27 marzo 2008

IL PREZZO D’UNA RIVOLUZIONE

 
di alfredo sigolo

La storia del mercato della fotografia ha poco da spartire con la storia della fotografia. Ha piuttosto a che fare con la storia dell’identità di questo medium. E del suo riconoscimento come espressione artistica. Riepiloghiamone le tappe fondamentali...

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È nei primi decenni del Novecento che arte e fotografia cominciano realmente a convergere. È il momento in cui comincia la sperimentazione del mezzo e si prospetta una possibile alternativa all’utilizzo a fini documentali e registrazione della realtà. Artisti come Alexander Rodchenko, Man Ray e Laszlo Moholy-Nagy inaugurano una nuova era, aprendo a una sorta di multimedialità espressiva ante litteram, nel contesto dei circoli costruttivisti, futuristi, dadaisti e surrealisti.
Nel 1930 il MoMa di New York fu tra i primi musei a cominciare ad acquistare fotografia per la propria collezione, e a istituire un dipartimento dedicato nel 1940. Nel 1936 le celebri intuizioni di Walter Benjamin su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica colgono il processo di emancipazione dell’arte, rilevando il sodalizio compiuto tra arte e nuove tecnologie di comunicazione.
Da co-protagonista, la fotografia assunse un ruolo determinante nel momento in cui la riflessione sulla società di massa diventò concettualmente centrale. Claudio Marra assegna alla Pop Art e agli anni ’60 la responsabilità di questa svolta, che ruota evidentemente intorno alla figura di Andy Warhol e alla sua tensione verso la riproduzione e la trasformazione di sé in macchina.
Ed è proprio alla fine di questo decennio e all’inizio di quello successivo che la fotografia cominciò a interessare il collezionismo. Ma restava ancora un fenomeno di nicchia anche per le case d’asta, che programmavano i primi, rari cataloghi. Howard Read, titolare della famosa galleria newyorchese Cheim & Read, ricorda che ancora negli anni ’70 non c’era alcuna chance per una galleria di sostenersi attraverso la vendita di fotografia contemporanea. Man Ray - Rayograph - 1925Si facevano poche mostre, pochi lavori si vedevano alle prime fiere, pochissimo si vendeva. Pioniera tra le gallerie specializzate fu, nel 1969, la Witkin Gallery di Lee Witkin (tuttora attiva), che cominciò un difficile lavoro di ricerca e critica storica, che le consentì di organizzare mostre di maestri come Stieglitz, Steichen, Weston, Edward Curtis.
Fra timidi tentativi e perplessità diffuse, l’evento dirompente che innescò l’esplosione del mercato della fotografia e sancì il suo definitivo sdoganamento fu l’irruzione, negli anni ’80, delle tecniche di ripresa digitale, nell’ambito di una rivoluzione tecnologica che consentì anche lo sviluppo di nuovi colori e materiali che garantivano resistenza e permanenza.
La spinta fu immediata e poderosa. Nel giro di pochi anni, quasi tutti i musei americani ed europei cominciarono ad assumere curatori per la fotografia, a programmare grandi mostre. Weston Naef, curatore al J. Paul Getty Museum di Los Angeles, paragona gli anni ’80 alla rivoluzione indotta dalla pittura impressionista a cavallo tra il 1870 e il 1880.
La Golden Age della fotografia determinò la nascita di un vero network di gallerie e impattò anche con gli esordi di una generazione di collezionisti, quella sorta dalla globalizzazione e che si stava avviando a cavalcare una nuova economia mondializzata. Le case d’asta, dal canto loro, istituirono settori specializzati e aprirono decisamente i cataloghi di post war e contemporary art: la fotografia finalmente giocava ad armi pari con pittura e scultura.
Il biennio tra il 1989 e il 1990 è ricordato come quello della grande speculazione. Prezzi e giro d’affari raggiunsero livelli altissimi. Ma ecco l’imprevisto, come un brusco risveglio: a partire dal ’91 e fino al ’94 i prezzi dell’arte subirono un tracollo; il crash di mercato coincise con l’invasione del Kuwait e la Guerra nel Golfo. La fotografia, che aveva le spalle ancora deboli (era un po’ la neonata del mercato), ne fu la vittima predestinata. Eppure, ormai qualcosa di epocale era avvenuto e non poteva bastare una contingenza economica avversa a cancellarlo.
