21 novembre 2017

L’energia del cosmo, nelle stelle

 
Tra memoria, alchimie e illusioni, il Castello di Rivoli festeggia Gilberto Zorio nel 50esimo anniversario dell'Arte Povera. Facendo leva su una serie di condizioni perturbanti

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“Nei miei lavori l’energia non è semplice nozione astratta, puramente fisica, ma si riferisce a una dimensione tutta umana, a una dimensione antropologica, a situazioni che fanno parte della storia e non degli ideali”. Lo scrive Gilberto Zorio (Andorno Micca, Biella, 1944) tra i pionieri dell’Arte Povera, alchimista concettuale che si racconta con una retrospettiva emozionante, ospitata all’ultimo piano, nelle sale senza soffitti sotto le imponenti capriate in legno che sostengono i tetti del Castello di Rivoli. Tempio che raccoglie le seconde avanguardie storiche del Novecento, è l’ubicazione ideale per la mostra, con ampie sale scandite da muri fatti di bianchi blocchi di gabeston inscenati come angolosi frammenti di stelle. La mostra di cinquanta opere curata da Marcella Beccaria, presenta una selezione tra i lavori più significativi dell’artista piemontese, da quelli definiti “seminali” degli anni 60/70, per arrivare ad una immersione nel flusso di processi di cambiamento chimici e fisici dei materiali con opere più recenti. Il tutto concepito come un’unica partitura. 
Dalla fosforescenza all’alterazione della percezione dello spazio, questa mostra concepita da Zorio è un atto unico, in cui si annulla l’intervallo spazio-temporale tra lavori di ieri e quelli di oggi. Tutto si trasforma per l’artista e nelle sale espositive circola una energia vitale con pezzi di grande impatto scenografico, che raccontano di un autore singolare che dagli anni ’60 ha incentrato la sua ricerca sul tema della nozione dell’energia, studiandola nei suoi aspetti naturali, sociali, politici e tecnologici. 
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Gilberto Zorio, veduta dell’allestimento in occasione della mostra al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino (2 novembre 2017 – 18 febbraio 2018). Foto Antonio Maniscalco

Stupiscono le sue opere e installazioni concepite come dispositivi alchemici in grado di mettere in luce e materializzare processi in continua metamorfosi, mettendo in relazione possibilità combinatorie tra materiali differenti, che nell’istante in cui appaiono assumono un valore estetico, quasi pittorico, iscrivendosi nello spazio in cui compaiono e nella memoria dell’osservatore.  
Sono opere che potrebbero apparire come effetti di stregoneria e invece sono il risultato di un’alterazione di stato tanto più affascinante quanto più misteriosa.
Zorio incentra la sua ricerca sulla necessità di cogliere l’immediatezza di ciò che accade, la scintilla nell’essenzialità del suo accadere. I suoi lavori non si limitano a “fisicizzare” concetti intorno a processi chimici, ma assumono significati metaforici più profondi. Tra stelle, canoe, lance, pelli di animali, giavellotti, alambicchi, l’energia scaturisce da contatti, relazioni tra il tangibile e la sua essenza e si manifestano con scintille, bagliori che incantano come i fuochi d’artificio. L’azione rivela un’altra azione, un nuovo processo di effetti a intermittenza in cui il provvisorio, il temporaneo e la precarietà travalicano le cose manifeste per estendersi in un dedalico incrocio di energie nell’indefinibile universo.
Tra le altre opere importanti degli esordi, spiccano quelle più rare della raccolta privata dell’artista e altre provenienti da selezionate collezioni o dallo stesso museo di Rivoli, che si confrontano con installazioni ideate per il terzo piano del Castello. I sui lavori processuali sfidano la gravità, la fissità e la pesantezza della scultura, si liberano nello spazio, dove si avverte fluire pulsante l’energia sottesa implicita nei materiali, attivando reazioni chimiche o fisiche per allineare le sue opere sull’onda del ciclo vitale. Tutto cambia con lo scorrere del tempo, l’artista evidenzia le trasformazioni a cui le opere dinamiche sono soggette, facendo dialogare tempi differenti in maniera sincronica, in cui la ricerca alchemica qui si tramuta in unico ed emozionate spartito sonoro, con visioni inattese, lampi fosforescenti che appaiono e scompaiono e incantano i bambini di tutte le età. Carolyn Christov-Bakargiev, direttore del Castello di Rivoli, ha sottolineato che «la mostra continua la lunga e particolare attenzione di questo museo nei confronti dell’Arte Povera e della sua importanza nella costruzione della propria identità. Zorio è stato uno degli artisti che, dalla mostra inaugurale “Ouverture” nel 1984, per primi hanno dato nuova vita a un museo unico al mondo». 
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Gilberto Zorio, veduta dell’allestimento in occasione della mostra al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino (2 novembre 2017 – 18 febbraio 2018). Foto Antonio Maniscalco

