07 agosto 2016

New York rilancia col nuovo Met

 
Dove sorgeva il Whitney (ora trasferito a Meatpacking), a pochi passi dalla Quinta Strada, è nato il nuovo Met Breuer, terza sede del Metropolitan Museum. Ed è successo

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Uno ne sposti e uno ne nasce. Funziona così, a New York. Dove a primavera scorsa ha inaugurato la terza sede del Metropolitan Museum of Art, il Met Breuer, dal nome dell’architetto (Marcel Breuer) che costruì l’edificio – tra Madison Avenue e la 75th Street  – che per cinquant’anni ha ospitato il Whitney Museum, ora trasferitosi a Downtown, nella nuova sede che porta la firma di Renzo Piano. Ed è così che la Grande Mela si ritrova con una rinnovata proposta museale, più ricca che mai. Di qualità, pure. Una buona notizia, per il mondo dell’arte e per gli appassionati, che bilancia la novità introdotta di recente (e davvero poco gradita) del biglietto di ingresso da 25 dollari al posto dell’accesso gratuito che aveva sempre contraddistinto il museo. Ma forse è proprio questa la nuova sfida per l’arte in tempi di crisi: riuscire ad essere attrattivi attraverso un’offerta di qualità, sia pure a caro prezzo. In questo scenario il nuovo Met si propone al pubblico con un programma di 8 anni e l’obiettivo di portare all’attenzione l’arte moderna e contemporanea attraverso parallelismi con la storia e retrospettive. 
Un esempio è la mostra inaugurale: “Unfinished: Thoughts Left Visible” (ovvero: idee non finite ma lasciate in vista) che ha subito colpito nel segno, registrando grandi affluenze e critiche decisamente positive. In mostra ci sono opere che delineano un percorso di oltre 500 anni di storia e di arte incompiuta, stimolando un dibattito aperto sul senso di completezza di un’opera d’arte, ponendo la domanda: quando, secondo un artista, un’opera si può definire davvero finita? 
Leonardo da Vinci, La Scapigliata, 1500-1505
Si tratta, in parte, di opere estratte dalle collezioni permanenti del Metropolitan, molte delle quali però erano state raramente esposte nella sede principale, a cui si aggiungono altre opere ottenute in prestito da altri musei con collaborazioni internazionali su ampia scala. Con dipinti, sculture e installazioni che hanno come comun denominatore l’incompletezza. O presunta tale. Sì, perché oltre alle incompiute per ragioni pratiche o cause di forza maggiore, esistono anche opere non completate deliberatamente dall’artista. Ci si imbatte così nella straordinaria testa di donna di Leonardo da Vinci (La Scapigliata), posizionata accanto agli schizzi preparatori di Michelangelo realizzati in vista della decorazione della Cappella Sistina di Roma. Ma ci sono anche diversi esemplari di Rembrandt, oltre a una lunga serie di capolavori di Rodin, Cezanne, Turner e Picasso, del quale si possono ammirare lavori preparatori di opere immense come Guernica e Arlecchino. O il celebre paesaggio di Arles lasciato incompiuto da Vincent Van Gogh
Édouard Manet, Madame Édouard Manet (Suzanne Leenhoff, 1830–1906), ca. 1873
Ma ci sono anche i contrasti e le provocazioni più moderne nelle istallazioni di Lygia Clark, Jackson Pollock, Robert Rauschenberg e tantissimi atri, arrivando così a un percorso di circa duecento opere, distribuite su due piani, sollevando una serie di interrogativi rispetto al ruolo dell’artista oltre alle sue forme di espressione. Ed è proprio quello che vuole fare il nuovo Met Breuer: proporre analisi e ricerche tematiche più specifiche rispetto alle mostre più rivolte alla massa. Come annunciato dal direttore Thomas Campbell, questo tipo di ricerca tematica ispirerà anche le prossime mostre del nuovo museo, sfruttando al meglio le nuove gallerie a disposizione del Metropolitan. Nelle quali tuttavia troveranno posto anche altri artisti, di ogni parte del mondo, con una sensibilità geografica dettata anche dall’attualità. Per esempio, la mostra sugli “incompleti” è stata affiancata dalla retrospettiva dedicata all’artista indiana Nasreen Mohamedi, autrice di una esplorazione sulle molteplici possibilità espressive tra una particolare tradizione etnica fatta di arabeschi e le geometrie su cui si articola molta dell’arte astratta occidentale, condotta nel corso della sua breve esistenza (1937-1990). Insomma, il Met rilancia, almeno nell’offerta. Ma non sarà certo banale gestire la nuova offerta museale con il piano di ristrutturazione finanziaria annunciato prima dell’estate e alla perdita di personale che si registrerà nel prossimo biennio. Per un’altra grande sfida da affrontare. Intanto, lo spettacolo deve continuare.
Alessio Crisantemi

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