Secondo Michele Trimarchi, che insegna Economia della cultura all’università di Bologna, il nuovo collezionismo era portatore di un elemento dirompente sul mercato: la rottura del rapporto binario fra originale e riproduzione, che un tempo ascriveva la riproduzione a un piano secondario e minore.
Diane Arbus - Bambino con granata giocattolo nel Central Park N.Y. - 1962
A metà degli anni ‘90 alla fiera di Basilea il 50% degli espositori proponeva fotografia a colori e nel 1996 nacque la prima kermesse dedicata esclusivamente alla fotografia: Paris Photo diverrà la più prestigiosa vetrina per gli operatori del settore. Dal 1999 i prezzi del mercato dell’arte ricominciarono a salire decisamente. Il dollaro debole diede un contribuito al mercato della fotografia che, in quello stesso anno, visse un vero e proprio boom. Matthew Carey-Williams, vicepresidente di Sotheby’s Contemporary di NY, nel 2001 dichiarò: “La fotografia è il più importante medium degli ultimi dieci anni”.
Ma il rischio che si transitasse in un circuito minoritario, sostituendo la grafica d’autore nel ruolo che aveva avuto negli anni ’60 e ’70, era incombente: il 23% delle foto passavano di mano ancora sotto i 1.000 dollari. Stabilizzare un mercato troppo fluttuante era ormai divenuto l’imperativo per gli operatori, alle prese con artisti fotografi trasformati in bluechip.
Nel novembre 2004, la vendita della Baroness Lampert’s Collection da Phillips de Pury registrò record per Charles Ray, Cindy Sherman, Mike Kelley. Nello stesso periodo, Louise Lawler segnava un incremento dei prezzi su base annua del 61% e in dieci anni i prezzi di Richard Prince erano saliti del 741%. In quell’anno, 105 fotografi superarono la soglia dei 100.000 dollari e settanta erano contemporanei. Il 2004 è anche l’anno della prima edizione di PhotoNY, la fiera organizzata da Artfairs inc. di Los Angeles e che si affiancava alle sorelle Photo San Francisco e Photo L. A.
Luigi Ghirri - Porto Recanati - 1984
Nel 2005 i prezzi dell’arte salirono ancora: in dieci anni quelli della pittura erano cresciuti del 79,8%, quelli della fotografia del 118,8. A ottobre Christie’s organizzava tre cataloghi di fotografia uno via l’altro, totalizzando 14,5 milioni di dollari, e Richard Prince infrangeva la soglia fatidica del milione di dollari con l’opera Cowboy. Frattanto, in questo periodo, montava la “Cinomania”. Le case d’asta organizzavano con regolarità aste dedicate agli artisti del nuovo motore dell’economia mondiale e sul mercato irrompevano dal nulla artisti che si quotavano da subito nell’ordine delle centinaia di migliaia di dollari.
Uno degli avvenimenti del 2006 è stata la messa all’incanto di Christie’s della Refco photography collection: tre aste fra aprile e maggio, che hanno fruttato 9,7 milioni di dollari, il 50% in più delle stime. A luglio si tornò a parlare di boom. In dodici mesi i prezzi erano saliti del 30%, addirittura del 207% in dieci anni.
Le barriere ormai cadevano con regolarità. Del febbraio 2006 è il record per una fotografia storica, il celebre The Pond-Moonlight (1904) di Edward Steichen ($ 2.928.000). Già a maggio, 99 Cent di Andreas Gursky lo aveva superato con 2,3 milioni. E lo ha staccato recentemente (febbraio 2007) con i 3.351.720 dollari ottenuti da 99 Cent II Diptychon a Londra da Sotheby’s.
Andreas Gursky - 99 Cent - 1999
A larghe falcate siamo arrivati a oggi. Di nuovo, un momento chiave: la crisi dei mutui americani dell’estate scorsa tiene tutti con il fiato sospeso. Come reagirà il mercato dell’arte? Almeno una cosa è certa: qualunque cosa accada, la fotografia giocherà la partita tra i protagonisti. La sua battaglia l’ha già vinta.

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alfredo sigolo


*articolo pubblicato in traduzione francese su Exibart.photo

[exibart]

1 commento

  1. La fuga di capitali dalle Borse non può che far bene all’Arte. Ma durerà poco, con i prezzi delle azioni che ci sono in giro fra un po’ incomincerà l’inversione.

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