22 novembre 2012

Ritratto in studio e foto glamour, i due estremi della fotografia ivoriana

 
Molti fotografi africani sono diventati delle star, anche del mercato. Stavolta però vi proponiamo un viaggio inedito, alla scoperta della fotografia meno conosciuta made in Costa d'Avorio. Con Clic Clac Baby e Paul Sika, due storie diversissime, uno tutto bianco e nero, l'altro in tecnicolor. Ma tutte e due parecchio intriganti. Sullo sfondo degli odori e colori della africanicanissima Abidjan

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Abidjan (Costa d’Avorio), 31 ottobre 2012. Treichville è un quartiere popolare particolarmente vivace di Abidjan. È qui che nel 1959 Jean Rouch, etnologo, antropologo e film-maker francese ha girato il film Moi, un noir (Treichville). Nella via principale si susseguono i negozi dei libanesi, rivenditori di prodotti made in China, ma nei vicoli laterali di terra battuta, tra le fitte case basse, si può trovare lo studio dello scultore Maméry Ballo come l’atelier e lo show-room del celebre stilista Pathé’O che veste le star internazionali. Nelle sue boutique c’è sempre la foto che lo ritrae insieme a Nelson Mandela.

Quest’immagine caleidoscopica di realtà tanto diverse che convivono tra colori, suoni, odori resi ancora più intensi dal sole dell’Africa, diventa un’ottima metafora per avvicinarsi velocemente alla fotografia africana contemporanea, partendo da due autori che ne rappresentano gli estremi: Clic Clac Baby e Paul Sika.

Nato nel 1932 il fotografo conosciuto come Clic Clac Baby, è stato scoperto alla fine del 2011 dal tedesco Stefan Meisel, curatore della sua prima mostra – “Fongnonly 1960 – Acte essence. Le photographe ivoirien Clic Clac Baby» – organizzata la scorsa estate al Goethe Institut di Abidjan. I suoi scatti rimandano alla tradizione del ritratto di studio dei più noti Seydou Keïta, Malick Sidibé, Samuel Fosso e, spostandoci più a nord, dell’algerino Lazhar Mansouri.

«Un mio amico designer ivoriano che vive a Parigi, Jean Servais Somian è nato nello stesso villaggio di Adiake – racconta Meisel – È stato lui a parlarmi per la prima volta di questo fotografo. Quando siamo andati nel suo studio abbiamo scoperto circa 20mila negativi 6×6. Clic Clac Baby disse che in passato ne aveva bruciati moltissimi, perché pensava che non avessero alcun valore. Non si considera un artista, solo un fotografo che documenta la vita quotidiana. È anche per questo che oggi il suo lavoro risulta ancora più affascinante, perché racconta con autenticità gli anni Cinquanta e Sessanta in Costa d’Avorio. Ha iniziato a fotografare nei primi anni Cinquanta, dopo aver comprato per meno di due dollari una macchina fotografica chiamata Clic Clac. Questo è il nome che ha adottato per sé e per il suo studio che si chiama, appunto, Clic Clac Baby Studio. Ha sempre lavorato, e lavora ancora, in bianco e nero. Suo figlio Bernard che ha seguito le sue orme, invece, fotografa in digitale».

Clic Clac Baby ha ritratto la gente comune dentro e fuori dallo studio, mettendo magari un tessuto come fondale sul muro di fango e paglia. Ma ha fotografato anche i più abbienti nel salotto della loro abitazione. Nelle sue fotografie la radio transistor è lo status symbol più rappresentativo, ma c’è anche chi si fa fotografare accanto al motociclo o con un 45 giri in mano. Curiosa quella fotografia che scavalca i tempi in cui la borsetta è al centro tra due ragazze a seno nudo.

La moda entra anche nella visione coloratissima di Paul Sika (Abidjan 1985) il cui interesse per la fotografia – diventato una professione – nasce dalla passione per il cinema e per i videogames. «Nel 2004 ero a Londra, dove studiavo ingegneria informatica alla University of Westminster quando, camminando per Tottenham Court Road, ho avuto un’epifania. Ho visto in una vetrina il trailer del film ‘Matrix Reloaded’. La scena – quella dell’autostrada – era così intensa che ha avuto grande impatto su di me».

L’idea era, dopo essersi laureato, di fare la scuola di cinema per diventare regista. Nel frattempo ha acquistato una macchina fotografica e ha cominciato a fotografare, rimanendo sempre più affascinato da questo linguaggio. «Sono autodidatta e quando più tardi ho avuto l’occasione di entrare in alcune scuole di fotografia, ho pensato che la mia visione singolare stesse meglio fuori da quel sistema. A Londra fotografavo di tutto: la mia finestra, la porta, il televisore, il divano, la scala quando stavo per uscire e poi la strada».

Parlando con il suo amico Soul Diomande, il fotografo scopre il lavoro di David LaChapelle così diverso dalla fotografia che aveva visto fino a quel momento: «Mi hanno colpito i colori, le pose, il modo in cui le storie si integrano con la sua fotografia.” – spiega – “Sono foto divertenti che a guardarle fanno sorridere. Questo sorriso è il collegamento tra l’osservatore e l’immagine».

Nel 2006 realizza i suoi primi progetti che riscuotono grande successo e che hanno per  soggetti due amici – Asana Diallo e Asita Diallo – con cui condivide l’entusiasmo della sua visione. Il suo ultimo lavoro Lilian’s Appeal (2012) sarà presentato a fine novembre alla Galerie Cécile Fakhoury di Abidjan: ruota intorno a sette storie in cui la fantasia, la realtà, la moda si combinano in quella che è stata definita una visione di “Africa in technicolor”.

«Per ogni storia ho fatto un diverso photoshoot, ognuna è dedicata ad un personaggio principale che è collegato alla parola di origine scozzese ‘paisley’. È il modo di interpretare qualcosa di molto bello, favoloso. Il ‘paisley’ è anche un antico motivo decorativo dai molteplici significati».

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