18 settembre 2018

Fulvio, il generatore d’immagini

 
In retrospettiva un padre della fotografia, che scavando a fondo nella realtà ha posto le basi del suo linguaggio colto e personale. A Genova le istantanee di Roiter

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L’importanza di avere un cognome lungo sei lettere «Assonante con la celebre agenzia Reuters», ed un nome della medesima lunghezza, che in impaginazione «Formava un quadrato perfetto». Anche questo è Fulvio Roiter (Meolo, 1926; Venezia, 2016) nel racconto di Denis Curti, curatore della mostra “Fulvio Roiter – Fotografie 1948-2007” (fino al 24 febbraio 2019). Un uomo felice della propria anagrafica e che «Non aveva tempo di sistemare il suo archivio» continua Curti, trovatosi pertanto a lavorare in mezzo a «Tante scatolette di diapositive in cui ad esempio fuori c’era scritto “Asia”». E di conseguenza a rivedere le tempistiche di questa retrospettiva, per la quale racconta «Avevo pensato ad un tempo di sei mesi, invece ci sono voluti due anni». 
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Fulvio Roiter – Piazza San Marco – 1983 – courtesy Fondazione Fulvio Roiter
Nata a Venezia e trasferita a Genova, la mostra intende raccontare a mezzo scatti – tutti rigorosamente vintage, «Di foto non ne abbiamo stampate» dichiara il curatore – la vita professionale di un uomo poco paziente nella vita di tutti i giorni – come lasciato intendere da un rapido scambio di battute tra Curti e la figlia di Roiter, Jessica – e molto di più nel proprio lavoro, nella costruzione ragionata di fotografie nate per essere “momenti fotografici”. Sezioni tematiche puntuali e non sovraccariche raccontano in tutta piacevolezza la storia professionale di Roiter; legata ovviamente ai suoi scatti, ma ancor prima a qualche aneddoto particolare che di quelli ha segnato la genesi. E ce ne sono di appetitosi, tipo quello della famigliola in Andalusia, padre con figlio in sacca e madre incinta, un’istantanea che messa lì potrebbe tranquillamente far pensare ad uno scatto documentaristico. L’apparenza però spesso non viaggia sullo stesso treno di una verità, che nelle parole del curatore svela l’immagine come frutto di scelte narrative e ripensamenti arrivati a sfoltire il più nutrito gruppo di persone originario, per ridurlo ai tre più uno in arrivo sotto gli occhi di tutti. Un uomo tra l’imbarazzato ed il complice, una donna in dolce attesa solo imbarazzata ed un bambino semi nascosto protagonista, «Povera gente nobilitata» come la definisce Curti, che avvicina la fotografia di Roiter ad un’azione documentaristica “dopata”, un realismo in cui il mondo circostante è una specie di sconfinato set fotografico; col curatore che interviene ancora, e immediato scioglie il dubbio amletico – e abbastanza preventivabile – di una «Immagine costruita» parlando invece di «Immagine generata». E come bonus-track un altro scatto-caposaldo di questo modus operandi, due dolci asinelli in mezzo alla neve di Norcia, momento consegnato ai posteri da un fotografo che ha compiuto giri su giri (figlia Jessica a darne testimonianza) per avere l’inquadratura giusta. E che, spiega il curatore, tecnicamente ha «Bruciato la neve» in fase di sviluppo per togliere dall’immagine finale ogni impurità, riportando i due quadrupedi ad una quasi-sospensione surreale.
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Fulvio Roiter – Coltivazione della vite, Etna – 1953 – courtesy Archivio Storico Circolo Fotografico La Gondola, Venezia
Col suo metodo Roiter ha dato alla fotografia razionalità narrativa, personalizzando il concetto stesso di fotografia e rendendo unico il proprio contatto con una realtà che in fondo era il suo pallino, ma che doveva essere opportunamente cesellata per entrare a far parte della sua mitologia figurativa. La mostra in questo senso è un’operazione estremamente educativa, insegna in generale come la fotografia possa diventare un ragionamento, un mezzo per contrattare direttamente con la realtà senza farsi mai fregare da questa. E nel particolare manifesta come l’occhio e la mente di Roiter abbiano giocato con la realtà riportandoci scatti intrisi di folclore, con nerborute signore venete a chiacchierare con le falci in spalla o ragazze siciliane rapite da una missiva appena ricevuta; spesso l’abbiano generata ad uso e consumo del fotografo, e non meno spesso presa in purezza e riportata davanti ai nostri occhi nella sua forma meno immediata, rendendo visibile l’invisibile. Evidentemente convinto che la fotografia dovesse essere ricerca visiva, e non limitarsi a riportare passivamente l’esistente, Roiter è stato uno scopritore d’immagini che ha colto con una certa costanza le intersezioni naturali tra realtà e sistema astrattivo, facendosi catturare e portandosi ad immortalare geometrie tangibili nei filari di alberi distesi sul terreno della Costa D’Avorio. Ad utilizzare gli sciatori sparsi sulle montagne innevate del Libano come puntini da unire nel più classico dei passatempi enigmistici, oppure a trasformare in immediato pattern il profilo delle gondole stese in uno squero, così come i motivi decorativi lineari inseriti nella pavimentazione di piazza San Marco. 
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Fulvio Roiter – Sulla Strada di Gela, Niscemi – 1953 – courtesy Fondazione Fulvio Roiter
Fin qui solo bianco e nero, tecnica che Roiter stesso considerava «Metro con cui giudicare un fotografo», aggiungendo «Al colore si può arrivare per caso o per calcolo». Che lui ci sia arrivato bene è incontrovertibile, basta dare un’occhiata l’ottima selezione fatta per la sezione intitolata “Venezia”. Scatti compresi tra gli anni Ottanta ed i primi Duemila avvicinano Roiter alla pittura e ad un uso pericolosamente emozionale del mezzo fotografico. Se il suo occhio non ha certo perso l’allenamento a cogliere la geometria della realtà, indugiando sui cerchi prodotti da due piccioni intenti ad abbeverarsi in una piazza San Marco con l’acqua alta, dall’altra l’incresparsi dell’acqua stessa lo espone alla tentazione d’immaginare il riflesso dell’architettura soprastante come una riproduzione pittorico-acquarellata. Venezia è l’apoteosi del suo successo, tra l’effetto tridimensionalità restituito all’Isola di San Giacomo in Paludo e le linee libere di un cretto su vetro scelto come caratterizzante punto di vista dall’Imbarcadero di San Zaccaria. Si potrebbe andare avanti ad oltranza nel citare la presenza di scatti che hanno costruito il mito roiteriano, tuttavia la grandezza di un professionista si misura ancora meglio sulle sfide lanciate e vinte, come circoscrivere in istantanea l’Atmosfera in bacino di San Marco, sottile citazione di Virgilio Guidi che Roiter trasforma in fotografico colpo da maestro. Generatore d’immagini e distributore di emozioni alla portata di tutti.
Andrea Rossetti

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