06 settembre 2010

libri_strumenti I’m not there (The Gwangju Biennale Foundation 2010)

 
Il catalogo della biennale coreana appena inaugurata da Massimiliano Gioni? Nient’affatto. I’m not there è un open source book. Una ricognizione delle leve più interessanti in quel dell’Asia...

di

I’m not there è stato ideato come un sourcebook, una pubblicazione satellite che
introduce, illustra e anticipa – all’epoca della presentazione del volume – l’ottava
edizione della Biennale di Gwangju, evento produttore e sostenitore del volume
stesso.

Con il titolo Maninbo – 10000 Lives, il direttore artistico della kermesse
coreana, Massimiliano
Giorni, introduce al pubblico la rassegna d’arte contemporanea di maggior
rilievo del Sudest asiatico. Il titolo è stato preso in prestito dai trenta
volumi del poema epico in-concluso scritto in prigione nel 1980 dal coreano Ko
Un. Maninmo
comprende al suo interno circa 3.800 ritratti descrittivi di ogni persona
incontrata da Ko Uh, includendo personaggi politici, storici e della
letteratura.

Sotto questa egida – con una particolare attenzione, cioè,
alla capacità espressiva del ritratto – per 66 giorni, dal 3 settembre al 7
novembre, la Gwangju Biennale Hall, il Gwangju Museum of Art e il Gwangju Folk
Museum ospitano opere prodotte tra il 1901 e il 2010, lavori e progetti di
oltre 100 artisti provenienti da 25 Paesi del mondo. La Biennale coreana,
infatti – e il volume ne è testimone -, è stata progettata come un sistema
espositivo tematizzato, una piattaforma che compie una ricognizione estesa,
oltre il mero scenario dell’arte coreana. L’intenzione è quella di istituire
una serie di appuntamenti per una circospezione sul grado di incidenza
dell’arte contemporanea globale nell’arena del mercato sudest asiatico.

I’m not there, in qualità di pietra miliare, segnaletica di un percorso
in divenire, è uno strumento – più che un catalogo – che registra la presenza
di oltre 190 artisti presenti in Asia. Con le sue 572 pagine contenenti oltre
400 riproduzioni di opere a colori, è un album suddiviso secondo schede poste
in ordine alfabetico, micro-sezioni iconografiche dedicate, per un massimo di
sei pagine, a ogni artista.

Questo volume risulta così uno strumento di consultazione
agile, un’antologia pratica che regala un quadro completo dell’arte asiatica a
partire dai confini dei Monti Urali – come bacino territoriale storico e
arbitrario – per arrivare a tracciare una sorta di mappa nei confronti di un
mondo creativo che, a Gwangju, riunisce anche scenari dell’arte americana,
giapponese e afgana.

Più di 50 autori, fra critici, scrittori, curatori ed
editori, hanno proposto questa lista di nomi; artisti emergenti e figure
influenti la cui pratica narrativa e i meccanismi formali sono stati altamente
studiati dagli osservatori dei propri Paesi d’origine. Il volume dà libero
accesso ad artisti provenienti da nazioni emergenti, stati che recentemente
hanno attratto l’attenzione globale come Cina, Kazakistan, Giappone, India e
Polonia. Artisti come Nadim Abbas, Gu Dexin, Shailo Djekshenbaev, Almagul Menlibayeva e Liu Wei, tra fotografia, pittura,
installazione e video rendono I’m not there una pubblicazione autonoma.

Un motore di ricerca, un atlante che riunisce fra le
proprie pagine una geografia immaginaria ancorata a un sistema culturale oltre
le solite prospettive.

articoli correlati

Intervista
doppia con Gioni e Fusi

ginevra bria

la rubrica libri è diretta da marco enrico giacomelli


Cecilia Alemani (ed.) – I’m not there

The Gwangju Biennale Foundation, Gwangju 2010

Pagg. 572, $ 20

ISBN 9788987719115

Info: www.10000lives.org

 

[exibart]

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui