29 agosto 2005

Molto più che falsi d’autore

 
Bootleg sulle star dell’arte contemporanea. In Europa lo si trova intento a venderli in fiere di second’ordine. A New York, dove vive, Eric Doeringer allestisce i suoi banchetti fuori dalle gallerie più famose. Attirando l’attenzione compiaciuta di collezionisti, galleristi e degli stessi artisti che della falsificazione sono vittime…

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Eppure questi quadretti innocenti e un po’ maldestri sono dei veri e propri Cavalli di Troia per il mondo dell’arte, che mettono provocatoriamente a confronto con altri sistemi economici e altre logiche per denunciarne limiti, vanità e ipocrisie. Exibart gli ha posto alcune domande…

Cominciamo dai Bootlegs. Quando hai cominciato a realizzarli?
Ho cominciato a fare Bootlegs verso la fine del 2001 e li ho venduti per la prima volta a Manhattan, sulla Ventiquattresima, in piena Chelsea.

Che procedimento utilizzi?
La maggior parte sono realizzati con una combinazione di pittura e collage. Dipingo lo sfondo, vi incollo una stampa dell’immagine principale, e ricopro tutta la tela con un acrilico chiaro per creare l’effetto pennellata. Ma il processo cambia di volta in volta. I Bootlegs fotografici sono tutte creazioni mie. Per “Vik Muniz” l’originale è la fotografia di un ritratto di Sigmund Freud realizzato con cioccolata. Ho tracciato una riproduzione dell’opera di Muniz con del cioccolato e poi ho fotografato il mio disegno. Per “Cindy Sherman” ho sostituito, con Photoshop, il volto della Sherman con il mio.

Il mondo dell’arte è abituato al falso, truffaldino o dichiarato, ma sempre il più possibile fedele all’originale. Tu lo stupisci con la copia cheap, che vendi a prezzi accessibili. In questo modo stravolgi le regole della falsificazione, ma anche di quel mercato del falso economico cui dici di ispirarti. Qual è il senso vero di questa operazione?
Il commercio clandestino mi ha sempre affascinato. Mi attirano l’economia underground di produzione e smercio dei bootleg, e le differenze tra l’originale e la copia pirata. Ero interessato a assumere il modello economico dei bootleg e applicarlo al mondo dell’arte contemporanea. Mi piace l’idea di fare opere per gente che è interessata all’arte contemporanea ma non più permettersi di collezionare gli originali.

Una sfida al mercato dell’arte…
Esatto. Mi piace anche il modo in cui i Bootlegs si prendono gioco del mercato dell’arte. Sono prodotti in edizioni non limitate. Non sono numerati, e quando vendo tutti gli esemplari di un’opera… ne faccio degli altri. Perciò, un lavoro più popolare sarà meno raro di uno meno famoso, il che significa che i lavori meno famosi sono potenzialmente più collezionabili.

Ma c’era anche qualcosa di personale…
Bhe, i Bootlegs erano anche una reazione all’intero sistema delle gallerie, che per un giovane artista è abbastanza deprimente. Non dovevo mandare il giro presentazioni nella speranza di ottenere una mostra, e poi rinunciare al 50% dei miei guadagni: potevo semplicemente allestire su una strada, vendere i miei quadri, e tenermi tutti gli introiti. Così, è tutto molto più bello. Quando ho venduto, nella settimana inaugurale della Biennale del Whitney 2004, i miei Bootlegs fuori dal Whitney Museum (comprese copie dei lavori di molti artisti presenti in mostra), ho messo in vendita anche finte T-shirt della Biennale, che elencavano i nomi di tutti gli artisti in mostra, me compreso.

Ma eri stato invitato alla Biennale?
No. Però consideravo le mie opere come parte della Biennale.

Come reagiscono gli artisti falsificati e gli addetti ai lavori?
La maggior parte degli artisti, specialmente quelli più giovani, si vantavano di essere stati “piratati”. È segno di popolarità. Alcuni hanno criticato la mia tecnica (“Mi hai sbagliato tutti i blu!”).

Quanti artisti hai copiato?
Più di ottanta artisti diversi

Quanti ti hanno chiesto di piantarla?
Solo due. Penso che questo lavoro si situi in una zona grigia della legge, e non so come andrebbe se fossi trascinato in tribunale: ma rispetto la volontà di chi non vuole essere copiato, e smetto di farlo quando me lo chiedono.

Non credi che i Bootlegs, mettendo le opere d’arte sullo stesso piano degli altri oggetti di culto, possano lusingare il mondo dell’arte più che irritarlo?
Quando ho avviato in progetto non avevo idea di come sarebbe stato accolto dal mondo dell’arte. Il giorno in cui ho allestito per la prima volta il mio banchetto per strada avevo il terrore che qualche gallerista chiamasse i poliziotti.

E invece…
…e invece con mia gran sorpresa (e sollievo) ai più il progetto è piaciuto. In realtà molti collezionisti veri e propri mi hanno comprato dei lavori. Sarebbe bello che un giorno uno dei miei Bootlegs possa valere di più dell’originale di cui costituisce la copia.

