26 agosto 2013

La Lavagna

 
di Adriana Polveroni
Rinascimento o crisi in loop?

di

A fine maggio, a Palazzo del Monte di Pietà di Padova, si è conclusa la mostra più bella che abbia visto in Italia da almeno dieci anni a questa parte: “Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento”. È (non è stata, cose del genere sarebbe un delitto consegnarle al passato) una mostra eccezionale non solo perché ha esposto pezzi pregiatissimi di Leonardo, Giorgione, Raffaello, Tiziano, Lorenzo Lotto, Bronzino arrivati dai musei di Washington, Vienna, Parigi, Budapest, New York, Londra, senza dimenticare gli ottimi prestiti italiani, e perché offriva allo sguardo incredulo di tanta preziosità il progenitore dei nostri Ipad o kindle – il primo libro tascabile inventato da Bembo insieme all’amico editore veneziano Aldo Manuzio – mentre, tra un Mantegna e un Giovanni Bellini, spuntavano una lira da braccio di squisita e antropomorfa
fattura (antesignana della viola ricavata da Man Ray sulla schiena di Lee Miller) o la ciocca dorata di capelli che Lucrezia Borgia aveva donato al suo amico e amante Pietro, il quale l’aveva riposta in un libro dove era rimasta a lungo finché un lodevole ficcanaso non l’ha scovata. C’è di più, c’è molto di più.
È una mostra, ideata e impeccabilmente curata da Guido Beltramini (che solo per questo si meriterebbe un posto d’onore al Mibac), dove in pellegrinaggio si sarebbero dovuti portare i nostri politici, da Finocchiaro a Grillo andata e ritorno, passando per Alfano e Maroni e tutto il seguito di notabili e peones (chissà se qualcuno di loro ha avuto il guizzo di vederla).
Perché? Perché costoro, e gli italiani che costoro rappresentano, avrebbero imparato che, in momenti di crisi come quelli in cui versava l’Italia prima “dell’invenzione del Rinascimento” (mai sostantivo fu più felice per indicare l’audacia di quella svolta che sottrasse il nostro Paese da una pericolosa deriva, “inventando” un nuovo modo di stare al mondo), i potenti dell’epoca – papi come Leone X della famiglia dei Medici e Paolo III che di cognome faceva Farnese – capirono che era necessario circondarsi di uomini che avessero una visione. Capaci di guardare al presente “vedendo” il futuro. Perché solo così l’Italia (o meglio, quell’insieme di stati litigiosi e inclini a un ormai stolto particulare che andava sotto il nome di Italia), si sarebbe potuta affrancare dalla minaccia straniera e ritrovare dignità e identità. Come? Puntando su ciò che di unico e di fortissimo quella strana penisola aveva: incredibili energie culturali, fantastici inventori di futuro, maghi della storia.
È così che Leone X prima e Paolo III dopo chiamano in Vaticano un signore erudito, fissato sulla necessità di una lingua nazionale, sciupafemmine e gran collezionista d’arte, uomo con uso di mondo, il “cortigiano” Pietro Bembo, e un artista giovane e altrettanto sciupafemmine e con uso di mondo di nome Raffaello. Li chiamano a lavorare presso di loro, consulenti si direbbe oggi, anche art advisor. Non solo, insomma, per dipingere o intrattenere la corte di letteratura (il che non guasta mai), ma per decidere cosa fare di quello sciagurato e bellissimo Paese.
E guarda caso, un giorno in gita nella splendida e cadente Villa Adriana appena fuori Roma, Pietro, Raffaello e Baldassarre (Castiglione) scoprono che il glorioso passato versa in pessime condizioni. Che fanno? Vanno da Leone X e gli spiegano, convincendolo, il valore di quel patrimonio, non per farne una retorica d’accatto (buona per duci e ducetti futuri), ma perché si tratta di un mondo da studiare per capire, con gli strumenti e gli esempi della storia dell’umanità lì generosamente offerti, il presente.
È con Bembo, Raffaello e Castiglione che nasce l’archeologia, non come patrimonio da conservare sotto teca, ma come corpo vivo di un Paese. Irrinunciabile per esserci nell’oggi. Ed è con Bembo e con Raffaello che nasce anche la moderna architettura, come ricerca sistematica sullo spazio civile.
A quel tempo papi e artisti, cortigiani e scrittori si misero insieme e “inventarono” il Rinascimento: uno stile di vita che ebbe la meglio, culturalmente, sul resto dell’Europa, e che ancora oggi, in Europa e nel mondo, ci invidiano e grazie al quale manteniamo uno straccio di credibilità e di appeal, nonostante le sonore bordate berlusconiane, grillesche, ormai anche pidine, che da anni fanno di tutto per demolirlo.
Capito perché non sono bastate le numerose scolaresche, certamente portate in pellegrinaggio alla mostra, e gli oltre 100mila visitatori che hanno comprato il biglietto per vederla? Tra questi, quasi senz’altro, è mancato chi ha responsabilità di governo. Sono loro che devono mettersi in testa che per uscire dalla crisi ci vuole il cervello (che spesso in quella testa manca), le idee, la capacità e l’azzardo di “inventare”.
Dov’è Raffaello oggi? Chi ne sa quanto Pietro Bembo? Chi può fare il consulente dei grandi? Non è che Leone X e Paolo III avessero qualcuno che li consigliava sulle scelte dei consiglieri. Erano in grado di farle da soli perché, nonostante fossero papi (e non capi di partito), vivevano nel mondo, che avevano conosciuto e studiato, finanche per prenderne il potere. Non se ne stavano chiusi nei palazzi, senza capire niente di quello che si muoveva nella piazza sotto.
Questa era la prima parte dell’editoriale che avevo scritto per l’ultimo numero on paper, uscito con l’apertura della Biennale di Venezia. Oggi riprendiamo le pubblicazioni on line dopo la pausa estiva ed è ancora maledettamente attuale. Lo scenario intorno non è cambiato rispetto a quando ci siamo salutati a inizio agosto e neanche rispetto a fine maggio quando lo avevo scritto. Semmai è peggiorato, con “nuovi venti di crisi” alle porte. Che palle, che noiosissimo loop, verrebbe da dire, se la situazione non fosse drammatica e se insieme al rais nostrano non si rischiasse di affondare tutti. Tantomeno la situazione è migliorata dal punto di vista economico e finanziario, e quindi neanche per l’editoria. Che dire? Ricominciamo. Facendo leva sul nostro lavoro e la vostra presenza e partecipazione. Auguri a tutti di buon rientro.  

