18 settembre 2008

architettura_opinioni Old Style Architecture

 
Una mostra di architettura scritta dieci anni fa. Che riesuma contenuti e personaggi dei quali avevamo serenamente appreso a fare senza. Approcci che hanno avuto tutto il tempo di dimostrare la loro sterilità tornano alla ribalta. Con un entusiasmo capace soltanto di diffondere imbarazzo...

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Esauriti gli opening, ha aperto al pubblico l’XI Biennale di Architettura di Venezia, Out there. Architecture beyond building. Ricordiamone le premesse. Nel 2000 l’attuale direttore della mostra, Aaron Betsky, pubblicava con Erik Adigard Architecture must burn. Un manifesto in quattro parti “for an architecture beyond building”, appunto. Con imbarazzo possiamo rintracciare in quel volume di otto anni fa l’approccio e buona parte dei contenuti dell’esposizione principale. Con poco senso del ridicolo, gli architetti chiamati a realizzare le installazioni sono stati anche invitati a produrre un manifesto personale di quest’architettura oltre gli edifici.
Sembra proprio che, nella misura in cui gli studi hanno risposto con qualche imbarazzo piuttosto che entusiasticamente, si possa rintracciare una qualche qualità. Ovviamente non parleremo troppo degli entusiasti, anche perché i loro manifesti soffrono spesso di problemi generici nella costruzione della frase; cercheremo invece di analizzare il lavoro di chi è stato messo in difficoltà dal tenore della “chiamata” di Betsky.
Esaurita appunto l’apertura “tecnica”, delle giornate in laguna rimane la valigetta stampa con il catalogo in cinque parti. Seguendone l’ordine, racconteremo nei prossimi articoli le partecipazioni nazionali e gli eventi a margine, per affrontare subito l’esposizione principale attraverso i manifesti e le installazioni prodotte dagli architetti invitati.
Rispetto al testosterone scritto e visuale degli “entusiasti”, gli “imbarazzati” si riconoscono dalla sintesi del loro manifesto, dalla sua comprensibilità, da un atteggiamento genericamente sottotono e non protagonista. Asymptote Architecture - Prototyping the future: three houses for the subconscious - 2008 - photo Stefano GrazianiCome esempio citiamo integralmente il manifesto di An Te Liu: “L’architettura ha il suo lato pratico e il suo lato visionario. Troviamo noiosa l’architettura quando è troppo pratica e non pratica quando è troppo visionaria. Siamo meno contrari al banale che al rivoluzionario. Non c’è niente di sbagliato nell’architettura. Tutto dipende da noi”. Una citazione integrale sarebbe stata davvero improponibile per le quattro serrate e autoreferenziali pagine del manifesto di un Penezić & Rogina. Anche se la dimensione, se resta comprensibile come quella del manifesto di Philippe Rahm per una “architettura metereologica”, può avere un senso.
In parallelo ai manifesti, ecco le installazioni. Zaha Hadid ci offre, per quanto complessa, una panchina. Grazie mille. Salto nel passato poi con Asymptote o Greg Lynn: eccoli ancora a parlare di futuro attraverso sensazioni vecchie di quindici anni. Del resto, è ovvio che ci fossero e che fossero lì per questo. Più eleganti che in passato Hani Rashid e Lise Anne Couture, totalmente ingestibile Greg Lynn, che ricicla giocattoli in plastica parlando di riscoperta dell’architettura rustica rinascimentale. Entusiasmo alle stelle dei soliti Penezić & Rogina, che introducono il loro lavoro con banalità frutto della loro ricerca (“Nel prossimo futuro tutti saranno anonimi per 15 minuti”) oppure citate (“Quando una casa contiene un tale complesso di cavi, condutture e scarichi tali che la loro intelaiatura si reggerebbe in piedi da sé, perché ricorrere a una casa per sorreggerli?”, Reyer Banham, A home is not a House), dopodichè propongono quello che, a detta dei presenti, non è che una toilette priva di tramezzi. Vaso, lavandino e televisione in un metro quadro di tubi e canalette.
Solido il lavoro di Vicente Guallart, così come il suo manifesto. Questo pianeta potrà resistere a un altro ventesimo secolo? soffre forse di uno stile appena troppo Al Gore, ma risulta nitido e leggibile (come detto, una caratteristica non scontata di questi testi). Il centro del discorso è il seguente: “La storia recente è stata costruita in base a sistemi centralizzati, la nuova storia sarà costruita in base a sistemi distribuiti e decentralizzati [notiamo con sollievo che si evitano anche le trite analogie pseudo-digitali, N.d.R.]. Come è fatta allora una architettura per sistemi distribuiti?”. Guallart Architects - Hyperhabitat: Reprogramming the world - 2008 - photo Stefano GrazianiOvviamente, partire da tesi chiare aiuta e, nella sua installazione, il team di Guallart resta lucido, instaurando un ambiente votato alla relazione tra fisico e digitale, elegante, realmente funzionante e con alcune risposte inedite. Migliore installazione realizzata.
Le due installazioni più “imbarazzate” e timide, e inevitabilmente di maggior qualità e sensibilità, arrivano come prevedibe da Philippe Rahm e An Te Liu. Rahm tende due piastre metalliche orizzontali ad altezze diverse, riscaldandone la più bassa e raffreddando quella superiore. Il moto convettivo che viene innescato dalla differenza di temperatura esprime quella sorta di paesaggio spaziale che Rahm vorrebbe come soglia minima della sensibilità ambientale dei progettisti. L’installazione Cloud addensa sullo spazio dedicato ad An Te Liu una nuvola formata da apparecchiature domestiche per la purificazione dell’aria prodotte nell’arco degli ultimi dieci anni. Premonizione tranquillamente ironica di una futura tecnologia ambientale che ci permetterà di sopravvivere anche senza le consuete forme di riparo.
Da queste sensibilità emerge quella che avrebbe dovuto essere la parola chiave di una mostra di architettura in questi anni: atmosfera. Ecco il termine inutilmente cercato da Betsky e che lo stesso Betsky non avrebbe saputo riconoscere. Eccola lì quella sensazione di immateriale e transitorio che gli “entusiasti” cercano rovistando nell’IT e nel genericamente digitale; eccola, più semplicemente a disposizione – per chi ci sa fare -, in questa aggiornata idea di densità spaziale. Quell’atmosfera che mancava in un buon 95% di quanto visto.

