09 maggio 2005

fino al 14.V.2005 Animotion Verona, Studio La Città

 
L’animazione digitale nell’arte. Un bell’argomento di cassetta. E un critico d’assalto, Luca Beatrice. La ricetta perfetta per una ventata di giovanilismo nel tempio veneto del minimalismo. Nonostante l’appeal, qualcosa sembra però non funzionare come dovrebbe…

di

Cinque gli artisti scelti per questo progetto: l’olandese Eelco Brand, che usa il 3D per costruire labirinti naturali nei quali perdersi, la svedese Cecilia Lundqvist, che anima i suoi disegni con microstorie quotidiane e la “star” Magnus Wallin (già Biennale 2001, Art Basel 33 Unlimited, ma qualcuno lo ricorderà anche alle Papesse di Siena), che rende impossibile la conclusione di una gara di centometristi da autopsia ricacciandoli alla partenza. Non manca la rappresentanza italica: Sarah Ciracì, con il suo Marcel Duchamp che si destreggia tra le astronavi e Mario Consiglio che, grazie alla musica del dj Coccoluto, anima le tradizionali pitto-sculture.
Sulle opere nulla da dire, specie quella di Wallin, al solito carica di fascino; semmai è la tesi della mostra ad essere tirata per i capelli. Potremmo ridurla alla constatazione che che anche nell’arte, guarda un po’, la tecnologia applicata è tenuta in debito conto. Di più. Beatrice parla di un profondo cambiamento nella fiction cinematografica conseguente all’11 settembre. Una sorta di cesura che chiude da un lato l’epoca del cinema d’azione, del kolossal catastrofico, e apre l’era di Shrek 2 e Shark Tale, un cinema dell’animazione in cui l’immaginario fantastico, avulso dalla realtà, assolve al ruolo di rifugio tranquillizzante, di distacco dalla drammaticità quotidiana, diventando il luogo del disimpegno.
Magnus Wallin
A corroborare la teoria, la citazione della mostra Animations, tenutasi al PS1 e alla Kunstwerke di Berlino, in cui il curatore Klaus Biesenbach indagò l’universo dell’animazione nell’arte. Eppure proprio quella mostra, inaugurata a New York a neppure un mese dal famoso disastro (e non nel 2002 come scritto), certamente programmata e studiata in tempi precedenti, dimostrava semmai come l’animazione digitale fosse in voga ben prima dell’11 settembre.
Senza andare tanto distanti, l’italico Future Film Festival, tradizionale rassegna cinematografica bolognese dedicata alle nuove tecnologie e al cinema d’animazione, nel 2001 era già alla terza edizione. D’altro canto è dalla metà degli anni ’90 che la Dreamworks di Steven Spielberg e la Disney/Pixar si battono a colpi di pupazzotti digitali, più o meno da quando si è imposto il fenomeno Tim Burton.
Dopo Chi ha incastrato Roger Rabbit? di Zemeckis (1988) l’invasione di cartoonia è stata inarrestabile con Nightmare Before Christmas (1994), Toy Story (1995), Mulan (1998), AntZ e A Bug’s Life (lo scontro del ‘98 tra la formica di Spielberg e quella di Disney, da cui nacque ufficialmente la guerra del digitale), Toy Story 2 (1999), Monster & Co. e Shrek stesso (2001). E anche le trasposizioni filmiche delle saghe degli eroi dei fumetti Marvel erano cominciate prima. Per non dire di videoclip e videogames.
Sarah Ciracì
C’è anche un errore di fondo nel progetto, cioé la riduzione dell’animazione digitale in arte ad una questione di mera tecnica e tecnologia. E’ probabile che un qualsiasi adolescente cresciuto a pane e Playstation si scompiscerebbe dalle risa di fronte agli ordinari effetti speciali di queste opere il cui valore, evidentemente, va cercato altrove: nell’estetica del labirinto, nella trasfigurazione della banalità quotidiana, nella declinazione eroica del corpo umano e via dicendo. Messa giù così, ai disegnetti animati della Lunqvist farebbe le scarpe persino Dolce Remi.
E allora spiace di vedere l’algido spazio veronese, che festeggia quest’anno il 35° anno di attività coerente nonostante tutto, profanato e svenduto alla logica superficiale del polpettone demagogico preconfezionato, con quelle biografie degli artisti, sul foglio di presentazione, limitate agli anni dopo l’attentato, quasi a suggerire una sorta di vocazione insorta dal nulla. Mentre sappiamo bene che, all’epoca, questi ultratrentenni lavoravano da mò. Dunque, cui prodest?

alfredo sigolo
mostra visitata il 26 aprile 2005


Animotion: animazione digitale nell’arte – Verona, Studio La Città, via dietro filippini 2 – Dal 15.IV.2005 al 14.V.2005- orario di visita: 9.00-13.00 e 15.00-19.00; chiuso lunedì e festivi- ingresso libero – per informazioni: tel 045597549 e 0458003708 fax 045597028 – web www.studiolacitta.it

[exibart]

