02 luglio 2004

fiere_resoconto Art 35 Basel

 
Ad Art Basel non gliela si fa. Nonostante la fiera pigliatutto Frieze. Così Basilea archivia un’edizione fastosa: ottimi riscontri sia per quanto riguarda qualità delle opere che per le presenze (52000, visitatore più, visitatore meno). E –a sorpresa- anche per le vendite…

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Neppure l’attacco frontale (e l’indiscutibile successone) della neonata cannoniera Freeze riesce a scalfirne il primato. E pensare che proprio l’ingombrante new entry londinese era diventata il capro espiatorio per giustificare il ridimensionamento di buona parte del parco fieristico internazionale, Italia in testa. Ma ad Art Basel non gliela si fa e così anche quest’anno il grande evento di mercato si è confermato un imperdibile evento culturale, frutto di un format vincente, solido ed equilibrato. Il motto del più grande museo temporaneo al mondo funziona ma, a veder bene, piluccando qua e là, pure un bel museuccio di quelli stabili, lo si potrebbe impiantare in tutta tranquillità. Ok, le schifezzuole non mancano neppure qua, come pure le speculazioni e le pastette ma, come si dice, chi è senza peccato…
270 gallerie scelte da un ventaglio di candidature che ne contava più del triplo in Art Galleries & Edition, in 18 –pochine, ma non pochissime- a rappresentare il nostro paese.
Curiosità nella sezione di Art Film, soprattutto per la curatela inedita di Armleder che ha visto in campo i lavori di Matt Mullican, Christian Boltanski, Roman Signer, Lawrence Weiner ed Emmanuelle Antille. E John Armleder può essere considerato a ragione la vera star di questa edizione della Messe: presente con ben 6 gallerie, De Carlo in testa, sceso in campo con Ecart, da lui stesso diretta, e selezionato anche per la sezione Unlimited dove, uno e trino, ha trovato il tempo di allestire uno dei progetti più freschi e interessanti.
jake & dinos chapman
Da segnalare anche l’accordo pluriennale stretto da Bulgari con la Messe per Art Basel Conversations, programma di tavole rotonde e incontri su mostre e collezionismo con direttori di musei, curatori, artisti, editori e sponsor.
E infine la novità del Professional Day, appuntamento vip del lunedì di fiera, su invito, per incontrare artisti, osservare curiosità collezionistiche (è stato tirato fuori un pacco di lettere inedite di Pollock degli anni ’30 da Washburn di NY), partecipare a presentazioni di libri e quant’altro. Un modo come un altro per vivacizzare un giorno tradizionalmente fiacco trasformandolo nell’ennesima occasione per ostentare l’appartenenza ad un élite collezionistica che già può contare su spazi riservati, tessere, corsie preferenziali per saltare le code dei comuni mortali alle numerose mostre nei dintorni. E, a proposito di mostre, il programma riservava nei dintorni robetta come Calder, Miro, Uklanski, Schwitters, Arp, Lawler, Oderbolz ma soprattutto l’ultima occasione per vedere una retrospettiva storica di Bacon. Della serie: “e quando ti ricapita?”.
Ma per chi non c’era, e magari anche per chi c’era, a seguire l’ormai tradizionale resoconto della Messe Basel.