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luca diffuse
mostra visitata l’11-12 settembre 2008


dal 14 settembre al 23 novembre 2008
11. Mostra Internazionale di Architettura – Out There: Architecture Beyond Building
a cura di Aaron Betsky
Giardini della Biennale / Arsenale – 30122 Venezia
Orario: tutti i giorni ore 10-18
Ingresso: intero € 15; ridotto € 12/8
Info: tel. +39 0415218711; fax +39 0415218812; www.labiennale.org/it/architettura

[exibart]

2 Commenti

  1. Mi sorbisco in diretta in laguna il passaggio funesto dell’estate nell’inverno: dall’abitino bianco e sandali color cielo di roma alle galosce verde militare comprate a 9 euro in velocità al “bottegòn” dietro i Giardini e parapioggia trasparente sopra i jeans tirati su per non inzupparli….
    ai giardini situazione divertente nei padiglioni stranieri..niente di che..azzecco il pronostico sul padiglione Polacco…mi diverto al padiglione svizzero col robot che tira su una muraglia fluida di mattoncini…mostra tautologica al padiglione Nordico…il solito nulla americano…passo un sacco di tempo a riposarmi i piedi sui letti-tappeto del padiglione serbo con gli ipod…
    bella la luce da “the day after” dei tedeschi…solo quella.
    Mi commuovo finalmente nel solito bianco rarefatto e microdisegnato del padiglione giapponese. non parlo del verde.
    Ho trovato atmosfera.
    Per favore Diffuse, il tema della prossima Biennale sia ATMOSFERA, come hai già intuito…e, se possibile, proviamo ad avere un direttore giapponese, il buon gusto e intuizioni sull’architettura a venire (e non defunta come quella di betsky)non mancherebbero…
    io un’idea ce l’avrei

  2. Exibart è una voce libera,
    che resituisce sempre non la banalità dei commenti e delle notizie seriali e ‘buone per tutti’, è una voce serissima che in questi tempi così difficili ci rammenda il bello dell’onestà intellettuale, l’importanza della libertà di parola.
    E Luca Diffuse è sempre tra le migliori voci ci questo coro. Senza dubbio.

    grazie Luca per avere detto con limpida onestà e con la tua solita affabulazione come per te stanno le cose, almeno così tra il bene e il male può nascere il germe, sano e salutare, del senso critico.

    Generosa

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