22 ottobre 2012

Fino all’11.XI.2012 Liu Bolin, A secret tour Roma, Museo Andersen

 
Fotografia come performance, paesaggio come corpo e pittura come scultura. Il viaggio in Italia dell'artista cinese Liu Bolin -

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Nonostante si tratti di fotografie, che vedono Liu Bolin (Shandong 1973) relazionarsi con le scene italiane sullo sfondo, l’operazione dell’artista al Museo Andersen nasce da un atto performativo: appiattire la presenza fisica del corpo nello spessore di un velo, nel tentativo di sintonizzarsi con la realtà che è alle spalle. Ciò fa della scelta del luogo un argomento necessario e totalizzante per cui Bolin ne studia angoli, prospettive e il tempo meteorologico adatto. Questa fase di preparazione, quasi certosina, non si risolve in un ritratto: quella dell’artista cinese non è la rassicurante prospettiva dell’uomo vitruviano su uno sfondo di albertiana memoria (pericolo più che mai presente dal momento che il “set” su cui l’artista lavora dal 2010 è l’Italia), semmai il suo contrario: se la pittura nasce anche come necessità di comunicazione (tentare di aprire un varco e vedere cosa c’è dentro come ci ricorda l’antico gioco di Zeusi e Parrasio), in questo caso una scultura vivente, e pitturata, è quasi un’escrescenza su sfondi che invece in passato hanno tentato più di un pennello pittoresco.

Il processo di Bolin raggiunge i suoi esiti migliori nel momento in cui questa mimesi è innescata da una reazione, come è avvenuto nel 2005 dopo la decisione delle autorità di Pechino di demolire il Suojia Village International Arts Camp dov’era il suo studio: la prima delle sue social sculptures è quindi uno strenuo tentativo di non recidere il filo che lo legava a un luogo che, prima delle macerie, era uno spazio privato di vita e lavoro. Ancora nella piazza di Tien An Men privato e politico sono messi in simbolica tangenza: il volto dell’artista scompare in quello di Mao, ma si tratta ancora di una sovrapposizione. A partire dal 2008 il viaggio prosegue in Italia ma il retaggio cinese, che di fatto ha innescato tutta la serie di Hinding in the City, rimane nella scelta di indossare sempre lo stesso simbolo di coercizione: una uniforme militare che viene poi ricoperta di colore e parla di volta in volta di una realtà diversa. Perché proprio l’Italia? «La maggior parte degli artisti, storicamente, ha sentito l’esigenza di confrontarsi con questo Paese. La stessa relazione esiste, a mio avviso, tra la cultura cinese e il continente asiatico». Ma ciò che manca all’est è la capacità di conservare il passato e forse per questo l’artista, tra i luoghi dello stivale, sceglie quelli dove ci si sta prendendo cura di qualcosa che è stato: ravvivandolo, come nei teatri, tutelandolo (?) a Pompei e conservandolo, come nelle biblioteche di Verona, inizio e fine del suo viaggio.

Eleonora Minna

dal 12 settembre al 11 novembre 2012

Liu Bolin, A Secret Tour
a cura di Raffaele Gavarro

Museo Hendrik Christian Andersen

Via Pasquale Stanislao Mancini, 20 – 00196 Roma

Orario: da martedì a venerdì ore 9.30-18.30, sabato e domenica ore 9.30-19.30 (la biglietteria chiude 30 min, prima)

Ingresso libero

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