08 febbraio 2017

Senza visione non c’è progetto

 
Alla Triennale di Milano va in scena Mario Bellini, il suo essere diversamente architetto aperto a prospettive di bellezza. Senza dimenticare la tecnica

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Mario Bellini (1935), designer, architetto milanese di fama internazionale e dal pensiero versatile, non ha mai smesso di porsi prospettive inventive poliedriche e progetti di bellezza. Come lo si vede nella sua prima mostra retrospettiva nella sua città natale, intitolata “Italian Beauty” (fino al 19 marzo), a cura di Deyan Sudjic, direttore del Design Museum di Londra con Ermanno Ranzani (architettura) e Marco Sammicheli (design), distribuita su oltre 1000 metri quadrati del piano terra della Triennale. Perché questo titolo? Secondo Bellini, la ricerca di bellezza ha ancora un senso salvifico, anche per noi italiani ormai assuefatti da questo valore identitario culturale, che spesso trascuriamo. 
Bellini, dalla curiosità onnivora, compirà 82 anni a febbraio, riassume con questa mostra quasi 60 anni di carriera trasversale tra design, architettura, exhibition design e indimenticabili allestimenti di mostre in palazzi storici prestigiosi. Il progettista, laureatosi nel 59 al Politecnico di Milano, “marcato” dall’insegnamento di Gio Ponti, Ernesto Nathan Rogers, Piero Portaluppi, ha ottenuto numerosi successi (otto compassi d’oro, direttore della rivista “Domus” dal 1986 al 1991) mentre molti suoi arredi e oggetti sono già icone, come i mangiadischi pop del 1968, tanto per citarne uno, e altri oggetti che incarnano la tradizione progettuale italiana. 
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I suoi progetti trovano nel disegno l’atelier del pensiero, dove prendono forma prospettive di futuro. Dopo l’esperienza all’interno dell’Ufficio Sviluppo della Rinascente, diretto da Augusto Morello (1960-62), l’architetto nel 1963 collabora con Olivetti, fucina della cultura del design. A trent’anni di distanza dalla sua retrospettiva al MoMa di New York nel 1987, che possiede 25 dei suoi progetti, e di cui curò l’allestimento, questa mostra alla Triennale è unica, da vedere più che raccontare perché il progetto di allestimento è l’opera che lo rappresenta nella sua versatilità progettuale. 
Tra gli anni’80 e ’90 Bellini si dedica a progetti di architettura mirati al superamento del razionalismo critico e più attenti alla memoria, alla storia del luogo, del territorio, dell’ambiente e dei materiali sempre diversi, una caratteristica costante nella sua ricerca. In generale le soluzione adottate dall’architetto sono fortemente contestualizzate, si integrano con l’ambiente circostante e nello stesso tempo sono autonome e indipendenti. Sono ricorrenti nei suoi progetti le forme orizzontali, l’uso delle grandi e scenografiche coperture ai dispositivi spaziali. Inquadrare la sua vena creatrice non è possibile, è uno sperimentatore libero, orientato a trasformare la produzione industriale, ogni esperienza professionale e di vita per ripensare gli interni, gli arredi e soprattutto lo spazio abitabile e urbano, dove il cittadino non si senta ospite. Ha intuito l’umanizzazione dei prodotti elettronici, investito nella portabilità degli oggetti, come dimostra P101 (1965), considerato l’antenato del personal computer e Divisumma 18 (1973), calcolatore con membrana elastica, fino all’idea di pensare a un automobile dove l’abitacolo fosse concepito come uno spazio vitale in movimento (la concept car Kar-a-Sutra del 1972), monovolume che rivoluzionò le berline tradizionali. 
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Il viaggio immersivo dentro il suo immaginario creativo incomincia nell’atrio del Palazzo dell’Arte, con la maestosa scaffalatura lunga 25 metri, alta 6 che teatralizza lo spazio, che evoca quella dipinta nel San Gerolamo nello studio (1475-1475) nello studio di Antonello da Messina. Nelle nicchie di questo imponente “Portale/ Biblioteca” si trovano frammenti di vita, oggetti di design, immagini, da una giacca di Issey Miyake all’opere di Ettore Sottsass, fino alla raccolta completa di lettere di Wolfgang Amadeus Mozart, ai piatti di Lucio Fontana, al portaghiaccio di Gio Ponti e qui non poteva mancare un foglio bianco e una matita dove prende forma l’idea. Questa macchina scenica summa e incipit della mostra è il manifesto poetico di ciò che poi viene declinato all’interno nelle singole sezioni. È un’istallazione ambientale che testimonia quanto Bellini ha trasformato in progetti l’immaginazione suggerita da rapporti con diversi protagonisti dell’imprenditoria italiana e estera, da Steve Jobs a Roberto Olivetti, Cesare Cassina, Augusto Morello, Ennio Brion e tanti altri protagonisti del nostro tempo. 
Il percorso espositivo si snoda lungo quattro sezioni dedicate a Bellini architetto con filmati proiettati su grandi schermi che catturano l’attenzione dello spettatore. Tra gli altri progetti si ricorda l’architettura /isolato della Fiera di Milano, il cosiddetto Portello (1997), il Dipartimento delle arti Islamiche al Louvre (2012), la seconda architettura contemporanea nel complesso del grande Museo di Parigi dopo la piramide di Ieoh Ming Pei, il Padiglione Italia Expo 2015 e molti altri lavori che documentano come ogni nuovo progetto sia come un viaggio, una ricerca per una prospettiva di significato, di un’emozione e della bellezza.
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Per Bellini l’immagine, l’opera d’arte antica e moderna, è laboratorio di una ricerca che trova nel passato un potenziale espressivo per reinterpretare il presente e configurare il futuro. La sezione centrale, pensata come una piazza, è incentrata sul tema del mostrare. Nella galleria sono esposti arredi, oggetti, macchine, progetti illustrati sul pavimento e alle pareti. Intrigano gli specchi che modificano la percezione dello spazio, appesa al soffitto della galleria incuriosisce una sequenza di più di 100 immagini che tracciano un percorso visivo e sintetizzano il suo pensiero trasversale  e vitale. L’esposizione si chiude con l’ultima sezione intitolata Next, quella proiettata nel futuro che presenta alcuni progetti in fase di realizzazione. Dall’Antiquarium forense, con un nuovo museo che racconterà le origini di Roma antica, fino a una sedia in plastica in fase di messa a punto, Bellini ricorre costantemente all’immaginazione, conferma la sua capacità di reinvenzione formale con soluzioni costruttive complesse, articolate come causa ed effetto di un processo ideativo caratterizzato da codici riconoscibili, in cui convergono elementi materiali e allegorici. E per Bellini l’imperativo categorico è: senza visione non c’è progetto. 
Jacqueline Ceresoli

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