Il giro delle gallerie

Subito una considerazione al Padiglione 2.0, relativa allo stato di salute della grafica spesso bistrattata: le serie di litografie di Picasso e Fautrier della Galerie Orangerie (D) hanno prezzi tra i 28.000 e i 40.000 euri con tirature a 50; esercitatevi sulla moltiplica per ottenere il prezzo dell’opera completa.
Molto attuali le foto di Klaus Rinke della fine degli anni ’60 da Meyer-Ellinger (D), come pure, da Lahumière (F) i meandri dipinti di Knifer che ricordiamo nella Biennale di Szeemann.
Intrigante le stand di Galerie de France (F): si va dalle foto di Kiarostami ai Carton brulé di Klein degli anni ’60, dalla Balle du vent di Rebecca Horn (la prima di una serie nutrita di opere in fiera) all’incredibile Bambino malato del 1889-1892 di Medardo Rosso.
Esagerazioni alla Beyeler (CH), lo stand lo fanno Calder, Mirò (entrambi in mostra alla Fondazione), Léger, Fontana, Warhol, Klee, Richter e Rothko: una compagnia di giro niente male. E si è pure venduto parecchio.
Mayer (D) sfoggia un Warhol di oltre 4 metri per 3, ma anche Hopper ed una bella installazione di Robert Longo, con pistole appese e lapide a terra.John Currin
Questo è stato sicuramente l’anno di Markus Oehlen, rappresentatissimo; Hetzler (D) ha dedicato quasi una personale alle sue opere macchiniche (ops…), abbinandogli i fiori pop di un’altra brava pittrice, Beatriz Milhazes (anche da Fortes Vilaça (Br)), che si era notata al padiglione brasiliano nella Biennale di Bonami.
Squallido da Art e Public (CH): il bravissimo artista concettuale Erwin Wurm, autore del progetto più eclatante ad Unlimited, si prende il lusso di vendere tirature a 8 delle sue Fat car in miniatura. Capito il concetto? Curiosamente, nello stesso stand, Sylvie Fleury espone a terra le sue scarpe griffate Prada, del 2003.
Da Richard Gray (USA) Pollock, De Kooning, Lichtenstein, Katz, Giacometti, un tubettone di colore di Oldenburg e un minuscolo Jasper Johns, del ’59, installato su un mini cavalletto da pittore. Una raffinatezza degna della collezione di bomboniere di mia zia…
Per fortuna ci pensano le foto di cadaveri di Pat York, o quel che rimane, la pelle scuoiata, a tirarci su il morale, da Gmurzynska (D): pugno allo stomaco.
Più divertente, da Mitchell-Innes (USA), è lo spettacolare dipinto new pop di Michael Bevilacqua, Highly evolved, si sviluppa per una lunghezza di cm. 731,5 e fronteggia il classicissimo Christ di Warhol, dell’’85-’86.
Scuderia illustre da Sperone (USA), con Tom Sachs, la ruspa di Wim Delvoye, Fontana, Manzoni, Tuttle, Neumann; Taaffe, Katz, Fischl, Richard Prince e ritratti di Roni Horn invece da Jablonka (D). Bellissimo tappeto di Carl Andre da Paula Cooper (USA), ma ci sono anche i disastri di Kelley Walker e i nuovi di Rudolf Stingel. Tanto Paul McCarthy da Luhring Augustine (USA), con 24 foto del ’74 e una monumentale Santa long neck in bronzo del 2004, ma anche bellissime nuove foto di Gregory Crewdson. Meier (USA) punta sull’Alligatore with Fibonacci number to 377 di Mario Merz, del ’71-’79, sui rinascimentali video di Bill Viola Cohan, Mary, del 2000 e Study for the path del 2002. Raffica di foto da Sonnabend, con Lawrence Beck, Clifford Ross, Elger Essr, Clay Ketter, Sugimoto e i Becher.
Landau (C) espone i suoi Magritte, Chagall e Picasso (di alta qualità il Fumeur del ’69 di quest’ultimo) alla conta dei fatti è forse Ernst l’artista più ammirato. E mentre da Templon (F), con Dine, Cotton e Bustamante si rivede il gettonatissimo Crewdson, Ammann (CH) dedica una parete a Basquiat e Warhol ma espone anche ottimi disegni di Twombly.
Grande spazio a Damien Hirst da Gagosian (USA), soprattutto con il celeberrimo scheletro occhiuto Rehab is for quitters (1998-1999), condensato della poetica nichilista, voyeuristica e dissacrante del più importante artista inglese degli ultimi anni, ma non mancano Warhol, Basquiat e gli aspirapolveri di Koons visti anche a Villa Manin.
