10 gennaio 2011

resoconti James Mollison Roma, Auditorium Parco della Musica

 
Un divano logoro, un materasso lurido, un pavimento gelato. Quelli narrati da Mollison sono i non luoghi nei quali si consuma l’infanzia di molti. Celata dietro l’indifferenza dei più...

di

Per contrasto
con la miseria e l’indigenza più sconsolata di Prena che vive in Nepal, ecco la
prigionia psicologica di Jazzy tra le sbarre dorate a forma di corona, ostaggio
di un modello culturale imposto dall’esterno, nel suo ricco Kentucky.

Sono le
storie raccontate nel foyer del Parco della Musica da James Mollison (Kenia, 1973; vive a Venezia). I suoi 56 dittici fotografici
lasciano attoniti nella loro semplicità espressiva: il ritratto di un bimbo da
un lato, il suo rifugio e dormitorio dall’altro. Un progetto in cui non vengono
proclamati slogan e che non ammette ipocrisie. Vuol dimostrare solo che la
dignità dell’infanzia può essere egualmente violata dalla ricchezza e dalla
povertà. La vita dell’artista si snoda proprio lungo il percorso della ricerca
e della testimonianza. Collabora con numerose
riviste: New York Times Magazine, The Guardian, The Paris Review, The New
Yorker
, Le Monde e partecipa
a Fabrica, il laboratorio
creativo di Benetton.

Nella
sua esperienza, si misura spesso con l’idea di raccontare per immagini: dalle crude
storie di Pablo Escobar alla vita miserabile delle falde di popolazione destinatarie del World Food Program. Ma è con la raccolta Cocoa Pickers (2007) che Mollison maggiormente si riallaccia all’attuale
esposizione romana, esplorando le disparità sociali come le facce della stessa
moneta. Se in quel caso confronta da un lato lo sfruttamento dei produttori di
cioccolato e dall’altro la speculazione sui suoi consumatori, in questo esplora
in tutta la sua estensione il valore psicologico che assume nell’infanzia l’appartenenza
a un determinato luogo fisico.

Abitare è
sentirsi a casa, ospitati in uno spazio che non ci ignora, tra le cose che sono
impregnate del nostro vissuto. La negazione di questo diritto comporta la
definitiva perdita della propria identità. E ciò vale per la piccola senegalese
Syra, a otto anni vittima di un disagio scambiato per un sortilegio maligno,
come per il nepalese Ram che a nove anni produce più di mille mattoni al
giorno. Per loro la vita scorre via solo nello squallore e nella desolazione di
ricoveri fortuiti.

Eppure, per
paradosso, quella stessa identità viene negata anche dalla espropriazione delle
aspirazioni e dei desideri personali, sostituiti da altri, conculcati dagli
adulti di una borghesia malata. Basta entrare nella camera dei balocchi di Jaime
che vive in un attico di New York o osservare la stanza dove dorme Ryuta, a
dieci anni campione di sumo a Tokyo. La quotidianità è l’esemplificazione non
delle loro storie, ma di quelle altrui, di quei genitori che li percepiscono
come prodotto, emanazione, sogno o incubo della loro generazione.

E dunque il
tratto comune di quelle vite diviene, in fondo, la perdita della ingenuità
infantile, nel suo più profondo significato di in-genuus, ‘nato libero’. Tutti questi bimbi hanno smarrito la
libertà di muoversi come il cuore detta, stretti dentro una vita che li
consegna prematuramente al mondo per lasciare che si consumino nelle loro solitudini.

Un isolamento
che Mollison narra in modo geniale, ponendo rispettivamente i volti e i luoghi
su due piani ideali, senza alcuna apparente relazione, se non la loro stessa vicenda
esistenziale.

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Auditorium – Parco della Musica

Viale Pietro De Coubertin, 34 (zona Flaminio) – 00196 Roma

Orario: tutti i giorni ore 11-18

Ingresso libero

Catalogo Contrasto

Info: tel. +39 0680241436; info@musicaperroma.it;
www.auditorium.com

[exibart]

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