03 giugno 2015

LA LAVAGNA

 
Benvenuti alla messa funebre dell’arte e della cultura italiana
di Raffaele Gavarro

di

Come dice sempre mia madre, il troppo storpia! 
Sono certo che per l’occasione aggiungerebbe che storpiare lo storpiato sarebbe senz’altro molto più del troppo. 
Quindi mi arrovello da giorni, diviso come sono, tra sentimenti di sconforto e di rabbia, frammisti a quel generalmente insano atteggiamento di snobismo che caratterizza molto spesso parecchi di noi, e secondo il quale, soprattutto nel caso specifico, farei meglio ad occuparmi del mio. 
Tra l’altro, non ho per la verità molto da aggiungere ai commenti apparsi in questi giorni sul nostro Padiglione nazionale, e che per il 99,9% mettono perfettamente a nudo la sterilità di un progetto e delle idee che lo hanno predisposto, come la sua totale asincronia con le ragioni dell’arte in atto nel resto del mondo. Quindi non parlerò della fragilità, se non inesistenza, del progetto curatoriale, della patetica declinazione di concetti come quello della memoria e della storia (dell’arte italiana), di prestiti filosofici del tutto incoerenti e inappropriati per il contesto espositivo ai quali si riferiscono, né di un allestimento giustamente definito cimiteriale, e neanche degli artisti supini a tutto ciò, forse tra tutte la cosa più disperante. 
Quello di cui invece voglio parlarvi, dando continuità a quanto già argomentato nel mio “Che significa essere italiani oggi”, apparso sempre su queste pagine il 20 novembre 2014 (http://www.exibart.com/notizia.asp?IDCategoria=44&IDNotizia=43779), riguarda la natura della nostra produzione culturale di questi anni e  ovviamente del suo essere specchio del nostro Paese. Come sappiamo bene tutti, ogni edizione della Biennale ci ha donato un Padiglione Italia – tranne il primo, e soprattutto per la metodologia curatoriale adottata -, che ci ha lasciato perplessi quando non del tutto inorriditi. Sempre direzionati dall’autorità politica preposta alla nomina del curatore, si deve ammettere che tutti, indistintamente, hanno avuto il merito di corrispondergli senza incertezze. 
Marzia Migliora, Padiglione Italia, 56. Esposizione Internazionale d’Arte - la Biennale di Venezia, All the World’s Futures, Photo by Alessandra Chemollo Courtesy by la Biennale di Venezia
Se, come affermava lo scrittore palestinese Edward Said nel suo Dire la verità. Gli intellettuali e il potere (Feltrinelli, 2014): “È lo spirito di opposizione, non di compromesso, che mi prende, perché l’avventura, l’interesse, la sfida della vita intellettuale va cercata nel dissenso rispetto allo status quo.”; allora nel caso in oggetto, come nei precedenti, si deve riconoscere che non c’è alcuna traccia del fisiologico dissenso dell’intellettuale, e per deduzione sillogistica si può dunque altrettanto affermare che semplicemente non c’è mai stato alcun intellettuale alla guida del Padiglione Italia. 
Sul perché un curatore poi, non debba essere un intellettuale anche sofisticato, come qualcuno da più parti va sostenendo, sinceramente non so bene cosa rispondere, vista la totale assurdità di una simile affermazione. Una condizione, questa dell’intellettuale, che penso, e spero, appartenga de facto agli artisti e che evidentemente è stata però altrettanto disattesa in questo come nei precedenti padiglioni. Ma arriviamo al punto, e cioè sul senso di questa corrispondenza tra i nostri padiglioni, e in particolare dell’ultimo, con il potere politico. Avrete senz’altro notato quanto negli ultimi tempi i politici, e soprattutto il Ministro Dario Franceschini, si siano affannati nell’attribuire il primato della bellezza al nostro paese, includendovi la grandiosità della nostra storia (dell’arte) e del nostro patrimonio, definito come il nostro petrolio, e quanto su di esse, storia (dell’arte) e bellezza, sia necessario puntare per migliorare le performance economiche del turismo interno e soprattutto esterno. Se tutto ciò esprime più di una qualche necessità di miglioramento dei servizi e delle modalità di fruizione del nostro patrimonio, dall’altra la sua applicazione alla produzione culturale attuale, di fatto equiparata a quella della moda e del design, le nostre glorie nazionali, mostra invece, e per essere gentili, la totale impreparazione della politica nei confronti della cultura contemporanea. Per dirla in altri termini, siamo di fronte ad una visione perlomeno sempliciotta in particolare dei linguaggi dell’arte attuale, ma anche della sua funzione e del suo ruolo nella nostra società. Ma non è esattamente questo che ha espresso il nostro padiglione? Non ci ha voluto parlare di bellezza, storia, eleganza rarefatta e appunto sepolcrale, da boutique d’alta moda fascinosamente noir, e anche di un certo rinnovato ordine? 
Ma tutto ciò ci corrisponde? Noi italiani oggi siamo questo? Esattamente come ieri coincidevamo con le sottoculture televisive imposte dall’ex cavaliere? 
Peter Greenaway per Codice Italia, Padiglione Italia alla 56ma Biennale di Venezia
Forse si, ma in verità per una parte molto esigua. Parlando dell’oggi, vale la pena ricordare che l’astensionismo in Italia alle ultime europee del 2014 è stato del 42,8%, mentre alle ultime politiche del 2013 è stato del 35% e, anche se parziale, alle ultime regionali in Emilia Romagna ha toccato l’impressionante cifra del 62%, mentre in Calabria gli astenuti sono stati il 56% degli aventi diritto a votare. La tornata elettorale di domenica scorsa ha confermato la tendenza: ha votato il 53,90% rispetto al 64,13% del 2010. Ma quando parliamo di corrispondenza tra potere politico e cittadini in una democrazia rappresentativa, questi dati non possono essere sottovalutati, o peggio ancora non considerati. E quindi appare non meno chiaro che quanto deciso dalla politica oggi non corrisponde affatto a ciò che noi italiani siamo, probabilmente ivi compresi quelli che si sono espressi a suo tempo con il voto, aggiungendo il particolare non proprio secondario che l’attuale governo non è stato legittimato da alcuna elezione democratica. Quindi facendo due calcoli statistici, questa politica non ci rappresenta, così come molte delle decisioni che prende non coincidono con i nostri bisogni, né tantomeno sono indicativi della nostra identità. Così per ulteriore logica deduzione, questo Padiglione non è il nostro Padiglione, anche se con buona probabilità lo è del Ministro e di gran parte della classe politica oggi in Parlamento. 
Così al centro dello stand in cui girano vorticose le immagini delle “belle arti” italiane, a firma di un Peter Greenway del tutto fuori luogo, e che testimoniano della mirabile e perduta corrispondenza tra politica e civiltà italiana, non posso fare a meno di considerare l’inconsapevole messa funebre che qui e ora si celebra della nostra cultura attuale, intesa nel senso più ampio e generale, con buona pace di Pasolini effigiato cadavere a pochi metri, da un non meno fuori luogo William Kentridge.

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