16 marzo 2017

Manet. Luci e ombre della vita moderna

 
Tra classicismo e realismo, il pittore preimpressionista svela la Parigi del Secondo Impero. Tra pittura spregiudicata, piatta e nerissima. Allora rifiutata e oggi osannata

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Paesaggi naturalistici, nature morte, ambientazioni cittadine d’interni e d’esterni, specchi d’acqua trasparenti, boulevard, scene di vita parigina irrorate dalla luce naturale di giorno e artificiale di sera a teatro, nelle birrerie e brasserie, caffè-concerto. Ecco il presupposto tematico di una pittura rivoluzionaria dagli effetti pulviscolari, fluidi dall’impianto compositivo solido, preimpressionista, che comincia a manifestarsi anche nei ritratti femminili, di intellettuali e scrittori. Questi e altri sono i soggetti delle opere di Edouard Manet (1832-1883), primogenito di una famiglia borghese destinato a diventare avvocato o ufficiale di marina, che poi intraprende la carriera artistica nel 1850, quando il pittore entra nell’atelier di Thomas Couture, dove vi resta per sei anni, a cui seguiranno viaggi in Italia, Germania e Paesi Bassi e nel 1865 nella Penisola Iberica per studiare e copiare gli antichi maestri. 
Negli anni ’60 dell’Ottocento, Manet e Courbet incarnano il ruolo dell’artista indipendente, di quelli fedeli alla loro ricerca artistica, dipingendo opere aspramente criticate dai giurati dei Salon, dal realismo troppo moderno per l’epoca e non compresi dal pubblico. Manet, seppure osteggiato dalla critica, sarà invece copiato da altri artisti coevi e sostenuto dall’amico Charles Baudelaire, più anziano di Manet che invita gli artisti a scoprire la bellezza della sua pittura moderna capace di rispecchiare lo spirito dei tempi. Emile Zola, lo supporta a partire dal 1876, quando il pittore espone alla mostra personale organizzata al Pavillon de l’Alma e anche Sthéphane Mallarmé, lo considera come un pittore moderno dalla ricerca intellettuale. Negli anni ‘70 Manet, seppure riconosciuto come il capofila degli impressionisti, il gruppo con il quale rifiuta di esporre, aspira a conquistare il plauso dei Salon anche se in questi anni si dedica con Monet e Renoir alla pittura en plein air ad Argenteuil, dove la sua tavolozza acquisisce una nuova fluida luminosità. “Luci e ombre” di Parigi, sono i soggetti più interessanti di Manet, concepiti come “istantanee” della vita cittadina nella capitale cosmopolita del XIX secolo.
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Lo racconta bene a Palazzo Reale a Milano la mostra intitolata “Manet e la Parigi moderna” (fino al 2 luglio), attraverso 94 opere prestate dal Musée d’Orsay, che rivela lo sguardo flaneur di un pittore ambivalente, realista ed epico insieme, interessato più agli uomini e alla loro vita che non alle architetture e a cogliere in una pennellata il dinamismo della vita moderna. Manet “fotografa” la Parigi dell’Ottocento nel pieno del suo cambiamento urbanistico e sociale con la “nouvelle peinture”, e la pittura è il fil rouge della retrospettiva milanese divisa in due macro sezioni, Nuova Pittura e Parigi moderna a cura di Guy Cogeval (Presidente del Musèe D’Orsay e dell’Orangerie), con le studiose Caroline Mathieu e Isolde Pludermacher. Mostra che, aperta da pochi giorni, vanta già 36mila prenotazioni. 
L’esposizione che, attraverso 16 dipinti,11 tra acquarelli e disegni, più 40 opere di autori coevi (Cézanne, Degas, Renoir, Gauguin, Boldini, Fantin-Latour, Monet e altri) ripercorre la storia del pittore preimpressionista, è stata prodotta da MondoMostre e Skira in collaborazione con Musèe D’Orsay. Evidenzia come Manet, nell’elaborazione del suo colto linguaggio pittorico, è stato influenzato dalla pittura italiana, in particolare da Tiziano nell’ Olympia  (1863-1865) e Giorgione in Le dejeuner sur l’herbe (1863), opere scandalose per l’epoca non presenti in mostra, Goya nel capolavoro indimenticabile Le balcon (1868-1869), Velasquez e le stampe giapponesi di gran moda nella Parigi di Napoleone III, progettata dal barone Georges-Eugène Haussmann, assurta a culla dell’eleganza, fasti e mondanità. 
