20 luglio 2018

DANZA

 
Bill T. Jones a Firenze, tra brani storici, e metafore per il flagello del secolo scorso
di Giuseppe Distefano

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In tournée in Italia, Bill T. Jones /Arnie Zane Company ha fatto tappa al Florence Dance Festival inaugurando il meraviglioso Chiostro di Santa Maria Novella, aperto dopo quasi un secolo alla vista anche dei fiorentini, e ora sede del prestigioso festival diretto da Marga Nativo e Keith Ferrone i quali hanno insignito il danzatore e coreografo statunitense del “Mercurio volante”, premio dedicato all’arte e alla cultura della danza. 
Corpo imponente e sguardo d’intelligenza viva e curiosa, Bill T. Jones è ancora uno degli artisti più interessanti ed estremi della scena americana. Ha una storia densa e difficile. Impegnato su vari fronti della vita sociale, dei diritti dei malati e degli umili, la sua vita artistica è trascorsa fra difficoltà e successi, fra provocazioni e affermazioni di coraggio civile. Nato nel 1951 in Florida da una famiglia di agricoltori migranti, Jones ha iniziato il suo lavoro nello spirito afro-americano, che negli anni Settanta del ‘900 poteva essere giudicato di opposizione e di protesta. Nel 1982 con l’artista visivo Arnie Zane, compagno di vita e d’arte, prematuramente scomparso nel 1988, ha formato una compagnia di rottura, movimentista, fuori dagli schemi della modern-dance. 
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Bill T. Jones /Arnie Zane Company, foto Paul B Goode
Jones ha fatto campagne contro l’Aids, il flagello del secolo di cui era stato vittima anche Zane. Il bisogno di comunicare, di condividere, è il motore che continua ad animarlo, a mantenerlo vitale, creativo, giovane nonostante i suoi sessantasei anni, e ormai lontani i tempi delle provocazioni attraverso la danza. Il programma presentato a Firenze dal titolo Play & Play: An Evening of Movement and Music, comprendeva Story e D-Man in the waters. Il primo, del 2013, si ispira a Indeterminacy, il ciclo di racconti e musica composto da John Cage che si susseguono in modo casuale, e rimandano anche agli Events di Merce Cunningham (collage site-specific di frammenti coreografici che impegnavano in un flusso continuo i danzatori in combinazioni numeriche sempre varie). Qui, sul Quartetto per archi in re minore di Schubert La Morte e la Fanciulla, non c’è altro tema specifico se non quello del rapporto, o meglio, dell’incontro tra musica e danza basato su un intreccio di movimenti nitidi e dinamici secondo il procedimento casuale derivato da Cage. Una struttura astratta, aperta a molte varianti, a improvvisazioni, a coralità, a duetti e terzetti poetici. 
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Bill T. Jones /Arnie Zane Company, foto Paul B Goode
D-Man in the waters invece è un brano storico della compagnia. In esso, creato nel 1989, si respira una folata di euforia, di gioia di vivere nonostante il dolore che l’ha ispirato. È dedicato, infatti, a Damian Acquaville, un danzatore della compagnia che lottava contro la morte da Aids. Sull’Ottetto in mi bemolle maggiore di Felix Mendelssohn-Bartholdy Jones racconta, con la sua compagnia, tutto ciò che si può fare nell’acqua e attorno all’acqua, simbolo della vita. Dai colori verdi e in riva al mare uomini e donne sembrano tuffarsi nell’acqua, immersi in una danza apparentemente serena quando giunge la notizia che uno di loro sta lottando con il virus: il nonsense diventa dramma, l’uguaglianza un soccorrersi vicendevole e mesto mentre prima i ballerini non interagivano mai gli uni con gli altri se non con rapidi tocchi delle mani, forse per la paura del contatto (particolare spunto ispiratore del balletto). L’atmosfera rimane distesa. E via con le brevi corse, i lievi salti, le acrobatiche scivolate dentro e fuori un’immaginaria piscina, con il sangue che scorre forte nelle vene. E tutti sono sostenuti, nel gioco dei rapporti e nelle evoluzioni aeree e sottomarine, dal soffice e fresco supporto dell’acqua amica, simbolo di maternità e di tenerezza. Una gioia degli occhi e delle orecchie.
Giuseppe Distefano

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