02 luglio 2017

I tempi dello scatto

 
Mappe, archivi, "memento" e futuro. Fotografia Europea a Reggio Emilia si muove nel solco delle icone in un circuito diffuso. Tra grandi nomi e giovani artisti

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Da qualche anno il tema dell’archivio nel circuito dell’arte è molto presente. Il necessario quanto storicizzato richiamo al passato si accosta al futuro, alle domande riguardanti gli scenari che attendono gli uomini e alle quali tutti gli artisti di ogni parte del globo sono chiamati a rispondere.
Ma partiamo dal presente, anch’esso rapido e in costante cambiamento, così tanto che potremmo definire ieri domani ed etichettarlo è altrettanto complesso. 
Siamo a Reggio Emilia, dove all’interno dell’edizione 2017 del Festival Fotografia Europea, intitolata “Mappe del tempo. Memoria, archivi, futuro”, sono tre i fotografi ai quali è stato chiesto di utilizzare come metafora e paradigma di questo lasso temporale un Paese. Un luogo che divenisse simbolo e si perdesse nella liquida essenza di un mondo immaginato e reale insieme.
Aleix Plademunt diventa un pellegrino che viaggia soltanto di notte, con il suo flash illumina il silenzio della neve che cade, di cani da guardia che non dormono, anche le stagioni che passano, e nei suoi più di 3mila scatti ha ripercorso le stesse strade che negli anni ’50 Paul Strand e Cesare Zavattini avevano fotografato per il libro Un Paese, al quale è dedicata l’esposizione di Palazzo Magnani. La strada da Reggio Emilia a Luzzara Plademunt l’ha percorsa con l’aiuto di Google Maps, uno degli archivi digitali più consultati da tutti noi.
Proseguendo nei Chiostri di San Domenico il progetto di Tommaso Bonaventura è di fatto un archivio vero e proprio, l’archivio dei 2135 abitanti di Casacalenda, in Molise. Sono ritratti fotografici, fototessere di una popolazione prevalentemente anziana e, come per la serie di Plademunt, di nuovo colpisce l’allestimento, qui articolato seguendo l’ordine alfabetico dei personaggi ritratti.
Infine c’è Moira Ricci che guarda in un presente arcaico – il mondo dei contadini – con un tocco futuristico. La campagna maremmana, luogo d’origine dell’artista, è lo sfondo immobile delle fotografie e dei due video in esposizione, dove tutto ha l’atmosfera di un rito agreste che culmina nella conversione di una mietitrebbia in astronave. Moira Ricci, che il destino ce l’ha nel nome, suggerisce una sorte comune che affonda le proprie radici nella terra per spiccare il volo, o almeno provarci, verso mondi lontani.
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Moira Ricci, Dove il cielo è più vicino (trebbia-astronave), 2014, courtesy l’artista, Associazione Culturale Lo Scompiglio e Galleria Arte Contemporanea LaVeronica’
Seguendo le suggestioni che trascendono un tempo conosciuto il percorso del Festival porta a Palazzo da Mosto, suggestiva dimora nobiliare dove i progetti in esposizione cercano di coniugare il tema archivistico. Daniel Blaufucks sì è approcciato alla sfida seguendo tracce letterarie, ovvero ciò che Georges Perec nel 1974 aveva annotato riguardo ciò che vedeva stando seduto ad un caffè. Blaufucks fotografa tra 2009 e 2016 il tavolo della sua cucina di Lisbona, si concentra sulle composizioni geometriche, sulla luce, e ne esce un omaggio al tema della natura morta, dove pittoricità e istantanee del reale si fondono. Anche in questa sede un altro progetto si riferisce fortemente all’archivio digitale: è il lavoro di Alessandro Calabrese che sovrappone a fotografie scattate su pellicola tra il 2012 e il 2015, immagini virali identificate come simili da un algoritmo di Google. Le fotografie originali vengono inghiottite dal surplus di immagini che il web ci propone in ogni ricerca eseguita. In bilico tra scienza e superstizione si muove David Fathi che ha reinventato la biografia del fisico quantistico Wolfgang Pauli, tristemente noto per l’effetto Pauli: pare che la sua presenza ad ogni esperimento dei colleghi li facesse fallire. Fathi modifica alcune immagini dell’archivio del Cern di Ginevra per dimostrare quanto sopra detto. Quali foto sono vere o quali modificate? Sarà l’osservatore a decidere fino a che punto si spinge l’effetto Pauli.