Greyson PerryDan Graham, Light box di Jeff Wall e foto di Struth da Goodman (USA) mentre alla Marlborough (CH) si cavalca la coda della bellissma retrospettiva della Beyeler, con molti pezzi di Bacon.
Ottimo e netto l’allestimento della newyorkese Skarstedt; non bastassero le foto della miglior Sherman e le opere di Oehlen e Haring ecco un’intera stanza rossa ad incorniciare un’icona di Richard Prince, Spiritual America.
Paul Morrison, nelle nuove opere della sua ricerca botanica, tende a rinunciare alle rotondità pop per amplificare l’impostazione grafica, nel verso di una espressività inedita, come ben appare in Scarlet oak, 2004, da Cheim & Read (USA).
Tanto Basquiat da Bischofberger (CH), tantissimo Tony Cragg da Buchmann (CH), mantre da Werner (USA) si scovano soprattutto 2 lavoretti su carta del rarissimo Peter Doig.
Salendo al Padiglione 2.1, Zwirner (USA) accosta all’ormai consueto Dzama, pezzi di qualità di Havekost (anche da Lehmann (D)). Da Kargl (A) invece, occasione per vedere le cose migliori esposte recentemente alla Tate della coppia Muntean/Rosemblum (anche ad Interim Art (GB)), tra le quali un nuovo e bel video It is never facts that tell, che ricorda un po’ Pasolini e un po’ la Brigata ES, e per ammirare forse l’opera più grande di sempre di Elke Krystufek (Cyberlovers; Desire; Survivor) e quelle alla maniera di Adami dell’emergente Lisa Ruyter.
Interessante anche l’eclettismo pittorico di un’artista non di primo pelo, Uwe Wittwer, da Walter (CH), mentre più modaiola e divertente la sdraio fuori scala di Stefan Wissel, da Hengesbach (D).
Video, foto e dipinti per un Giocolea a tutto tondo da Scheibler (D) mentre alla White Cube ancora Hirst, con versioni ridotte delle pillole portate da Bonami alla Biennale ed un orribile salvadanaio gigante figurato. Molto meglio gli scheletri verminosi, Sex II 2003, dei fratelli Chapman, Neal Tait e le foto di Darren Almond (bellissima Full moon del 2003).
Andrea Rosen (USA) si fa dipingere lo stand da Matthew Ritchie e poi espone un’installazione di David Altmejd, disegni di Currin, ricami di Michael Raedecher e dipinti della promessa Nigel Cooke.
Pessimo l’allestimento di Victoria Miro (GB) ma gli spunti non mancano, dalle foto di Demand ai dipinti di Ofili e Krisanamis, dai famosi vasi di Grayson Perry (Turner Prize 2003) alla giovane e interessante novità di Suling Wang, con il suo astrattismo influenzato dal paesaggismo orientale.
Palma d’oro per lo stand più intrigante va invece a Contemporary Fine Arts (D): tele e palle giganti di pezza di Tal R da un lato, tele e sculture dell’emergente metallaro Jonathan Meese dall’altro.
Ottimo stand anche per Regen Project (USA), con Lari Pittman, foto recenti di Catherine Opie, le cose di Richard Prince e un ottimo scatto di Gillian Wearing.
La giapponese Scai espone le star d’oriente, Lee Bul su tutte, Gavin Brown (USA) e Sadie Coles (GB) quelle anglosassoni: Krisanamis, Peyton, Laura Owens, Victoria Morton. Ancora pittura per 303 (USA), con Karel Funk, l’antipasto della nuova Essenhigh più figurativa con i disegni, un inedito ritratto grande di Tim Gardner (per solito in formato cartolina), Kilimnik e Sue Williams. Da Perrotin (F), tra Murakami e Gelatin, finalmente anche l’apparizione italiana di Paola Pivi, che fa il paio con quella di Caravaggio da Koyama (J), in mezzo ad un’allegrona compagnia manga che, tra tradizione e novità, scoppia di salute: Sugito, Murakami, Nara, Ochai, Kuwahara, Fukui.
Finalmente un video (rari nel settore Galleries), da Lorenzo (E), e la conferenza del verde Urban cowboy del giovane Adrià Julià è anche divertente.
E così, tra la Lisson (GB) che finalmente porta qualcosa di nuovo, con paesaggi di Opie e Jane e Louise Wilson, i bei Delvoye di Szwajcer (B), gli Shonibare di Friedman (GB) e i nuovi gettonati Rodney Graham di Young (USA), quella di una qualità complessiva in crescita è parsa ben più di una sensazione.

