08 giugno 2014

Cartoline da Venezia

 
di Irene Guida

La Marathon Obrist che si è tenuta al Padiglione Svizzero il 5 giugno alla Biennale Architettura, ha ospitato anche un incontro tra Hans Ulrich Obrist e l’artista anglo-tedesco Tino Sehgal.
Abbiamo deciso di raccontarvelo in un modo un po’ strano, con dei brevi “ritratti” di oggetti parlanti. Ovvero: artisti e curatori descritti dagli stessi “oggetti” curati. Ecco H.U.O. e Tino Sehgal

di

Tino Sehgal “ritratto” dal fantasma del Fun Palace
Non pretendete da me un’accuratezza pedante nella descrizione, delle cose del mondo non so nulla. Io sono solo il fantasma di un palazzo che avrebbe dovuto rappresentare il volto nuovo delle istituzioni dopo lo sviluppo, dopo la crisi, dopo le proteste sociali. Ecco io parlo un po’ come in un sogno, ché il sogno e il fantasma sono gli unici spazi di libertà che sono rimasti. Di me parla un artista quasi quarantenne che indossa una giacca morbida, un bomber blu notte, rilassato con una cerniera color terra di siena bruciata; turchese la camicia, senza colore e afona la sua voce come i suoi occhiali a goccia, lievi segni di inquietudine e dubbio sul volto, dominati con maestria. La stessa di un danzatore con il gusto dell’economia che non sopporta troppo parlare e stare seduto mentre il mondo e la danza dei significati si muove intorno a lui. 
Non sopporta la sua faccia ciò che sta fermo e pretende attenzione senza dire nulla. Ecco, lui ha capito, se non fossi stato un fantasma, io avrei perso la felicità del sogno e sarei diventato un po’ goffo, un po’ sbagliato, un po’ scomodo, come il mio cugino arrogante e un po’ cafone, che vive a Parigi e si chiama Centre Pompidou.
 
Hans Ulrich Obrist ritratto dalla scatola dell’archivio Price
Io sono una scatola bianca dell’archivio del CCA (Centre Canadien Pour l’Architecture). Meglio, ne sono la sua copia, quindi non aspettatevi da me nulla di originale. Me ne sto a Venezia in una serie di scaffali, e preferisco starmene in pace, anche se quando mi aprono per sfogliare i disegni, e guardo gli sguardi fra il distratto e l’avido dei visitatori, oscillo fra fierezza e disgusto. 
Per fortuna a distrarli, fuori c’è un signore vestito di blu. Se a parlare fosse il blu elettrico intenso di lino di una trama fitta, come l’intensità dell’ordito di idee fatti parole che fluiscono senza sosta in un inglese con un lieve accento nord-europeo, se a parlare fossero gli occhiali di Hans Ulrich Obrist trasparenti come i capelli, forse un tempo neri e lucidi come le sue scarpe di pelle morbida, se a parlare fosse il tessuto trasparente e fitto della sua camicia bianca, allora si comprenderebbe appieno la natura del suo pensiero. Questo pensiero usa per esprimersi un volto anarchico, quasi privo di espressione, che per questo può parlare per ore di tutto, con tutti. E lasciarli felici. 

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