10 gennaio 2018

Più reale delle Babymetal

 
Sexy, ma non troppo. Giovanissime. In scena senza brividi da concerto, ma calate nella recita del puro spettacolo. Storia di un “idol group” dell'estremo Oriente. E sul perché funziona

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Dicevamo poco innanzi di gente che si conquista un minimo di ribalta grazie a strategie che di musicale hanno poco e sono invece strettamente collegate alla produzione di simbologie massmediali, un routinario procedimento industriale imparentato al progettare autoveicoli o telefonini che divengano inefficienti appena dopo l’acquisto. Nella società dello spettacolo si tenta reiteratamente di inventare cantanti, gruppi, gusti musicali, anche perché il pubblico, mentre sarebbe mediamente soddisfatto di una lavatrice che duri 50 anni (cosa perfettamente realizzabile, ma economicamente suicida), se si parla di produzione culturale tra bulimia e anoressia opta per la prima. Non era mia intenzione evidenziare esterofilia paragonando i microscopici risultati degli artigiani nostrani che partoriscono roba dalla rilevanza impercettibile come Liberato con killer dello showbusiness tipo Babymetal. Ma perché proprio le minigiapponesi e non qualcosa di più famoso come la ragazzina ye-yé [Miley Cyrus, n.d.r.] che ero abituato a vedere sullo zainetto di mia figlia e poi mi hanno informato che, appena cresciuta, si è messa a cantare nuda leccando martelli? 
In primo luogo perché questa storia di vendere con il sesso era già vetusto ai tempi di “chiamami peroni sarò la tua birra”, e anche se commercialmente rodato, da un punto di vista dell’innovazione semantica è pura archeologia. E poi perché dovrebbe essere evidente a ognuno come lo strapotere dell’industria culturale anglosassone sia un complotto rettiliano per ucciderci di noia così da avere via libera nell’invasione del pianeta. Unica salvezza, l’estremo oriente.
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Babymetal
Le Babymetal non sono belle (ma neanche brutte), non sono sexy (neppure del tutto asessuate) ad andare in giro nude non ci pensano affatto (in compenso portano corte gonne rosse con calze fin sopra il ginocchio). Suzuka Nakamoto ha cominciato a esibirsi a 11 anni, nel 2008; stessa età che aveva Yui Mizuno, più giovane di due anni, quando entrò nelle Sakura Gakuin. Moa Kikuchi, anche lei nata nel 1999, è arrivata nel mondo dello spettacolo a otto anni. Le ultime due risultano ai miei occhi del tutto indistinguibili.
Cosa sono le Babymetal? Un riuscito esperimento di ingegneria genetica operata dai responsabili della strategia di mercato della Amuse Inc., azienda fondata 40 anni fa da Yokichi Osato, attuale presidente, che intuì quanto ampio fosse lo spazio per l’imprenditoria dell’immagine nel suo paese. La holding Amuse non solo si occupa di rappresentare commercialmente e legalmente cantanti e modelle, ma costruisce a tavolino gruppi di bambine-adolescenti come le Sakura Gakuin. Le Babymetal nascono come ramo collaterale di queste, unendo al pop giapponese da scuole medie un metal moderno, scuro, pesante. Un ircocervo musicale orripilante, si potrebbe  pensare, ma credo che una corretta valutazione debba tenere in conto la particolare natura di ciò che si è messo in campo, che è musica, sì, ma fino a un certo punto. Altrimenti si rischia di incorrere in grossi equivoci. 
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Babymetal

Un giornalista di una rivista specializzata ha dato, ad esempio, una valutazione pessima di un loro disco dal vivo, scrivendone come se si potesse usare lo stesso metro per le tre fanciulline e gli Allman Brothers. Se fai il recensore e ascolti il disco con le cuffie mentre stai in macchina ti perdi tutto il senso, perché le Babymetal non vanno solo ascoltate, ma osservate, e non bastano i quattro minuti del video di Gimme Chocolate. Io non le ho viste di persona ma baso le mie impressioni sui filmati di due concerti (Red Night e Black Night) registrati al Nippon Budokan all’inizio del 2014, per complessive tre ore (e li ho visti due volte da cima a fondo, quindi le ore passano a sei). Lo spettacolo è fuori dell’ordinario. Spontaneità e improvvisazione sono bandite, effetti scenici avveniristici e calcolati al dettaglio, band composta da musicisti supertecnici, nessuna sbavatura. E al di sopra di tutto la prestazione di queste tre ragazzine che cantano, ballano, corrono, esibiscono sincronismi perfetti; niente incertezze e, palesemente, niente droghe. Caso a sé, il pubblico, che partecipa alla messa in scena con piena consapevolezza del proprio ruolo, perfetto nel tributo al rito collettivo. Altro che Take it easy, questo è il contrario di Woodstock. È “bello” quello che fanno le Babymetal? Domanda un po’ insensata, ma certamente il loro successo sta a rappresentare alla perfezione una civiltà basata sull’adesione del singolo a un’etica del risultato ottenuto attraverso il sacrificio e un’inflessibile disciplina da samurai. Non riesco a immaginare quanto abbiano dovuto provare e allenarsi queste bambine per ottenere quello che vediamo: da una parte mi spaventa ma mentirei dicendo che non provo neanche un minimo di ammirazione. L’estetica che ne deriva descrive meravigliosamente lo spirito che tiene insieme la popolazione dell’area metropolitana di Tokyo, 35 milioni di persone che ogni giorno ci mostrano quello che potrebbe essere il nostro futuro. Un meccanismo dove il senso dell’individuo si percepisce solo all’interno di un organismo sociale esteso, onnipresente, totalizzante. È un mondo lontano e incomprensibile, magari un incubo, ma anche una finzione ostentata con tale esattezza da farci chiedere: esiste oggi qualcosa di più reale delle Babymetal?
Giuseppe Aiello

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