06 giugno 2011

A Palazzo Grassi uno sguardo sul mondo che ci appartiene

 
In un salone cinquecentesco prendono vita i fantasmi della nuova società consumista. Paure, ansie, angosce, incertezze, si mostrano con cruda fermezza. "Il mondo vi appartiene" sembra un monito sussurrato lentamente, profondamente. Quel che resta è la falsa illusione che qualcosa possa ancora cambiare...

di

Tante nazionalità riunite per esprimere collettivamente un pensiero e tante sensazioni sugli avvenimenti dell’ultimo secolo, dalle grandi devastazioni alla mercificazione di massa passando per la perdita di identità allo stravolgimento paesaggistico. Il mondo vi appartiene, curata da Caroline Bourgeois, è sicuramente una mostra che marca nettamente il piano delle emozioni portando il fruitore verso una riflessione profonda sullo stato delle cose. In causa di questo sono intervenuti i quaranta artisti provenienti dalla Cina, dal Sud Africa, dalla Francia, dal Giappone, dall’Italia, dagli Stati Uniti e dalla Russia portando con se il proprio bagaglio di esperienze. Palazzo Grassi è la cornice che fa da sfondo alla rappresentazione offrendo spazi neutri e appositamente studiati per accogliere perfettamente le opere che ruotano intorno a Waiting di Sun Yuan (Pechino, 1972) e Peng Yu (nato nel 1974 nella provincia dello Heilongjiang) e a L’Homme Pressé di Thomas Houseago (Leeds, Inghilterra, 1972 ) poste esternamente. La prima ha le sembianze di un enorme avvoltoio che incarna le minacce, le paure di morte dell’individuo. La seconda è la rappresentazione di questa metafora in cui l’uomo riesce, nonostante tutto, ad andare avanti sebbene dilaniato interiormente. Entrando nel palazzo si viene immediatamente colpiti dall’opera di Joana Vasconcelos (Parigi, 1972) intitolata Contamination. Essa arriva fino al secondo piano abbracciando metaforicamente tutte le nazionalità. È il filo di Arianna che unisce ogni popolo sulla terra portando vivacità, allegria ed incarnando il bisogno più profondo di semplicità e di spensieratezza ludica. Dalla tangibilità di un’opera a quella fredda, statica, non più modificabile del Balloon dog di Jeff Koons (York, Pennsylvania, 1955). Esso rappresenta un altro gioco che ha perso ogni suo connotato ed è ripudiato, cacciato dal Grosse Geister in alluminio di Thomas Schute (Oldenburg, Germania, 1954). L’uomo non riesce a guardare se stesso, a tornare indietro e l’alluminio è la materia prima che forma la sua essenza di fronte al fallimento. Passando per il mezzanino si incontrano due videoinstallazioni di Francesco Vezzoli (Brescia, 1971). Il primo affronta il tema della democrazia mentre l’altro è una specie di documentario sulla vita dell’artista che finge di essere una celebrità del mondo dello spettacolo. Si assiste a false interviste e a racconti di aneddoti sulla sua vita a cui non mancano scene di sesso esplicito notando chiaramente come l’intento di Vezzoli è di mostrarci tutto lo squallore, la mediocrità e la falsità di un mondo basato sull’apparenza.

