02 ottobre 2014

Inarrivabile Cartier-Bresson!

 
Si è appena aperta all'Ara Pacis di Roma una grande antologica dedicata al fotografo francese. Che era anche disegnatore - dal 1974 smette di fotografare per dedicarsi solo al disegno - e pittore. Attraverso oltre cinquecento immagini, nel museo romano scorre la sua storia, insieme a quella del Novecento. Secolo vissuto intensamente da Cartier-Bresson che ha puntato il suo obiettivo nei luoghi più diversi del pianeta. Con inconfondibile classe

di

Roma, 1959. © Henri Cartier-BressonMagnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Amato, riverito, citato, Henri Cartier-Bresson è l’essenza della fotografia del Novecento, un secolo che ha esplorato con il suo sguardo profondo, l’intuizione e l’approccio intellettuale, come testimoniano immagini come Eunuco della corte imperiale dell’ultima dinastia, scattata a Pechino nel 1949; le foto di Scanno del ’51, il ritratto di Albert Camus a Parigi (1944) e innumerevoli altre, ugualmente assurte ad icone di un’epoca.
Cartier-Bresson era nato nel 1908 a Chanteloup-en-Brie (Francia), morì nel 2004 a Montjustin. La sua definizione del “momento decisivo” accompagna – spesso anticipandola – la conoscenza stessa del suo lavoro. Uno straordinario patrimonio in buona parte conosciuto attraverso le numerose esposizioni internazionali che, tuttavia, non manca di stupire per la sua complessità. 
Dieci anni dopo la sua morte arriva al Museo dell’Ara Pacis di Roma – città da lui particolarmente amata: vezzosamente affermava di essere stato concepito qui – la grande retrospettiva Henri Cartier-Bresson (fino al 25 gennaio 2015) partita dal Centre Pompidou di Parigi che l’ha realizzata in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson. 
La mostra, accompagnata dal catalogo e dalla guida editi entrambi da Contrasto, è curata da Clément Chéroux, storico della fotografia e conservatore capo del Dipartimento Fotografico del Museo Nazionale d’Arte Moderna al Centre Pompidou di Parigi che, durante la presentazione alla stampa, ha spiegato la metodologia adottata nella selezione delle opere e nella costruzione del percorso espositivo. 
Domenica in riva alla Senna, Francia, 1938. © Henri Cartier-BressonMagnum Photos-Courtesy Fondation HCB

L’esigenza era, intanto, quella di rompere gli schemi adottati dagli anni ’60 al 2000 per mostrare il lavoro di Cartier-Bresson in chiave unitaria, quindi puntando ad una riconoscibilità autoriale attraverso l’omologazione delle stampe: fotografie appartenenti a periodi differenti venivano stampate nello stesso formato e con la stessa tonalità. Una scelta motivata dall’urgenza della “battaglia per il riconoscimento della fotografia ad entrare a pieno titolo nei musei”. 
Non meno importante la sostituzione della consueta suddivisione per aree geografiche (Messico, Spagna, Italia, Francia, Unione Sovietica, Cuba…) con quella cronologica che dagli anni ’30 arriva alla contestazione del ’68, attraversando la seconda guerra mondiale, il dopoguerra con il processo di decolonizzazione, gli anni dell’attivismo politico e il boom economico.
In questo lungo arco temporale si collocano – sono noti, ma vanno comunque ricordati – tre momenti particolarmente significativi nella storia della fotografia: la prima retrospettiva dedicata a Cartier-Bresson, tra il MoMa e il Metropolitan New York nel 1947; la fondazione – nello stesso anno – della cooperativa Magnum Photos con Robert Capa, George Rodger, David Saymour (Chim) e William Vandivert e la partecipazione alla mostra The Family of Man curata da Edward Steichen al MoMa di New York (1955).
Ripercorrere cronologicamente questo intenso iter del fotografo francese significa anche sottolineare le varie sfaccettature dell’uomo e dell’artista, che dal 1974 in poi abbandonerà gradualmente la fotografia per tornare al primo amore: il disegno. 
Siviglia, Spagna, 1933. © Henri Cartier-BressonMagnum Photos-Courtesy Fondation HCB

Come è mostrato in occasione di questa retrospettiva, tra le oltre cinquecento opere che contemplano fotografie vintage, film e documenti, una certa rilevanza è affidata ai disegni e ai dipinti che risalgono alla seconda metà degli anni Venti, ai tempi in cui Cartier-Bresson studiava con André Lhote. 
L’influenza del Surrealismo – riconosciuta dal fotografo – è presente in molte suoi lavori, anche quando la realtà prevale sull’immaginazione, l’importante è come è lui stesso ad affermare: “Non fare rumore, evitare qualsiasi ostentazione personale, essere, per quanto mi riesce, invisibile, evitare di ‘predisporre’ o ‘mettere in scena’, limitarsi a esserci, avvicinarsi pian piano , a passo felpato, per non smuovere le acqua.”
Molti lati privati dell’autore escono dalle righe, che siano documenti come la lettera con il disegnino dello scaut tracciato con l’inchiostro, indirizzata alla mamma nel 1920 circa o l’autoritratto che mostra il suo piede destro nudo, scattato mentre era sdraiato su un muro antico, circondato dalla vegetazione rigogliosa nei pressi di Siena (1933).
Hyères. Francia, 1932. © Henri Cartier-BressonMagnum Photos-Courtesy Fondation HCB

Tra le immagini ufficiali di reportage non può lasciare indifferente la sequenza del funerale e della cremazione del Mahatma Gandhi, seguita della dispersione delle sue ceneri nel Gange (31 gennaio 1948) – pubblicata su Life, che ha la forza dell’immediatezza ma cela anche l’incredulità e il dolore di chi sta dietro il mirino, che proprio il giorno prima dell’assassinio era stato ricevuto dal leader pacifista. 
Altri due aspetti che s’intrecciano nel percorso di Cartier-Bresson sono l’impegno militante nel Partito Comunista attraverso una fotografia sociale di denuncia e anche il cinema documentario, che gli aveva “insegnato a vedere”: un’arte in cui si esprime dopo l’incontro con il grande Jean Renoir. 
La fotografia, in conclusione, è per lui “un duro piacere”; “il reportage è lo scatto unico, la scorciatoia capace di esprimere una situazione”, lì dove il cinema “è un discorso”. 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui