08 ottobre 2014

Il ritratto all’epoca del Führer

 
Per la XIII edizione FOTOGRAFIA 2014, l’Accademia Tedesca propone un confronto tra due fotografi degli anni Venti e Trenta. Uno fortemente sociale, August Sander, politicizzato e radicato nel suo tempo. L’altro, Helmar Lerski, innamorato della luce e dei suoi inganni. Il vis-à-vis è la dimostrazione di come un’istituzione culturale possa lavorare sulle propri risorse: gli artisti. Valorizzandoli

di

August Sander, Der Maler Franz Wilhelm Seiwert, Koln 1928

A dieci anni di distanza dalla mostra romana “Ritratti. Fotografie di August Sander”, che presentava ai Musei Capitolini una selezione dei progetti “Menschen des 20. Jahrhunderts” (Uomini del XX secolo) e “Antlitz der Zeit” (Il volto del tempo) del fotografo tedesco, l’Accademia Tedesca Roma Villa Massimo – sempre nel circuito di FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma che dedica la sua XIII edizione al tema del ritratto – ospita la mostra fotografica “August Sander – Helmar Lerski” (fino al 7 novembre)
Un percorso parallelo che è anche il primo appuntamento della rassegna sull’evoluzione della fotografia tedesca dagli anni ‘20 e poi 30 ad oggi incentrata sul dialogo/contrasto tra due fotografi coevi.  In questa occasione vengono proposte una trentina di immagini del grande interprete della ritrattistica del secolo scorso – August Sander, nato a Herdorf nel 1876, visse a Colonia dove morì nel 1964 – insieme alle foto del progetto Trasformazioni attraverso la luce (1936) di Helmar Lerski (Israel Schmucklerski, Strasburgo 1871- Zurigo 1956), mostrate per la prima volta in Italia.
Helmar Lerski, aus Metamorphose, 1936

«Per la sua radicalità e compattezza l’opera di Helmar Lerski è unica nella storia della fotografia del primo Novecento», scrive la critica fotografica Ute Eskildsen, curatrice della mostra.  «Diversamente da August Sander, Lerski non era interessato ad una caratterizzazione sociale, come potrebbe far pensare il titolo Köpfe des Alltags, bensì piuttosto alla rappresentazione delle forme espressive della gente con l’aiuto della macchina fotografica, con l’aiuto della luce».  
Due punti di vista profondamente diversi – quindi – accomunati dal rigore di una composizione che lascia trapelare un’attenzione imprescindibile per l’elemento psicologico, in cui nulla è affidato al caso.
Sander vuole documentare la società tedesca a cui appartiene, così com’è: incertezze e inquietudini incluse. Per descrivere i suoi personaggi – che hanno quasi sempre un’identità annunciata da nome e cognome – ricorre spesso agli attributi, secondo la tradizione iconografica: il maestro pasticcere Franz Bremer è nella sua cucina di Colonia con il tegame tra le mani; gli operai del gas con le lanterne; i giovani contadini con il vestito della festa e il bastone da passeggio nei sentieri di campagna; la dattilografa dietro alla scrivania dell’ufficio; la giovane cameriera con la tazza… e poi il pianista, il pittore, la moglie del pittore, il barbiere di paese, il manovale, l’agente immobiliare, il disoccupato, il magnate dell’industria…
August Sander 1914-® Die Photographische Sammlung SK Stiftung Kultur, August Sander Archiv Koln, by SIAE 2014

L’ambizioso progetto del fotografo è quello di creare una galleria “umana” enciclopedica, ma in un certo senso anti-eroica, adottando uno sguardo neutro per avvicinarsi alla realtà. Prima di scoprire il mezzo fotografico, Sander lavora nelle miniere della sua città natale, dove nel 1892 conosce il fotografo Heinrich Schmeck: si appassiona immediatamente alla fotografia, tanto da acquistare il suo primo apparecchio e costruire una piccola camera oscura. I primi volti che fotografa sono proprio quelli degli operai che lavorano in miniera, seguiti nel tempo da tantissimi altri.
Il 1929 è l’anno della pubblicazione del libro Antlitz der Zeit (Il volto del tempo) costruito intorno a sessanta ritratti fotografici. Thomas Mann lo definisce «la rivelazione di un tesoro per gli amanti della fisiognomia e un’eccezionale opportunità per lo studio dei tipi umani caratterizzati dalla professione e dalla classe sociale», mentre per Walter Benjamin è «un atlante dell’essere umano su cui esercitarsi.” 
August Sander, Hotel personal in Hamburg, 1928

Da quegli scatti emerge una realtà autentica e una libertà d’espressione distante dal modello propagandistico esaltato dall’emergente Partito Nazionalsocialista, tanto che nel 1936 i nazisti arrivano a distruggere le lastre e vietare la distribuzione del libro. Sander è penalizzato anche per avere un figlio – Erich – attivista nel Partito Socialista dei Lavoratori che finirà i suoi giorni nel 1944, in una prigione a Salisburgo. Nello stesso anno, durante i bombardamenti aerei di Colonia, viene distrutto il suo studio con circa 30mila lastre. Un altro grave danno sarà l’incendio del suo archivio conservato presso il Zentrum der Photographischen Sammlung/SK Stiftung Kultur di Colonia. 
Quanto alle immagini di Helmar Lerski, fanno parte della collezione del Museum Folkwang di Essen, che nel 1982 ha ospitato la prima retrospettiva dedicata a Lerski, grazie alla donazione dei documentaristi Reni Mertens e Walter Marti ai quali la vedova del fotografo aveva ceduto il suo lascito fotografico. 
Helmar Lerski, aus Metamorphose, 1936

Ricca di aneddoti anche la biografia di Lerski che risiede negli Stati Uniti tra il 1893 e il 1915, dove dopo aver preso lezioni di recitazione inizia l’attività di fotografo. Tornato in Europa lavora a Berlino per diverse società cinematografiche: nel 1931 pubblica il libro fotografico Köpfe des Alltags (Teste della quotidianità) e nello stesso anno si reca per la prima volta in Palestina dove realizza Jüdische Köpfe (Teste di ebrei). In Palestina vive dal 1932 al 1948 lavorando a diversi progetti, inclusa la straordinaria opera ritrattistica Verwandlungen durch Licht (Trasformazioni attraverso la luce). Nella serie di dieci immagini in bianco e nero esposte a Villa Massimo c’è una sintesi della sua poetica che affonda le radici nella teatralità e nella definizione della fisionomia attraverso l’incidenza della luce. «Il ritratto non riceve la sua importanza dalla somiglianza delle superfici fedeli al modello – scrive nei suoi appunti – bensì dai moti di una vita interiore che si riflettono sul volto – rendendo quindi visibile l’invisibile».
 

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