Friedrich Kunath (Chemnitz, Germania Ovest, 1974) presenta un’opera in cui degli enormi piedi da clown sbucano da sotto una tenda mentre da dietro un ingranaggio muove una pallina da tennis per simulare il movimento della persona. Kunath è anche l’autore di altre due opere situate ai piani superiori in cui nella prima un uomo di due metri vestito con camicia hawaiana ha la testa dentro mezza sfera che contiene un paesaggio alpino innevato. È un individuo come tanti che nel Nuovo Mondo ha trovato false illusioni. Egli incarna le difficoltà dell’uomo medio di vivere nella società che lo obbliga a rifugiarsi con la mente in altri luoghi. Al primo piano una scritta inquietante emerge dal muro chiaro: Life is beautiful di Farhad Moshiri (Shiraz, Iran, 1963) realizzata con 1242 coltelli di ogni dimensione, colore e utilizzo. Una presa di posizione sarcastica sulla vita che riserva sempre un lato oscuro. Ahmed Alsoudani (Bagdad, Iraq, 1975) è l’autore di tre opere su tela realizzate con carboncino e colori accesi mentre una folla convulsa anima lo spazio in cui è inserita. I colori chiari, laddove altre parti sono lasciate a vuoto, indicano una speranza latente, uno sguardo positivo su alcuni aspetti atroci che ne fanno comprendere la natura per esorcizzarla. El Anatsui (Ghana, 1944) ha voluto spoliare la cultura africana di tappi di bottiglia, merce importata dai colonizzatori, per farne un enorme tessuto colorato intrecciato da fili di rame mentre David Hammons (Springfield, Illinois,1943) ha enfatizzato la cultura afro americana evidenziando le caratteristiche peculiari. Sopra enormi tamburi ha posizionato dei gatti dormienti a rappresentare la vanità e la presunzione di arrivare ad alti livelli nella società dei natii africani. Una grande tela con il ritratto di Mao realizzata con incenso e carboncino è l’opera principale della serie di Zhang Huan (An Yang City, Cina, 1965) in cui il riutilizzo dei materiali poveri, ma importanti per la cultura orientale, impreziosiscono i ritratti caricandoli di spiritualità. La caverna di Huang Yong Ping (1954, Xiamen) permette al visitatore di interagire con l’opera e di esserne parte. Da un buco si scorgono figure di progenitori delle caverne seduti a meditare mentre tanti pipistrelli volano attorno. È la rappresentazione della paura più antica verso spettri o animali riconducibile al mito della caverna di Platone che l’artista ci invita a guardare per riflettere. Si prosegue con la foresta post apocalittica di Loris Gréaud (1979, Eaubonne, Francia) popolata da 36 alberi mentre Matthew Day Jackson (Panorama City, CA, nel 1974) presenta creature dalle sembianze semi umane provenienti da altri pianeti. Il turismo di massa che provoca distruzione di ambienti naturali è ben semplificato dalla palma artificiale di Yto Barrada (Parigi, 1971) mentre Adrian Ghenie (Baia Mare, Romania, 1977) ripropone il crudo passato della nazione sovietica. Stessa forza comunicativa per le tele di Philippe Perrot (1967, Parigi) che ci mostra, in spazi privi di profondità e di prospettiva, scene sparse di violenza, crudeltà, di dolore. 

Sergey Bratkov (Kharkiv, Ucraina, 1960) invita alla responsabilità individuale proponendo fotografie di bambini modelli mentre Boris Mikhailov (Kharkov, Ucraina, 1938) ci offre uno spaccato in bianco e nero della società sovietica che Sislej Xhafa (Peja, Kossovo, 1970) concretizza con gambe finte. Zeng Fanzhi (Wuhang, Cina, 1964) con i suoi oli nasconde la luce con intricati rami di selve oscure realizzate con doppi pennelli da cui emerge il mostro lungo tre metri di Nicholas Hlobo (Città del Capo, 1975) fatto con materiali da ready made. A salvarci ci pensa Jang Jiechang (Foshan, Canton, Cina, 1956) che propone un paradiso terrestre popolato da donne e animali in scene orgiastiche. Frédéric Bruly Bouabré (Zéprégühé, Costa D’Avorio, 1921) ci mostra, attraverso il disegno di tante macchine con le bandiere dei popoli, come tutto il mondo sia unito dalla merce. Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994) è in meditazione in un autoritratto a grandezza naturale mentre dell’acqua gli bagna la testa troppo calda. Scene di violenza a grandezza naturale tratte da film sono presentate da Jonathan Wateridge (Zambia, 1972) mentre Urs Fischer (Zurigo, 1973) smaterializza gli oggetti che perdono di significato. La famiglia si trova snaturata nell’installazione di Charles Ray (Chicago, 1953) quando Sigmar Polke (Oels, 1941 – Colonia, 2010) ne costruisce una casa fittizia con legno e patate. L’aria si profuma di thè nella stanza di Giuseppe Penone (Garessio, 1947) che al centro contiene un grande polmone artificiale, simbolo di impotenza. Takashi Murakami (Tokyo, 1962) si sofferma sull’effimero, sul virtuosismo alla pari di Rudolf Stingel (Merano, Sud Tirolo, 1956) che utilizza il decorativismo come elemento sociale. La morte per inerzia è rappresentata dalla riproduzione di Gilbert (Bolzano, 1943) e  George (Devon, 1942) di Maurizio Cattelan (Padova, 1960) mentre Ger van Elk (Amsterdam, 1941) sottolinea la frustrazione dell’impossibilità di comunicare. Chiude Lee Ufan (Corea, 1936) che rimanda ad una dimensione più spirituale.

a cura di erika prandi


dal 2 giugno al 31 dicembre 2011

Il mondo vi appartiene

a cura di Caroline Bourgeois

Palazzo Grassi

Campo San Samuele, 3231 – 30124 Venezia

Orario: aperto tutti i giorni dalle 10 alle 19 tranne il martedì

Ingresso: intero € 15; ridotto € 10

Info: tel. + 39 041 5231680; fax +39 041 5286218;

www.palazzograssi.it;

prenotazioni 199139139

[exibart]

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