14 dicembre 2012

Napoli visionaria

 
Giorni di fuoco e imperdibili a Napoli per gli art addicted. Con la riapertura del Madre, una grande mostra di Jimmie Durham, un doppio appuntamento con Kentridge e mostre nelle più importanti gallerie. La città, insomma, sembra voler ripartire. Dando un segno concreto di "resistenza". Con l'augurio che non sia un fuoco di paglia. Ma una bella combustione ad alto tasso artistico e civile

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Le quattro giornate di Napoli sembra un titolo azzardato, ma sotto certi aspetti è il più efficace per definire il lungo fine settimana dedicato all’arte contemporanea in città. Il riferimento è al capolavoro di Nanni Loy del 1962, che ricostruisce il tentativo di rivolta dei napoletani all’occupazione dei soldati tedeschi nel settembre del 1943, quindi un atto collettivo e spontaneo di resistenza civile. Di ben diversa portata, questo fine settimana dovrebbe rappresentare un momento da cui ripartire ed affermare attraverso una vivacità culturale una forma di radicale trasformazione. In un momento storico come quello che viviamo, in cui “resistere” è nuovamente un verbo attuale, la cultura prova a ricostruire una coscienza critica. Che tutto questo possa avvenire in una città come Napoli è un proposito interessante, ma si tratta di capire le reali dinamiche che caratterizzano i singoli eventi ed il pensiero che li sostiene.

Tra venerdì 14 e domenica 16 dicembre 2012 a Napoli si susseguiranno una serie di appuntamenti che riportano la città al centro del dibattito artistico contemporaneo internazionale. È bene dire che questa vocazione ha radici antiche, un nome su tutti Lucio Amelio, ma ci ritorneremo più avanti per altri motivi, e una tale concomitanza in luoghi e forme diverse mancava da molti anni. Che questi eventi possano costituire il primo passo di un fare cultura che esprima un reale desiderio di crescita sociale, e non l’ennesima sfilata di regnanti e cortigiani, è da dimostrare, sebbene non manchino gli auguri sinceri.

Cominciamo con la riapertura del Museo Madre, sicuramente l’urgenza che più ha caratterizzato la scena napoletana negli ultimi mesi. La struttura, vacante nella figura del direttore ancora per pochi giorni, riprende l’attività espositiva con una mostra dedicata a Sol LeWitt, “L’artista e i suoi artisti”, a cura di Adachiara Zevi. Quello che il Madre propone come «il primo omaggio museale italiano» reso all’artista americano dopo la sua scomparsa, intende sottolineare la trasversalità di una figura come LeWitt, passando in rassegna l’aspetto teorico, il processo esecutivo, ma anche la capacità di “scelta”: una sorta di omaggio anche al LeWitt collezionista. Sarebbe interessante capire la parentela organizzativa di questa mostra con quella dedicata allo stesso artista e con medesima curatrice, in programma alla Reggia di Caserta tra aprile e luglio dell’anno in corso, ma mai realizzata.

La Reggia di Caserta mi permette di ritornare su Lucio Amelio precedentemente citato: il complesso vanvitelliano ospita la collezione “Terrae motus” da quasi vent’anni, ma non sono in molti a saperlo; garantire una maggiore visibilità di un momento così importante per la storia partenopea sarebbe un atto dovuto e rientrerebbe a pieno titolo nel discorso di premessa. All’artista americano è stata dedicata anche una mostra dalla galleria Alfonso Artiaco per inaugurare i nuovi spazi espositivi a Palazzo Principe Raimondo De Sangro nel centro storico di Napoli.

Sempre nel corso delle giornate dedicate al contemporaneo, sabato 15 dicembre a Palazzo Reale nella sala dorica, andrà in scena la mostra “Wood, stone and friends” di Jimmie Durham, a cura della Fondazione Donnaregina e della Fondazione Morra Greco, primo appuntamento del progetto “XXI”, teso a far dialogare una serie di artisti del panorama internazionale con la città. La riflessione dell’artista americano sull’essenza degli oggetti, sulla natura delle cose, appare quanto mai opportuna per la comprensione del proprio modo di stare nel mondo, per ritornare al concetto iniziale di cultura come coscienza.

Se la mostra di Durham è la prima di questo progetto dialettico di rappresentazione della città, gli appuntamenti che riguardano William Kentridge segnano la realizzazione concreta di un rapporto a lungo protratto. L’artista sudafricano inaugura ufficialmente sabato 15 dicembre l’opera Cavallo e cavaliere per la nuova stazione metropolitana di via Toledo (già ultimata due mesi fa), tappa, anzi fermata in questo caso, dell’epopea dell’eroe equestre ispirato al Naso di Gogol. Quasi una stazione d’arrivo di un viaggio avviato dal cavaliere dell’assurdo nel 2009 nel salone degli arazzi del Museo di Capodimonte con la mostra “Strade della città”. In questo itinerario l’eroe di Kentridge ha solcato alcune mappe storiche di Napoli: l’arrivo alla metropolitana appare come la manifestazione concreta di una riappropriazione della propria storia collettiva che si manifesta nella ripresa degli spazi pubblici. A completamento dell’inaugurazione dell’opera per la stazione metropolitana di via Toledo, allo stesso artista, presso la galleria Lia Rumma, è dedicata l’esposizione “Sketches for a Neapolitan Mosaic” con disegni, studi, bozzetti da cui emerge un approfondito ritratto della città.

Alla potenza di fuoco di Lia Rumma si affianca una galleria più “giovane”: Dino Morra per sabato 15 propone una collettiva dei suoi artisti: “The one-group show (Afterall, Chiara Coccorese, Daniela di Maro, Cristina Gardumi, Devrim Kadirbeyoglu, Pierpaolo Lista, Moio&Sivelli, Anja Puntari, Lamberto Teotino, Mary Zygouri). Infine, in questa panoramica sul week end dell’arte napoletana bisogna inserire doverosamente anche le mostre “We are one body” della spagnola Eulalia Valldosera e “Capuzzelle” di Rebecca Horn allo Studio Trisorio. L’artista tedesca rinsalda il legame con la cultura napoletana, inserendosi in una linea che da Goethe a Beuys ha riconosciuto in questa terra il luogo “dove fioriscono i limoni”.

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