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Manet s’inspira alla pittura classica e introduce soggetti moderni, mescolando l’alto e il basso, il citazionismo dell’antico con il realismo urbano, l’orientalismo con il paesaggismo, la pittura di genere con scene di vita borghese dai salottini di velluto rosso, con atmosfere bohèmienne dei caffè concerto o brasserie, all’epoca tra i pochi luoghi in cui si incontravano diversi gruppi sociali. 
Incantano i dipinti dedicati al teatro, i concerti, il ballo e in mostra questa sezione, dall’allestimento particolarmente scenografico, ammantato di tendoni rossi con passamanerie dorate, dove c’è una nicchia specchiata in cui fa capolino un piccolo plastico in legno del tempio della mondanità più famoso del mondo del 1863: è l’ Opèra di Charles Garnier, monumento simbolo del Secondo Impero. C’è anche un ritratto del giovane architetto dipinto da Paul Baudry. Spicca il dipinto Giovane donna in tenuta da ballo (1879) dall’incarnato lunare e sguardo assente di Berthe Morisot, pittrice e cognata di Manet e ipnotizza Un palco al Theatre des Italienes (1874) di Eva Gonzales, altra allieva di Manet, in cui il bouquet sembra una citazione da quello dell’Olympia, come anche la perla e il nastro nero che ornano il collo della giovane donna. 
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Victorine Meurent è l’altra modella e amante delle sue opere più scandalose degli anni ’60 dell’Ottocento. Parigi è il teatro della vita moderna dove femme fatale, cortigiane all’ombra della prostituzione si mescolano a signore borghesi del Demi-monde dagli abiti di tessuti fruscianti. Manet è un seduttore impenitente dalle molte avventure, eccetto un’unica relazione duratura con la moglie Suzanne Leenhoff, che ritrarrà lungo tutto l’arco della sua carriera. A sua volta, è sedotto dalle belle donne, vestite alla moda, mentre di giorno passeggiano al parco sotto gli ombrellini e di sera sono inguainate in abiti fruscianti di mussola bianca, come oggetti del lusso nelle feste o a teatro, dove si andava per essere visti e vedere chi c’era. Nella Parigi ancora traumatizzata dalla disfatta di Sedan (1870) e dopo la sconfitta contro la Prussia, si innesta la triste vicenda della Comune (18 marzo 1871) sulla collina di Montmartre, dove scoppia una sanguinosa sommossa, ma la città risorge come un’araba fenice dalla sue ceneri nel decennio successivo, all’alba della Belle Epoque. Manet dipinge senza retorica l’umanità varia e “avariata”, clochard e i miserabili, la media e alta borghesia con piglio epico. Lo caratterizza l’uso del nero assoluto, come si vede nel ritratto-capolavoro dallo sguardo suadente della pittrice Berthe Morisot, (1872) sua allieva, l’affascinate e intima amica che diventa la modella di circa una dozzina di quadri che si apre con Le balcon e termina con Ritratto di Bherte Morisot con il ventaglio (1874), in mostra. Manet ritrae anche la bella e giovane moglie seduta sul divano dissolta in una luce estiva con il figlio Leon alle sue spalle nel dipinto La Lettura (1865-1883), con una scioltezza e rapidità della pennellata che evoca la tecnica sviluppata dal gruppo impressionista in pieno sviluppo in questo momento. 
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L’ icona della mostra immortalata anche in copertina del catalogo (edito da Skira) è Il pifferaio (1866), rifiutato al Salon, dagli sfondi neutri, nella sezione “L’heure Espagnole” da godere osservando i dettagli, dove seduce la procace ballerina Lola Melea, nota come Lola di Valencia, star del balletto spagnolo che si esibì a Parigi nel 1862, riscuotendo un trionfale successo. Manet dipinge il Combattimento di Tori (1865-1866) al ritorno del suo viaggio in Spagna, lo affascina il tema della corrida che lo conquista più delle opere viste al Prado, come scrisse all’ amico Baudelaire e in questo dipinto è evidente il rimando alla serie di incisioni sulla Tauromachia di Goya. La mostra nel complesso è didattica, ma vince la magia della pittura di Manet che ha retto il confronto con i più grandi maestri del passato.
Jacqueline Ceresoli

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