14 luglio 2018

Finissage Gonzalo Orquín. Próximo Destino: Roma Istituto Cervantes, Roma

 

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Una mostra di ritratti, dipinti dal ritrattista più acclamato e schivo dell’ultima generazione di pittori operanti a Roma, Gonzalo Orquín. Non ritratti tradizionali, con un riferimento oggettivo tra modello e dipinto, tra realtà e visione, ma ritratti ideali, mentali, culturali di persone anzi di personaggi che non ci sono più. Una mostra che presenta una serie di ritratti di artisti, abbracciando un arco temporale di quattro secoli, e ne racconta l’arte attraverso la pittura. Una mostra metalinguistica, a ben guardare, che racconta l’arte stessa, i suoi protagonisti, la sua storia, i suoi slanci, il suo fare e il suo farsi attraverso lo sguardo di un pittore spagnolo che evoca le vicende artistiche di altri artisti spagnoli, che sono arrivati a Roma e che nell’Urbe hanno lavorato: in ordine cronologico Alonso Berruguete, El Greco, Diego Velázquez, José de Ribera, Mariano Salvador Maella, Francisco de Goya, Eduardo Rosales, i sivigliani José Villegas y Cordero, José Garcia y Ramos, José Jimenez Aranda e Luís Jimenez Aranda, i pittori della famiglia Madrazo Fortuny, Joaquín Sorolla, Pablo Picasso, María de Pablos Cerezo, Gregorio Prieto, Salvador Dalí. 
Ventidue tele, frutto di un lavoro di un anno e mezzo, presentate su invito del direttore dell’Istituto Cervantes, con testi in catalogo dell’ambasciatore Jesús Gracia Aldaz, di Gianni Papi e di Cesare Biasini Selvaggi, per un originale percorso di lettura all’interno della storia dell’arte e per celebrare l’incontro tra la Spagna e Roma. A legare tutti, trascinando passato e presente in un giro di valzer vertiginoso e mozzafiato, è proprio la Città, la più bella del mondo: Roma.
“Próximo destino: Roma”, non è solo il titolo della mostra, ma una premonizione, un maleficio, la formula di un incanto che ha patito sulla sua propria pelle anche il giovane Gonzalo, arrivato sedicenne in Italia – grazie ai soldi ricavati dalla vendita delle copie adolescenziali fatte dal suo mito assoluto Velázquez – e già consapevole che per lui sarebbe stata la Città Eterna il luogo dell’arte incarnata, dell’amore e delle passioni, della vita insomma. Un destino, con un voluto accento tragico, e non una semplice destinazione. Un’attrazione magnetica, una forza centripeta che ti cambia la vita all’incontro, al primo fatale sguardo. La storia di una fascinazione senza scampo. 
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Gonzalo Orquín, Gregorio Prieto, Donde habite el olvido, 60 x 70 xm, olio su tela, 2017

