo di anno in anno.
Il mio primo esperimento fu nel 2007. Nel 2008 abbiamo avuto un triplice focus
su Bruckner, Messiaen e Stockhausen. Lo scorso anno è stato dedicato
all’anniversario della caduta del muro di Berlino e così ho cercato di mettere
insieme qualcosa che potesse rappresentare gli estremi sonori del XX secolo
provando ad accostare Shostakovich e Xenakis.

Winrich Hopp
Ci sono diversi punti, nel programma su Luciano
Berio e Pierre Boulez, che uniscono e separano i due compositori: la
fascinazione per la musica extra-europea, lo stretto legame tra parola, suono e
musica. Potrebbe descriverci queste relazioni?

Ho cominciato a pensare che
sarebbe stato interessante presentare la musica di Boulez qui a Berlino nel
2007, quando ho iniziato a curare musikfest,
ma in seguito ho optato per il 2010 in occasione del suo 85esimo compleanno. Ho dato un’occhiata al suo
catalogo e mi sono detto: “Come posso
presentare questa musica, il modo in cui lui collega la sua musica al lavoro di
Debussy, Bartok e così via?
”.

Non è facile ascoltare la
musica di Boulez a Berlino e si può dire che sia piuttosto sconosciuto al
pubblico della musica contemporanea berlinese. C’è uno strano
pregiudizio sulla sua musica e il suo lavoro come compositore, cioè che abbia a
che fare con la matematica. Io non penso che ci sia alcuna relazione tra Boulez
e la matematica. Forse da giovane fu affascinato da questi rapporti ma poi
prese anche direzioni diverse. Che cosa c’è invece di nuovo? Il modo in cui si
interessò alla musica extra-europea. Il suono dell’arpa andina, la musica africana e asiatica, il modo di gestire lunghe
durate e strumenti inusuali. Un altro aspetto è la poesia di Mallarmé. Pensando a questo mi sono chiesto quale
compositore avrebbe potuto essere il suo partner ideale
di e ho subito pensato a Berio.

Luciano Berio ha gli stessi
interessi di Boulez, ma a differenza di Boulez non è interessato al mondo
artificiale e astratto quanto piuttosto al materiale popolare e folk. Lo stesso
vale per l’interesse nei confronti del verso poetico. Sono due mondi
profondamente differenti in cui troviamo interessi comuni. Cercando un punto di
sintesi tra questi due compositori mi è venuto in mente Stravinsky, perché anche
lui lavora con gli object trouvé, come Berio, e fu importante per la formazione
di Boulez. Il punto di vista dei due su Stravinsky (c’è una splendida
intervista in cui parlano di Agon) è molto diverso. Berio è affascinato
da Agon mentre per Boulez questo è solo un pezzo neoclassico.

Pierre Boulez - photo Kai Bienert / Piero Chiussi
Se mai dovesse scegliere un lato di questa
dialettica, quale preferirebbe?

Prenderei tutto. La cosa
interessante dell’edizione di quest’anno è l’accostamento di questi due
compositori. È difficile trovarli insieme e una volta finito il programma l’ho
trovato molto innovativo. Anche Berio qui è piuttosto sconosciuto. Molti dei
brani eseguiti in questa edizione, sia di Berio che di Boulez, sono state
première assolute per Berlino e il suo pubblico.

a cura di alessandro massobrio


dal 2 al 21 settembre 2010

musikfest berlin 10

Info: musikfest@berlinerfestspiele.de;
www.musikfest-berlin.de

[exibart]

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