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Joachim Schmid, Other People’s Photographs – Shirts, Berlin 2010, 18×18 cm, print-on-demand book, courtesy P420, Bologna
L’ultima sede espositiva più importante del circuito ufficiale è il complesso dei chiostri di San Pietro, dove si indaga tutto ciò che riguarda la società che cambia, che cresce, si moltiplica. L’esposizione più interessante è la collettiva curata da Joan Fontcuberta: “Les Nouveaux Encyclopédistes”. Gli artisti sono chiamati a fare chiarezza, a gettare una luce in mezzo alla miriade di immagini che ogni giorno ci stordiscono attraverso gli schermi degli smartphone, dei computer, di ogni tipo di social. Tra i nuovi enciclopedisti c’è Roberto Pellegrinuzzi che con 275.000, numero che identifica gli scatti medi di “vita” per una macchina fotografica, crea una gigante scultura a forma di nuvola, cloud, come il sistema di archiviazione ben noto. Spicca inoltre in questo nuovo compendio del sapere anche Other people’s Photographs di Joachim Schmid, 96 libri di fotografie prese da Flickr, suddivisi per tematiche, le più rappresentate dalla fotografia amatoriale: ed ecco dunque il libro dei selfie e delle tazzine di caffè. Ottima l’idea di far dialogare la contemporaneità con la tassonomia passata rappresentata da vetrine prestate dai Musei Civici, al cui interno troviamo insetti classificati con cura. 
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Edmund Clark, Negative Publicity #141, 2013, Copyright Edmund Clark and Crofton Black/Courtesy Flowers Gallery
Il centro cittadino è un vero e proprio crocevia di appuntamenti culturali nelle sedi che durante tutto l’anno accolgono manifestazioni affini come la Galleria Parmeggiani e lo Spazio Gerra. 
La prima espone tre progetti tra cui quello di Carlo Vannini, celebre per la fotografia di oggetti d’arte, che questa volta si confronta con la potenza e la conseguente difficoltà del fondo bianco. L’oggetto viene duplicato e leggermente ruotato, con l’effetto di creare nello spettatore una visione particolarmente dinamica. 
Lo Spazio Gerra ospita, invece, suggestioni hippie, scene di un’epoca mitica sentita vicinissima, fotografie in bianco e nero che ci fanno sentire (o risentire) gli eco della summer of love, fatta di gentilezza e di musica rock. In mostra anche il celebre scatto che ritrae Lennon e Yoko Ono In Bed.
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Bruno Vagnini, In Bed, John Lennon e Yoko Ono , Montreal, 1969, Photo © Bruno Vagnini
Le “Mappe del tempo” sono a tutti gli effetti mappe geografiche, molte mostre sono anche fuori dal centro di Reggio Emilia, come ad esempio Satelliti di Christian Fogarolli che esplora l’archivio dell’istituto psichiatrico San Lazzaro, creando connessioni in più di un secolo di storia di memoria collettiva. 
Un’attenzione speciale va anche ai prestigiosi partner dell’edizione: CSAC di Parma, Fondazione Fotografia di Modena e la reggiana Collezione Maramotti. Quest’ultima espone un progetto dell’artista romana Elisabetta Benassi, che partendo da una controversia nata attorno a The bricks di Carl Andre, acquistata dalla Tate Gallery negli anni ’70, sviluppa una riflessione sul mattone come unità creatrice di lavoro e possibilità di crescita economica, e non a caso il progetto viene ambientato nella prima fabbrica di Max Mara. 
È un viaggio tra passato, presente e futuro, un po’ alla Dickens, quello che Grazioli, Guadagnini e Dufour ideano per la 12esima edizione del Festival, ricco di spunti, soprattutto per quanto riguarda il futuro di questa arte. Per intraprendere questo percorso dentro e fuori la città avete tempo fino al 9 luglio, accompagnando la scoperta con il consueto catalogo edito da Silvana Editoriale. 
Chiara Tonelli

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