A fare da fondale a questo progetto colto, prezioso e bellissimo, che appaga gli occhi, la pancia e lo spirito dei visitatori, è piazza Navona, su cui si affaccia la sede romana del presidio preposto alla diffusione della lingua e della cultura spagnola nel mondo e dove convivono i fantasmi di Domiziano, Bernini e Borromini. Davvero un ombelico di meraviglie senza pari che aggiunge eco, spessore e profondità a una pittura di desiderio che si impegna a coniugare la tradizione del realismo iberico, forse troppo crudo nella sua aderenza al vero, secondo Gonzalo, con la secolare lezione della bellezza classica che l’arte italiana ha impartito al mondo. Si sono andati così stratificando, nella personale mappa di sguardi collezionati da Orquín, l’affresco di Giotto e il Rinascimento di Piero della Francesca insieme a certo ordinatissimo Novecento, in particolare la pittura tra le due guerre, Casorati e Sironi sopra tutti.
Un ricco bagaglio di storie e un groviglio di riferimenti che fanno di questa mostra un evento eccezionale, memorabile. Non solo perché l’artista aveva fatto l’ultima personale – di disegni ricamati in dialogo con la letteratura – proprio a Roma nel 2015, ma soprattutto perché Gonzalo Orquín, benché ancora giovane, è già lui stesso un personaggio romanzesco come quelli di cui sintetizza oggi le mitologie nella grazia di un dipinto. Ritrattista talentuoso, si è fatto un nome nei primi anni romani come cantore di una certa nobiltà in cerca di rinverdire i fasti di un lignaggio ormai anacronistico nella sua declinazione. Capace di stupire con un’epica dell’intimismo quotidiano dispiegata in grandi tele così come in piccoli formati che sembrano rubati al tempo, velati in egual misura di sensualità e malinconia e sempre frutto di un osservare rubando, spiando, ma in un modo più interiore che voyeuristico, testimone del senso di una perdita inesorabile che sa di vanitas presente. Meditabondo, lento nella produzione, tormentato da ripensamenti dell’ultimo minuto e famigerato in quanto distruttore dei suoi stessi quadri, il pittore Orquín ha già una pletora di seguaci devotissimi pronti al plauso e di collezionisti fedelissimi capaci di ingaggiare battaglie cruente pur contendersi i suoi lavori. Scandaloso e apertamente engagé, anche, come quando ha fotografato i baci di coppie omosessuali davanti all’altare delle chiese di Roma per denunciare con la sua arte il vuoto legislativo sulle unioni di fatto, scatenando le ire del Vicariato e persino un raid fascista.
Nel percorso espositivo del Cervantes troviamo opere che sono già iconiche, fatte oggetto di un culto del tutto speciale, come la serie dedicata ai “Disastri della guerra”, quasi un polittico interattivo, il ragazzo con il giglio che sintetizza l’”Annunciazione” di El Greco, ridotta a sinopia o filigrana sullo sfondo, i due splendidi e sfrontati ritratti di Olga, la prima moglie di Picasso conosciuta proprio a Roma nel 1917, trasformata per un gustoso e iperbolico scambio di genere in un ragazzo en travesti, i Ken gay dedicati a Prieto, giocattoli per bambini sfacciati, e il dipinto più piccolo di tutti, ma ammantato di un mesmerismo speciale: il ritratto dell’amico pittore Alberto Torres Hernandéz nelle vesti di Maella. E poi – unica donna degli iberici visitatori – la prima vincitrice di una borsa di studio nel 1927 alla Real Academia di Spagna a Roma, la musicista Maria de Pablos Cerezo. A completare la minuziosa precisione del dire pittorico di Orquín, un non-finito arioso che rompe i limiti della tela, confine di uno stupore imprendibile, che sfugge sempre.
Possiamo scrivere senza tema di essere smentiti che fra trecento, quattrocento anni il pubblico futuro dei musei si emozionerà di fronte ai dipinti sospesi nel tempo di Gonzalo Orquín e questa mostra metalinguistica e virtuosistica lo conferma, così piena di concetto, di intelligenza, cultura e pensiero. Dicendoci che la pittura è immortale e ipercontemporanea. Di più. Che con più persuasività rispetto agli altri linguaggi dell’arte ci parla proprio del tempo, mettendo in collegamento passato, presente e futuro con un’ambizione di eterno.
Per chi si perdesse la mostra romana, appuntamento il 31 agosto nella biblioteca del Museo Sigismondo Castromediano di Lecce per la seconda tappa, arricchita da due nuovi dipinti ispirati a Ribera e alla leggenda dei suoi presunti natali gallipolini.
Francesco Paolo Del Re
Mostra vista il 27 giugno 
Dal 27 giugno al 14 luglio 2017 
Gonzalo Orquín. Próximo destino: Roma
Istituto Cervantes
Piazza Navona 91, 00186 Roma
Orari: da lunedì al sabato dalle 16:00 alle 22:00
Info: 066861871 – pnavona@cervantes.es – roma.cervantes.es

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