09 ottobre 2012

L’intervista/ Sarah Cosulich Canarutto Artissima al tempo della crisi

 
Cosa voleva farne, lo ha già detto a Exibart con largo anticipo. Ma ora, che la fiera è al nastro di partenza, Sarah Cosulich Canarutto entra nel merito delle scelte fatte: l'investimento sui collezionisti, la rete realizzata con la città e le sue strutture culturali, gli spazi curatoriali. Ma ci dice anche la sua sui progetti ventilati di espansione e alleanze. Senza dimenticare che alla crisi non si risponde solo con i tagli

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In questa edizione avete cercato di valorizzare il ruolo dei collezionisti. Pensi che la scelta di investire su di loro possa essere efficace in un mercato come quello italiano penalizzato da un’Iva molto più alta che altrove, fatto che porta anche gli stessi collezionisti italiani a comprare spesso all’estero?

«I collezionisti sono il traino di una fiera, portano un’energia che è in grado di dare forza non solo al mercato ma anche all’intera rete dell’arte. Quando artisti e gallerie vengono supportate, ne beneficiano anche i musei, le istituzioni e tutte le realtà coinvolte. Un’importante presenza di collezionisti è in grado di valorizzare gli espositori, permettere loro di rischiare con proposte particolarmente interessanti e non necessariamente “facili” e, conseguentemente, offrire al pubblico una fiera stimolante e di qualità. Noi vogliamo reagire al clima attuale attraverso un progetto propositivo e investendo molte risorse nell’attrarre a Torino numerosi collezionisti stranieri. I risultati finora sono stati ottimi. Continuo a rimanere piacevolmente sorpresa dall’entusiasmo nei confronti di Artissima e della città».

Da dove nasce l’idea di coinvolgere la città più di quanto si facesse prima, realizzando un network sinergico tra istituzioni e mercato?

«Dalla consapevolezza dell’unicità di Torino. Non c’è altra città in Italia con una rete così significativa di musei, fondazioni e gallerie dedicate al contemporaneo. È una città fondamentale anche per il suo ruolo storico legato alla sperimentazione ed è importante che ciò continui a caratterizzare la sua identità, anche in un periodo in cui il minor finanziamento alla cultura indebolisce le istituzioni. Per questo abbiamo deciso di condividere il nostro budget pubblico dedicato alle iniziative curatoriali. Lo abbiamo condiviso con il Castello di Rivoli, la GAM, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e la Fondazione Merz, che hanno curato ognuno un progetto indipendente nelle loro sedi. La mostra “cappello” It’s Not the End of the World” costruisce un percorso tra le sedi più prestigiose della città (il progetto di Artissima verrà realizzato a Palazzo Madama, uno dei principali musei storici di Torino) unito dalla volontà di affrontare diversi aspetti del nostro presente. E se il nostro presente coincide con una profezia, è il momento per dimostrare che è necessario sfatarla, guardando oltre ottimisticamente e insieme. Inoltre, la collaborazione tra istituzioni continua anche con il progetto Artissima Lido per il quale ho chiamato cinque spazi alternativi internazionali a sviluppare dei progetti concepiti specificatamente per cinque piccoli e inusuali musei nel quartiere del Quadrilatero Romano (come il Museo della Sacra Sindone e quello della Resistenza). Anche qui si tratta di valorizzare spazi molto interessanti della città che possono offrire opportunità di dialogo e riflessione ai giovani artisti che verranno coinvolti in quei luoghi. Vogliamo rendere Torino sempre più dinamica e appassionante per il pubblico di Artissima e dell’arte contemporanea».

Alcune fiere, come Viennafair, hanno stretto partnership con altre fiere. Altre, come ArtBasel, continuano sulla strada della globalizzazione, sbarcando a Hong Kong. Pensi che in Italia si possa fare qualcosa del genere? E pensi che Artissima possa essere un partner appetibile per una fiera straniera?

«Le partnership hanno senso se sono studiate con cura nel rispetto dell’identità specifica di ogni evento fieristico. La forza di Artissima sta nella specificità del suo focus sperimentale che la differenzia da altre fiere. Al tempo stesso noi non siamo un ente fiera privato, ma di proprietà degli enti pubblici. Detto questo, è certo che può essere interessante per alcuni progetti allargarsi ad altre città, ma sono percorsi che richiedono considerazioni molteplici e complesse».

Specie dopo l’ultima edizione di Bologna, si è parlato di una aggregazione strategica almeno tra le più importanti fiere italiane. Qual è la tua posizione a questo proposito?

«Diverse fiere italiane insieme? Sinceramente, non ne avevo mai sentito parlare. Si potrebbe pensare forse solo in pochissimi casi, anche per semplici questioni logistiche: difficile immaginare una inaugurazione negli stessi giorni a centinaia di chilometri di distanza… In ogni caso, i presupposti essenziali per qualsiasi ipotesi in questa direzione sarebbero la chiarezza delle specifiche identità progettuali e la condivisione di visioni e obiettivi».

La tua formazione è da curatrice, sebbene hai lavorato in una galleria e sei stata advisor di alcune collezioni straniere, e da qualche anno Artissima si è proposta come una fiera “curata”. Qual è l’aspetto curatoriale di questa fiera a cui tieni di più?

«Io mi sento curatrice perché sono mossa da un’immensa e predominante passione per “l’opera d’arte”. Artissima è una fiera che, grazie al programma culturale collaterale, permette al direttore di confrontarsi spesso direttamente con gli artisti e di condividere idee e progetti. E poi, anche quando mi trovo ad affrontare questioni organizzative e di gestione generale, sento di farlo nell’interesse del valore “artistico” di questa fiera. Artissima è una fiera selettiva che esclude diverse gallerie nel nome della qualità e dell’identità progettuale. Il mio obiettivo fondamentale rimane quello di presentare opere importanti, progetti stimolanti, stand di alto livello. Ovviamente non posso farlo direttamente ma voglio creare le condizioni affinché le gallerie siano in grado di farlo».

È una questione che pongo spesso a diversi interlocutori in questo periodo: la crisi porta tagli, ma si è anche detto che può essere un’occasione di rilancio e di ripensamento dello stato dell’arte. Non ti chiedo dei tagli di questa edizione di Artissima, vorrei sapere invece la tua contromossa di “rilancio”.

«Infatti, sono convinta che in questo momento storico, che inevitabilmente richiede dei tagli, sia fondamentale ripensare l’evento fieristico rispetto alle diverse condizioni, alla situazione economica e alla competizione con altre rassegne. Il network con il territorio e con le sue maggiori istituzioni e la presenza di progetti espositivi significativi in città non vuol dire spostare l’attenzione dalla fiera, ma anzi ci danno la possibilità di arricchire il programma complessivo, l’interesse di nuovi espositori e, come ho detto prima, l’attrattività della città nei confronti di pubblico e collezionisti. Artissima può beneficiare dall’allargamento alla città così come dallo sviluppo della progettualità all’interno dell’Oval. Quest’anno abbiamo sviluppato in nuove direzioni sezioni importanti come Present Future e Back to the Future, abbiamo consolidato alcune iniziative di successo come le Art Walks e Musei in Mostra, abbiamo creato un ciclo di Art Questions che vedono il coinvolgimento di curatori molto importanti e abbiamo ripensato ad alcune dinamiche della fiera, creando una nuova piattaforma Con/TEXT dedicata agli editori e alle edizioni d’arte. Si tratta di un work in progress perché siamo costantemente proiettati nel futuro».

In conclusione, sei ottimista?

«Certo, il lavoro è appena iniziato».

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