19 febbraio 2013

Pensando ai maxxinostri

 
Pensando ai maxxinostri
di Raffaele Gavarro
Approfitto di questo spazio aperto per approfondire il senso della lettera che ho firmato nei giorni scorsi insieme a molte altre persone, augurandomi di allargare la discussione, spostandola definitivamente dalla dicotomia che tenta di contrapporre, in maniera tutt'altro che ingenua, "irresponsabili" e "responsabili"

di

Dobbiamo proprio avere il coraggio di ammetterlo. Questa del MAXXI è una storia iniziata male e continuata peggio. Un museo dal costo esorbitante sia per la realizzazione che per la gestione e che nel corso di questi quindici anni, praticamente ogni giorno, ha dovuto combattere per la propria sopravvivenza, tra cambi di governo, crisi economiche e le immancabili faide interne al mondo dell’arte. Tutto questo in un Paese che dal secondo dopoguerra in poi ha ridotto sempre più gli investimenti sulla cultura e in particolare sull’arte contemporanea, riuscendo a dotarsi con grande ritardo nei confronti degli altri paesi europei, e tra l’altro in modo del tutto disordinato, di una rete di musei che vivono in perenne affanno per mancanza di risorse e non solo. Tutti siamo infatti consapevoli che la vera causa delle nostre difficoltà è riconducibile al fatto che nel nostro Paese sono mancati un’idea, una volontà, un progetto, un disegno nel quale i singoli elementi trovassero un respiro più ampio e condiviso. Una cosa che si chiama politica culturale. E noi semplicemente non l’abbiamo avuta. Praticamente mai. Ancora oggi, a pochi giorni dalle elezioni politiche, la cultura è più assente nel dibattito e nei programmi che la neve nel deserto.

Così purtroppo il MAXXI, per la sua unicità istituzionale e il gigantismo che ne consegue come necessità (forse), finisce per pagare molto di più le conseguenze di tale deficienza. Credo che molti, se potessero tornare indietro non rifarebbero le scelte fatte su grandezza e tipologia di quest’istituzione, e questo probabilmente anche per l’edificio, che alla straordinarietà del suo esterno, vede corrispondere un’oggettiva difficoltà nell’uso espositivo degli spazi interni. E non tanto per quello che riguarda le mostre temporanee appositamente concepite per quegli spazi, ovviamente, quanto per la collezione e per le mostre che provengono da altri musei. Non vorrei però aprire un altro fronte polemico. Questo è il museo che abbiamo ed è questo che dobbiamo e che dovremo usare al meglio. Su questo, credo, siamo tutti d’accordo.

Com’è noto il vero fronte polemico che si è aperto in questi giorni riguarda le recenti vicende della fondazione che sostiene il museo. Tutti ricordiamo il commissariamento dell’aprile del 2012, che lasciò sorpresi e preoccupati, fino ad arrivare alla non meno sorprendente nomina di Giovanna Melandri ad ottobre scorso. Una nomina che molte ragioni rendono inopportuna e che da molti è stata contestata, anche da parecchi degli ex colleghi dell’ex onorevole. Non credo sia necessario ripetere le ragioni di questa inopportunità. È cosa chiara anche a mia figlia di dieci anni. Invece ricordo l’espressione tesa e offesa della Melandri nei giorni successivi alla sua nomina. – Ma come? Io che ho tenuto a battesimo il museo nel 1998 quand’ero Ministro ai Beni culturali. Io che ne sono stata la madrina. Proprio a me fate questo? Ingrati.

Ero sinceramente dispiaciuto di quella rabbia e della sofferenza che dimostrava la Melandri. In effetti, mi dicevo, è talmente convinta, desiderosa di stare lì e di fare bene, che proprio non vede le ragioni della sconvenienza. Qualcuno di cui si fida gli spiegherà, gli farà capire che nessuno è impazzito in Italia, ma semplicemente che tutti sono ormai arrivati all’esasperazione verso chi pensa di essere il “padrone” di quello che è invece un bene comune. Qualcuno gli dirà che tutti quelli che hanno a cuore le sorti del nostro Paese, hanno capito che nulla si salverà se non ci sarà vera trasparenza e vera meritocrazia.

Non so se quel qualcuno, una volta raggiunta un po’ di calma, ha potuto spiegargli qualcosa in tal senso. Sta di fatto che se anche è successo, Giovanna Melandri evidentemente non ha capito. Quando è venuta fuori la storia della nomina a segretario generale del MAXXI di un suo uomo di fiducia, un così detto portaborse, l’avvocato Francesco Spano, allora il mio stato di empatia verso quella sofferenza è del tutto svanito. Qui non si tratta d’incomprensione, mi son detto, qui è proprio un insistere pervicacemente nella pratica “del faccio come mi pare e voi non potete dire e fare nulla”. Un po’ la storia del Marchese del Grillo “Io so’ io e voi non sete un …”.  Anche la notizia che la ricerca del futuro direttore (internazionale) sia stata affidata ad una società (internazionale, appunto), specializzata nella ricerca di manager, come la Odges Berndtson, lascia piuttosto perplessi. Viene da chiedere chi la paga questa società per una ricerca di nomi che anche un neolaureato saprebbe fare. Appare chiaro infatti dalle indiscrezioni trapelate su fughe e dinieghi dei primi interpellati (internazionali, of course), che il problema non è nell’individuazione dei nomi, ma in quello che si offre con la direzione e non solo in termini di compenso diretto, ma più propriamente di risorse disponibili e di libertà d’azione nella direzione del museo. Tra l’altro sotto la nostra lente c’è il settore arte contemporanea. Ma cosa succede invece per il MAXXI architettura? Nessuno lo sa.

Ora, tra andate e ritorno a New York, io spero che Giovanna Melandri abbia letto la lettera aperta che gli abbiamo indirizzato, e che un numero sempre maggiore di persone sta sottoscrivendo (http://maxxinostri.wordpress.com). Perché ignorare questo tipo d’interlocuzioni sarebbe l’ennesimo insopportabile atto di arroganza. Qualcosa che proprio non si addice a chi è ormai un ex politico.

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