La mostra s’inserisce nell’anniversario del 50esimo anno dell’Arte Povera (1967) e il filo conduttore evidente in tutte le sale espositive è, appunto, la forma della stella a cinque punte, il logo di Gilberto Zorio, emblema d’energia cosmica carica di significati simbolici, un segno che ci guida nell’esplorazione e nel sogno in diverse misure e versioni. Ci sono quelle realizzate con una serie di giavellotti intrecciati tra loro, quella più appariscente e luminosa incastonata sul muro con fili incandescenti, sono più fragili quelle realizzate con lastre di cristallo, o con il cuoio, sospese a parete attraverso un sostegno di giavellotti conficcati tra loro. Ipnotizzano le stelle accese provocate da un arco voltaico, o combinate con otri e compressori che emettono suoni inquietanti, forti sibili, come la Stella Marrano. Accendono la fantasia le sue spettacolari Canoe, fluttuanti nell’aria anziché sull’acqua. In particolare si noti la Barca nuragica, fatta con giunchi intrecciati, arcaica e contemporanea insieme, forma archetipa azionata da un dispositivo tecnologico, pronta a salpare per chissà quale isola. C’è anche la lunghissima iole (un tipo di imbarcazione) sospesa e connessa con un grande e magnifico alambicco distillatore simbolico di viaggi oltre il tempo e lo spazio reale.  
Tra i sui lavori dei secondi anni ’60, di forte impatto sensoriale ed emotivo non si dimenticano il Letto costituito con grezzi tubi dalmine, in cui la rete elastica viene schiacciata da una pesante lastra di piombo, la Tenda che presenta un fatto chimico, evidenziando un processo fisico, all’altezza degli occhi, ovvero un lago salato che si espande in un paesaggio di blu. Un’opera affascinante anch’essa realizzata con tubi dalmine modulari in bilico tra simmetria e un calcolabile illimitato. Queste e altre “sculture vive” che si trasformano nel tempo e si originano nel vuoto, in cui Zorio si concentra sulla perdita della fissità per addentarsi nell’essenza dei fenomeni, cause fisiche implicite alla materia, già teorizzate dagli antichi filosofi greci, i quali conoscevano i fondamenti e i principi della scienza astronomica e atomistica, sono in mostra a Rivoli. 
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Gilberto Zorio, veduta dell’allestimento in occasione della mostra al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli-Torino (2 novembre 2017 – 18 febbraio 2018). Foto Antonio Maniscalco

Invita a riflettere l’opera manifesto del nostro tempo, chiamata Odio, un lingotto di piombo sospeso a una corda, in cui dentro il metallo si iscrive il titolo dell’opera. Per Zorio è come se le sensazioni nascano da configurazioni secondo le quali gli atomi tendono ad aggregarsi, come le entità minime eterne ed immutabili, che incontrandosi creano strutture indivisibili. I titoli dei suoi lavori diventano materia del pensiero intorno a processi di energia, come in Pugno, un calco di mano in cera fosforescente, che al buio si manifesta come un fantasma. Opere si fanno sentire oltre che vedere, alternando boati e pause e bagliori, all’insegna di un sorprendente polimorfismo, ponendosi in maniera dialettica con lo spazio, generano cortocircuiti visivi, sprigionano energia epifanica, scariche adrenaliniche di folgorazioni e di luce, dimostrando che nulla esisterebbe se non ci fosse anche il suo contrario. Materiali come conduttori di concetti filosofici opposti in conflitto apparente, che però tendono a ritrovare un ordine seguendo un’unica legge universale. Scrive ancora Zorio: “Il mio lavoro riguarda sempre uno scorrere nello spazio, possono essere parole o fasci di luce. Odio e Confine percorrono lo spazio, solo che la parola è solidificata e compressa nel piombo o nel muro, oppure incandescente”. E stelle a parte che possiedono il ricordo del cosmo, quasi “autoritratti” di Zorio, sospese nel vuoto, Confine si configura come un lungo filo metallico incandescente (attraverso una resistenza elettrica) sospeso orizzontalmente, una parola perturbante che nel buio fa luce, e leva, su un’altra paura collettiva. 
Jacqueline Ceresoli 

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