12 Commenti

  1. Ma si sà che Luca è un professionista ma certo non un grand’intelettuale!
    ma perché non estendiamo la nostra critica oltre l’ovvio e non vediamo che oggi
    l’impianto critico-teorico delle mostre, anche quelle che pretenderebbero di rappresentare il contraltare delle situazioni più sfacciatamente commerciali, è
    quasi sempre pretestuoso e opinabile?
    ciò che conta non é forse la semplice circuitazione, l’abbeveratoio per gli operai della cultura al di là di ogni coerenza logica oall’opposto ancora peggio dentro una coerenza logica fin troppo scarna ed ossessiva?
    Poco tempo fa tutti a piangere Szeemann
    e a tesserne le lodi, ma pochi fecero notare
    il dilettantismo delle sue scarne esplicazioni nella biennale come “Piattaforma dell’umanità “, come se alle biennali tra gli autori ci fossero extraterrestri o animali (Il che anche capita, per la verità) mescolando nella nota sala introduttiva opere di diverse epoche e culture sotto un ombrello “umanità”appunto
    assai problematico e che farebbe sorridere
    per compatimento il meno scafato degli antropologi.
    Non mi dilungherei sull’altro fine teorico , tal Bonami e la sua sgangheratissima
    “dittatura dello spettatore”, bellissimo titolo
    mai amalgamatosi con la mostra (se non con ragionamenti elittici a dir poco) probabilmente scaturito ancor prima della delineazione per sommi capi del sbalestratissimo progetto espositivo.
    E che dire delle analisi del grande Bourriaud, altro burocrate irremovibile,
    e dei suoi cospicui ed illuminanti ragionamenti sulle opere degli amici in “Postproduction”, smilzo libello di recensioni più descrittive che altro e, che insomma qualche cosa di più impegnativo, dopo anni
    di tresche festicciole e liaisons (not)dangereues poteva anche concederci?

  2. caro Massimiliano,
    non conosco Alfredo Sigolo (ho scritto giusto?) ma ogni volta che lo leggo mi fa sempre le pulci. Poiché suppongo non si tratti di alcuna questione personale, ciò che apprezzo molto nel tuo giovane recensore è la sua precisione e competenza. Per favore, digli se vuole mettersi in contatto con me che ho bisogno di un assistente e lui mi sembra, per pignoleria, la persona giusta. Digli anche che pago bene.
    cordialità
    luca beatrice

  3. Caro Luca,
    ma da dove ti viene tutta questa ineleganza di schernire un collega solo perché non lo conosci? L’autorevolezza nel nostro mondo giunge davvero più dal frequentare qualche cena o festicciola piuttosto che dall’abnegazione nella scrittura? E un critico che invece di vivacchiare a Milano se ne sta bellamente a studiare e ad approfondire e a fare il giornalista (e sottolineo giornalista) in Polesine, non ha voce in capitolo? Deve sentirsi offrire un posto da assistente? Deve sentirsi dare del “gggiovane” (ma quale giovane e giovane)? Deve subire artifizi retorici di dubbio gusto tipo “ho scritto bene il nome”?

    So bene che tutta l’editoria di settore (e sono magnanimo a chiamarla editoria!) ha bandito la pratica della stroncatura o della recensione critica optando per articoletti asettici al fine di non indispettire l’inserzionista di poche pagine avanti. Ora occorre considerare che le cose con Exibart sono cambiate decisamente. Insomma ogni tanto capita di leggere critiche e stroncature. Si tratta solo di prenderle per quello che sono: giornalismo. Perché il mestiere di Alfredo Sigolo è di fare il critico e il giornalista, non quello di prodursi in pubbliche relazioni atte a far suonare familiare il suo cognome a Luca Beatrice. Poi se Sigolo fa bene il suo lavoro o se farebbe meglio a fare il segretario ad un collega lo possono verificare tutti. Basta, ad esempio, leggere e valutare la qualità di questo articolo. Le cui argomentazioni avrebbero meritato forse una replica di merito, non un messaggio di scherno.

  4. per la cronaca, Luxo Jr. fu il primo corto prodotto dalla Pixar nel 1986, candidato all’Oscar nel 1987 e premiato con l’Orso d’Argento al Festival di Berlino dello stesso anno…detto questo, un elogio ad exibart perchè sta resuscitando il dibattito artistico che sembrava morto e sepolto….dottor beatrice, perchè non prova a rispondere alle precise accuse del (bravo) recensore?

  5. Caro Marco, ma dai del dilettante a Szeeman e non so cosa a Nicolas Bourriaud? Ma ti rileggi quando scrivi? Se criticate tutto allora cosa la seguite a fare l’arte? Postproduction è un capolavoro. Quale la tua alternativa? Bonito? Sgarbi? Telermarket? Nonsolomoda?

  6. non entro nel merito dell’articolo di alf, indubbiamente bene informato e calzante, prova ne sia la reazione – a dire il vero un po’ scomposta – del buon luca beatrice.
    mi preme una risposta a elisa di trieste: definire postproduction un capolavoro è fuori misura. una idea una in quel libro che non sia stata espressa altrove almeno 10 anni prima? un esempio per favore… nel catalogo dello stesso edtore troverai parecchie cose ben più interessanti e stimolanti

  7. (sempre per elisa di trieste): nonsolomoda è un ottimo prodotto, io lo guardo sempre. Ce ne fossero di programmi così.

  8. mia nonna direbbe: “Ma chi è che paga bene ar giorno d’oggi!? Aho, i sòrdi so’ come i dolori… chi ce l’ha se li tiene”

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