Rebecca Horn
Fotografia!


Sembra finalmente infranto anche l’ultimo pizzico di tradizionalismo della Messe: mai vista tante foto, con le migliori gallerie americane in campo. E le chicche storiche facevano brillare gli occhi ai collezionisti. Un autoritratto di Degas (1895) da Corkin Shopland (C), con i Fab Four di Avedon, e gli incredibili paesaggi di inizi ‘900 riprese durante le esplorazioni artiche da Yak Yak Gakkel. Di nuovo Avedon, con la serie per Warhol e la sua Factory, le foto nei campi nomadi degli anni ’60 di Diane Arbus, una splendida nuvola di Weston del ’24 e poi ancora Irving Penn, i Becher, Friedlander, Nixon, sono tutti da Frenkel (USA). Da Houk (USA) Stieglitz, Lynn Davis che ritrae iceberg e le architetture di Frank Gehry e Arbus con le celebri gemelline (Identical twins, Roselle) del ’67.
E che dire delle Poupées di Bellmer, del ’35, da Ubu (USA), o degli scatti di Eisenstaedt, con Marlene Dietrich ed una vista della scala del ’34 che farebbe invidia a Grazia Toderi? Sempre da Miller (USA) si passa da una romantica Ny degli anni ’40 vista da Helen Levitt all’ironia della mezza macchina di Burk Uzzle, fino alla canoa ritratta dall’alto di Metzker che è pura pittura informale. E non mancano neppure Weegee, incredile la donna cannone del ’52, Winston Link, Joe Deal, Siskind da Mann (USA) e Man Ray, da Paviot (F).

E gli italiani?

Va bene agli italiani galleristi: Kauffman, Noero e Raucci/Santamaria spuntano un progetto nello Statement. Nel settore delle opere fuori scala, Unlimited, ci sono anche Noire, con Miguel Angel Rios, Continua, con Kendell Geers e di nuovo la milanese Kauffman, con Candide Breitz, che ha decisamente fatto il pieno, unica italiana ad acaparrarsi un progetto per entrambe le sezioni.
Male invece va per gli artisti di casa nostra: il nostro movimento paga una piccola recessione dopo un buon periodo e i nostri giovani se li filano solo galleristi italiani. I segnali sono di un’imminente ripresa ma all’estero prevale la cautela. Così, l’unica alternativa ai classici Paolini, Boetti, Clemente, Merz, Pistoletto, sono i classicissimi Fontana, De Chirico, Castellani, Rotella.
Nessun nostro artista selezionato nella sezione Unlimited curata da Simon Lamunière e, a guardar bene, toccò solo alla Marisaldi nel 2003, a Toderi e Spalletti nel 2002, a Beecroft, Botto & Bruno e Fabro nel 2001. Ma Cattelan che fa? Se non è una trend negativo questo…
Il furbo Artiaco non si lascia scappare l’ondata Oelhen, prepara la personale del minimalista Charlton e mette in mostra anche Paolini e Botto & Bruno.
De Carlo non sbaglia con le nuove tappezzerie fiorate e argentate di Stingel ma soprattutto si accaparra il progetto Unlimited con Armeleder. Che non tradisce.
Inizia bene La Città, tra nuovo e classico, con Pistoletto e Masuyama, si toglie la soddisfazione di mostrare che i buoni lavori di Carboni vengono prima degli Stingel di cui sopra e poi, per la terza fiera consecutiva, rovina tutto con l’albero di palle di Hashimoto (non si può più vedere).
Giò Marconi punta su Toderi, Vezzoli e su un bel Pflumm; peccato per la stecca monumentale dell’Atelier Van Lieshout, insulso baraccone. Lavoro equilibrato di Continua: piazza Chen Zen, Kedell Geers, ma offre una coraggiosa rassegna di video italiani (Mezzaqui, Morgantin, Vanzo, Zuffi) e porta un nuovo lavoro di Cecchini, The monologue project, interessantissimo e dinamico assemblaggio rovinato dal peccatuccio autocitazionista dei morsetti in gomma. Infine Minini, che allestisce un lavoro ambientale di Buren (Les parallèles, 2003) e, per la serie come eravamo, tira fuori una chicca: i vecchi dipinti della Beecroft.

Erwin Wurm
Statements


17 personali di giovani artisti nella sezione Art Statements, la vera delusione di questa edizione, che l’anno scorso aveva stupito per l’impegno di gallerie ed artisti a lavorare sullo spazio e che quest’anno si distingueva a malapena dal resto. Un esempio significativo lo prendiamo in casa nostra, la personale di Pierpaolo Campanini da Kaufmann: due strepitose tele accostate sono bastate a risolvere lo stand (il modello tridimensionale appariva appena un vezzo curioso).
Noero allestisce una parete di Steven Shearer, suggestivo collage adolescenziale disordinato, fatto di disegni, foto e stampe, mentre Raucci-Santamaria si affida alle geometrie evocative del giovane svedese Torbjörn Vejvi. Tra gli stranieri, interessante il progetto di dr. Lakra, da Kurimanzutto, che tatua tutto ciò che gli passa sotto mano, l’ombrellone portato a zonzo da Aleksandra Mir che, con il progetto di Tino Segal e rispettivamente per Enterprise e Jan Mot, hanno vinto il Baloise Art Prize. Piace anche l’ubriacante stanza senza soffitto e pavimento di Monika Sosnowka, da Foksal.