7 Commenti

  1. Finalmente ho letto qualcosa di intelligente in merito alla nostra situazione politica.ho visto la mostra e ne sono rimasta entusiasta per i motivi da lei chiaramente indicati. Grazie

  2. Non c’è dubbio che i nostri politici non abbiano visitato la mostra sul Bembo. Sono talmente ignoranti…e comunque buon rientro anche a voi!

  3. Ma i papi che hanno”creato”il Rinascimento sicuramente dovevano rendere conto molto meno dei politici democraticamente eletti,rispetto alle loro scelte;forse piuttosto che fare sempre lo scaricabarile,si potrebbe assimilare la figura degli antichi papi più ad un curatore odierno che non ad un politico.E’ piuttosto una questione di coraggio e chiarezza intellettuali e Gioni lo ha dimostrato.Invece di fare le eterne catene di Sant’Antonio curatoriali,o di puntare sempre sui “giovani-giovani”,si potrebbe avere il coraggio di informarsi bene e scegliere artisti un po dimenticati,emarginati,ma bravi,senza pregiudizi di età o cerchie di appartenenza.Certo,serve al coraggio anche l’umiltà di chiedere all’artista di partecipare,da parte del curatore,invece di aspettarsi sempre il contrario,per vanità di piaggeria o sete di potere.E’ la chiarezza intellettuale e la volontà di agire in base ad essa in prima persona che creano qualsiasi rinascimento,mentre l’affossamento è sempre dovuto alla stupidità,ignavia,spirito gregario,scarico di responsabilità personale,ecc.

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