20 luglio 2016

Street Art/Parla BR1

 
Impegno sociale o moda? Ecco un’analisi del fenomeno artistico più in voga tra collezionismo e mondi lontani

di

BR1, all’anagrafe Bruno Vottari, nasce a Locri, in provincia di Reggio Calabria nel 1984, vive e lavora a Torino. È stato invitato a vari festival di Arte Pubblica internazionali, tra le sue ultime mostre ricordiamo: “From the city to the world”, al Newton Art Center (Boston, 2012) e “From Street to Art”, all’Istituto Italiano di Cultura (New York, 2014).  Lo abbiamo intervistato mentre fino al 10 agosto è in corso a Milano la collettiva “Freedom as a Form” che vede la sua partecipazione.
Il tuo impegno sociale si sviluppa attraverso la combinazione paradossale dell’utilizzo di simboli culturali occidentali e mediorientali. Una attenzione profonda l’hai focalizzata sul velo islamico, considerato come l’immagine atavica della divisione tra le due culture. Puoi parlarci della tua ricerca?
«È una ricerca che nasce ormai dieci anni fa in maniera spontanea e libera da forzature. Al centro, c’è sempre stato lo straniero: individui che vivono nel mio stesso luogo, magari da molto tempo, ma che sono percepiti dalla collettività come diversi. È una ricerca nata dall’osservazione di come il cittadino di un luogo si relaziona con lo straniero, e viceversa. Più indagavo queste relazioni, più mi accorgevo che lo straniero non aveva una rappresentazione di sé nello spazio pubblico. Quindi ho deciso di dare voce agli stranieri e alla loro identità, dipingendo grandi poster che incollavo proprio negli spazi pubblicitari della città. Spesso questi poster raffigurano donne con il velo islamico, che rappresenta un simbolo spartiacque tra le due culture. Di recente, ho realizzato una serie di poster pubblicitari con dei migranti che tengono in mano una carta di credito Visa: a prima vista sembra una vera e propria campagna pubblicitaria, tuttavia questi poster celano riflessioni legate ai flussi migratori e alla mancata concessione di visti di ingresso verso il nostro Paese. In questi anni, quindi, ho cercato di utilizzare tecniche pubblicitarie per diffondere un messaggio che fosse anti-pubblicitario, che potesse parlare a tutti, installando le mie creazioni proprio negli spazi pubblicitari: meno pubblicità, più cultura».

BR1, La martire

Secondo te quale sarà il futuro della Street Art in Italia? Da fenomeno di protesta a pratica onnipresente per presentare l’artista di turno alla moda? E quale potrebbe essere invece la strategia ottimale per sviluppare un pubblico consapevole e un concetto innovativo che presenti la Street Art in modo solido?
«La Street Art oggi è molto popolare in tutto il mondo. L’evoluzione italiana rispecchierà probabilmente l’evoluzione in altre parti del mondo. Di fatto è un movimento che si è sviluppato in maniera globale e trasversale. Tuttavia, la popolarità di questo movimento ha comportato una deriva commerciale inarrestabile per cui il termine Street Art è spesso utilizzato per pubblicizzare situazioni e prodotti differenti, che poco hanno a che vedere con l’intervento artistico realizzato nello spazio pubblico. Inoltre, la Street Art di oggi è spesso utilizzata dalle istituzioni e dalle aziende per fini diversi, dal pubblicizzare un prodotto ad abbellire quartieri periferici, anziché affrontarne le problematiche sociali. È palese come il movimento Street Art oggi sia controllato dal potere economico e regolarizzato da quello politico: le aziende e le istituzioni spesso decidono cosa puoi fare, dove e quando. E ciò in palese contraddizione con lo spirito originario del movimento, in cui la propulsione anti-commerciale e anti-giuridica avevano portato alla sua esplosione: chiunque poteva esprimersi sui muri della città, in maniera libera e non autorizzata. Per fortuna gli artisti che oggi agiscono nello spazio pubblico con un spirito libero e critico sono ancora molti. Ed è su questi artisti che bisognerebbe focalizzare l’attenzione, perché sovente essi sono in grado di esprimere grandi doti artistiche insieme a riflessioni solide e mature. Inoltre, ci troviamo di fronte ad artisti con grandi capacità strategiche e spiccate propensioni all’auto-organizzazione e alla libertà, capaci di utilizzare la loro arte per mettere in evidenza le incongruenze del sistema politico ed economico». 
BR1, Protect your soul, 2014
Con Banksy la Street Art è entrata a pieno titolo nel sistema internazionale dell’arte contemporanea. Anche nei musei (il Moco Museum di Amsterdam ha scelto di inaugurare lo scorso aprile con la mostra “Banksy Laugh now”), nelle aste (nel 2014 i suoi poliziotti che si baciano di Kissing Corps sono stati venduti al Fair di Miami per 420mila euro), nelle segrete stanze dei collezionisti (tra i suoi massimi estimatori-compratori c’è la coppia Angelina Jolie-Brad Pitt). Che cosa ne pensi?
«Non ci trovo nulla di strano, spesso l’opera di Street Art può essere vista come opera d’arte in senso stretto (una scultura, una fotografia, un’opera pittorica). Può accadere che, se estrapolata dal suo contesto originario, essa conservi la sua forza e la sua identità, oltre al valore artistico. Di conseguenza, sarà regolata dalle stesse dinamiche che formano il sistema dell’arte contemporanea. Ovviamente, ci sono interventi di Street Art che sono effimeri e radicati in un determinato contesto, che quindi non avrebbero vita al di fuori di quel frangente spazio-temporale». 
BR1, May 2016, Berlino
Come nasce un progetto curatoriale di Street Art?
«Se consideriamo la Street Art come contenitore, possiamo annoverare innumerevoli progetti curatoriali, che vanno dalle mostre nei musei alla decorazione di prodotti per conto di aziende, passando per i progetti di muralismo che ormai sono presenti in ogni città. Tuttavia, la mia attenzione è sempre ricaduta su progetti volti ad indagare situazioni e dinamiche sociali che si sviluppano nello spazio pubblico in maniera critica, libera e indipendente, volti a mettere in evidenza possibili falle del sistema e nuove forme di organizzazione. Quando è chiaro il tema d’indagine, si stabilisce il modo migliore per presentarlo al pubblico, allestendo un’esposizione, realizzando una pubblicazione oppure organizzando una serie di video proiezioni; l’importante è scegliere il mezzo più opportuno affinché lo spettatore possa riflettere su quell’argomento in maniera consapevole». 
Camilla Boemio

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