Restando sul piano dei “culti”, qualche tempo fa hai realizzato il sito CremasterFanatic.com, un fan site come opera d’arte concettuale, dedicato a Matthew Barney e al Cremaster Cycle. Perché proprio Barney? Il sistema dell’arte ha sviluppato la capacità di creare le proprie star?
Non credo che le star dell’arte stiano per raggiungere lo status delle star del cinema o della musica pop. C’è un reale problema di distribuzione. Proprio la posizione della “star dell’arte” nella cultura contemporanea mi ha spinto a fare i Bootlegs. C’è un enorme mercato di false borsette Gucci e di compact disc da 50 centesimi, ma se avessi venduto i miei Bootlegs in periferia (anziché nei quartieri delle gallerie e nelle fiere d’arte) probabilmente non avrei piazzato un solo quadro. Nessuno avrebbe riconosciuto John Currin o Elizabeth Peyton.
Ho scelto Barney come oggetto del mio “fan site” purché, anche se non ha la fama di un Andy Warhol, è probabilmente l’artista contemporaneo più noto. Ha anche molte delle qualità tradizionali di una celebrità: è bello, è fidanzato con Bjork… Quello che di Barney ho trovato particolarmente interessante è che, dato che i suoi film sono proiettati molto raramente, i più conoscono il suo lavoro attraverso le fotografie. E della gente che ha visto i suoi film, credo che siano pochi quelli che ne hanno inteso il simbolismo, o almeno la trama. Nonostante tutto questo, rimane uno degli artisti più celebri di oggi.
Il progetto cremasterfanatic.com parla più del “culto” e del suo ruolo nell’arte contemporanea che di Matthew Barney stesso. Ma al navigatore casuale continua ad apparire un sito assolutamente normale. Questo gioco tra realtà e artificio è molto interessante per me.

Uno dei temi forti del tuo lavoro è quello dell’identità, della sua costruzione, della sua contraffazione e del suo annullamento…
È divertente, perché non penso quasi mai all’identità come soggetto del mio lavoro (la serie degli autoritratti è un’eccezione), ma sono stato incluso in parecchie collettive con “identità” nel titolo. Chiaramente è qualcosa presente nel lavoro. Credo di essere interessato di più ai modi in cui l’identità si costruisce attraverso le merci, e a quanto gli oggetti apparentemente più superficiali sappiano in realtà dirci di una persona.

Un altro tema chiave è quello dell’illegalità: realizzi quadri falsi e cd pirata, imbottigli prodotti vietati dalla legge (Contraband) e realizzi pipe ad acqua perfette per fumare la marijuana, che poi esponi come sculture (Smoke Filtration Systems aka Bongs): stai sondando i limiti della libertà concessa dalle odierne democrazie o stai dicendo che l’arte è sempre illegale?
Sono interessato ai vincoli e alle “zone grigie”. A New York non puoi bere alcolici per le strade e nei parchi, ma è noto che se tieni la tua bottiglia in un sacchetto la polizia ti lascerà in pace. Con gli Smoke Filtration Systems stavo dicendo: “Ecco qui dei grossi bonga: ma se li chiamo ‘sculture’, questo li renderà legittimi?” Di solito un bonga si nasconde nel ripostiglio o sotto il letto. Gli Smoke Filtration Systems sono troppo grandi per essere venduti, ma in quanto opere d’arte pretendono di essere visibilmente esposti.
Il progetto Contraband è figlio di CD2002, così come gli Smoke Filtration Systems e il mio interesse per il mercato dell’arte. Sono sculture, ma comprandole, vendendole, trasportandole o mostrandole si commette un crimine. Gli oggetti “illegali” sono sigillati nelle bottiglie con uno strato sottile di plastica rossa: tutto ciò di cui hai bisogno per tirarli fuori è un coltello affilato, ma così distruggi la scultura. Può il valore del pezzo come opera d’arte servire da protezione contro i pericoli dell’oggetto che contiene? Forse il fatto che qualcuno spenda 1000 $ per una scultura che contiene 10 $ di marijuana vale come garanzia che lo sta comprando come opera d’arte, piuttosto che per fumarsela?

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Eric Doeringer
Cremaster Fanatic

a cura di domenico quaranta

[exibart]


4 Commenti

  1. Ecco qualcuno che mi entusisma per la capacità di trovare pieghe inaspettate del sistema, lavorarci e forse avere successo.
    Per qualche ragione mi ricorda Tom Friedman!
    Io non li comprerei mai i suoi falsi, ma trovo l’operazione degna di nota!

  2. Un’altra idea che mi ha sempre affascinato è quella delle cover: bisognerebbe organizzare una mostra dove ogni artista interpreta un lavoro tipico di un’altro artista, che so. Pinna che fa un Calignano, Botto e Bruno che ti pittano un Salvino, Picco che ti fa un Botto e Bruno, Cecchini un Bartolini, Martegani Un Pancrazzi che ti pitta un Galliano che ti fa un Kostabi e via di questo passo, sarebbe una mostra bellissima e piena di sana ironia, ne sono sicura.

  3. io li comprerei eccome i suoi falsi…effettivamente chi è che non possiede una copia di un cd o di un paio di jeans firmati miss sexy

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