Unlimited

Nella sezione più intrigante della Messe, sono molti invece i progetti interessanti. Job Koelewijn costruisce un cinema senza schermo per sorprendere gli spossati visitatori, Shintaro Miyake dipinge una casetta a sua immagine e poi si mette a gironzolare per la fiera travestito da fungo o coniglio senza orecchie. Non s’è capito bene ma faceva ridere. Si divertivano i bambini a scoppiare le bolle di Teresa Margolles: a pensare che erano fatte con l’acqua delle autopsie fa però, francamente, un po’ ribrezzo. 101 idee per far arte scrive Rob Pruitt, alcune mica male. Tra i video, bello quello delle trottole di Miguel Angel Rios, per la serie ne rimarrà solo uno, e ancor più l’assurdo concerto per carcerato sorvegliato di Rodney Graham. Banali la navicella di Sylvie Fleury e la tavola con sedie fuori scala di Robert Therrieu. Molto meglio i 15 metri della esplosiva pittura di Chino Aoshima, la parete sensuale di Sue Williams e soprattutto l’evocativa installazione Voice of America di Vito Acconci.
Tra i progetti migliori anche la struttura-colabrodo di Pierre Bismuth, Something less, something more, l’incredibile Location 5 di Hans Op De Beek, sorta di autogrill completamente nero, con vista sull’autostrada, gli ipnotici Mandala di Kimsooja, che mandano preghiere e nenie buddiste e la serra di John Armleder, piante e fiori tra luci al neon, stereo e televisori. Al camminamento sopraelevato di Tadashi Kawamata la palma per la stronzata dell’anno e citazione d’obbligo per il casting a Cinecittà di Christian Jankowski.

Art public

Segnaliamo, sulla Messeplatz, alcuni progetti curiosi. Innanzitutto perché ci troviamo finalmente il famoso cesso della nostra Monica Bonvicini, Dont’miss a sec, poi perché nessuno ha gridato allo scandalo nel vedere la Fiat Uno con roulotte di Elmgreen & Dragset sbucare da sotterra come è accaduto a Milano (questione di carattere?). E c’erano anche il Greek Cross Pavillon, Open Shoji Screen Version di Dan Graham, un babbo natale di McCarthy e i loghi direzionali di Matt Mullican.

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10 Commenti

  1. sai che prima job koelewijn ha presentato il suo ´cinema on wheels´ in un piccolo paese in campagna nel nord di olanda?
    l´aveva messo su un incrocio di piccole strade dove ogni tanto passava un contadino in bicycletta. ti sedevi e vedevi quel paesaggio straordinaria, olandese, semplice, a la Jacob van Ruisdael, tutto tranquillo, lontana dalla vita metropolitana caotica. poi sentivi la musica di ´once upon a time in the west´ di ennio morricone. non era interssante a basilea, sembrava piu per scherzare.

  2. ho visto i lavori di Michael rotondi…molto bravo questo giovanissimo italiano…molto belle le sue cose fatte su alluminio ..un bellissimo mix tra fotografia disegno e decorazione!!
    bravo!!!davvero!

  3. Bravo Michael Rotondi
    giovane talentuoso e pieno di idee attinte anche da publicità e da tutto quello che è società!!
    Bravo spero che chi di dovere lo lanci al più presto!

  4. già…peccato che Michael ad Art Basel non abbia esposto proprio un bel niente…
    c’è da pensare che i commenti vengano scritti a caso o ancora peggio qualcuno si AUTOcommenti per AUTOcompiacersi di cose mai fatte…

  5. Michael non era ad Art Basel,almeno fisicamente.
    Per tua informazione Art Basel è una fiera e sai come funziona:
    ci sono gallerie che vendono,comprano ed espongono opere che comprano da altri,mi sono spiegata!?
    Conosco Michael molto bene e francamente credo che lui abbia altro a cui pensare che AutoRecensirsi come tu dici.

    Arte,hai presente?

    A recensirlo ci pensiamo noi!
    Informazione,informazione,chiunque tu sia!!

  6. Finiamola… please!

    Under the authority of British idiots…

    che si parli di artisti, almeno su questa page

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