07 ottobre 2004

exiwebart_shows Oggetti… virtuali

 
Un ossimoro del nostro tempo, quello che lega la parola virtuale a qualcosa che –nell’esperienza comune- è, per definizione, presente. Una mostra a New York punta l’attenzione sulla complicata questione dell’oggettualità del virtuale, riunendo una decina di progetti che ne incarnano, in maniera immediata e a volte ironica, le diverse possibilità. Noi l’abbiamo visitata. Online, naturalmente…

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Salutato al suo avvento come il mezzo della definitiva smaterializzazione dell’arte, avviata dal Concettuale, il digitale sembra oggi svelare una sua irriducibile materialità. Che l’arte dei nuovi media non si fa problemi a sfoggiare, anche per liberarsi da un’eredità -quella, appunto, del Concettuale– che rischiava seriamente di bloccarne gli sviluppi. Sarà forse per la nostra straordinaria capacità di adattamento, ma mentre il nostro vissuto diventa sempre più mediato, è sempre più difficile distinguere tra spazi virtuali e ambienti reali, concepire database e cartelle come un flusso di dati invece che come semplici oggetti, non dissimili da qualsiasi cosa che prendiamo, usiamo e buttiamo via.
Ed ecco che un apparente ossimoro come oggetti virtuali può diventare il titolo di una mostra. Ovviamente si tratta di oggetti che implicano una concezione estesa di oggettualità; oggetti che non hanno bisogno di un referente fisico, ma sono “processi in flusso continuo” come dichiarano Christiane Paul e Zhang Ga, curatori “potenzialmente interattivi, dinamici, partecipativi, adattabili e in continua oscillazione tra la loro natura intrinsecamente effimera e i loro componenti materiali, o il desiderio di oggettivarli”.
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Così Watchful Portrait (Caroline, 2004) di John Gerrard e Oriana.us (2004) di Carlo Zanni, prima ancora di essere due affascinanti ritratti, sono due processi. Il primo è un dittico in cui gli occhi della ritratta si aprono e si chiudono seguendo in tempo reale il sorgere e il calar del sole (sul primo schermo) e della luna (sul secondo), sincronizzando la vita di Caroline al ritmo cosmico (o, con metafora medievale, all’armonia delle sfere celesti). Il secondo, suggestiva reincarnazione del progetto Altarboy (per cui cfr. lo speciale dedicatogli da “Exibart”) ritrae la scrittrice Oriana Fallaci, nei cui occhi si specchiano insieme l’incubo del Vietnam e lo sguardo degli utenti, entrambi mediati dalla Rete.
Con un approccio decisamente più ironico, lo sloveno Vuk Cosic trasforma in “oggetti” il flusso di e-mail che scorrono su un server, sorvegliato dal softwarevuk cosic Carnivore, un sistema di sorveglianza sviluppato dall’Fbi: e lo fa ad uso e consumo dell’intellighenzia, che fatica ad apprezzare l’arte che usa i nuovi media ripiegando sui grandi classici, visualizzando questo flusso attraverso la frutta di Cèzanne, le luci di Van Gogh, il quadrato di Malevich. Wolfgang Staehle anima l’immagine fotografica trasmettendo via webcam in tempo reale le riprese di un modello immobile, come la TV Tower di Berlino; mentre Jim Campbell condensa le quasi due ore di fotogrammi di Psycho in un’unica immagine immobile, che conserva memoria di ogni singolo fotogramma del film. E se W. Bradford Paley espone un software vagamente onanista, che rilegge e commenta il proprio codice, e il duo inglese Thompson & Craighead propone brevi film generati in tempo reale utilizzando materiali audio e video rapiti alla rete, Eric Paulos & Chris Myers ci regalano un vero strumento di autodifesa, uno strano aggeggio che rileva le minacce nell’ambiente circostante avvisandoci della loro presenza. La scultura si aggiorna costantemente attraverso una connessione wireless: perché il mondo reale, si sa, ha in serbo sempre nuovi pericoli.

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The Passage of Mirage. Illusory Virtual Objects
The Chelsea Art Museum, 556 West 22nd Street, New York, NY 10011
tel 212.255.0719 e-mail contact@chelseaartmuseum.org
dal 14 settembre al 16 ottobre 2004
a cura di Christiane Paul e Zhang Ga


[exibart]

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