21 luglio 2005

biennale di venezia Giù al nord

 
Dal mito delle origini, all’installazione che è fatta solo di suoni. E ragiona sulla permeabilità tra dentro e fuori. Piccolo viaggio attraverso la creatività del Nord Europa. Tra nitore apparente e sottili suggestioni…

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Si fa presto a dire genius loci. Espressione spesso abusata nel contesto dell’arte, per imbrigliare un fantomatico quanto ineffabile denominatore comune. Che poi alla fine di rocamboleschi ragionamenti inevitabilmente sfugge. Eppure, qualche volta, accade pure che funzioni, che effettivamente questo sentore diffuso ci sia. Palpabile. Qualcosa di simile, probabilmente, lo avverte chi si fa un giro tra i padiglioni del Nord Europa: Svezia e Norvegia (che dividono lo spazio disegnato nel 1958 da Sverre Fehn), Danimarca e Islanda (che occupa il bel padiglione progettato dal finlandese Alvar Aalto). Più che un’ispirazione è un modo di vedere (e di far vedere) le cose: apparentemente nitido, oggettivo, nella resa formale più evidente (di qui la predilezione di mezzi come il video o la fotografia) ma anche ammantato d’un incanto sottile, quasi ipnotico.
Si riallaccia alla saga delle origini l’islandese Gabríela Fridriksdóttir (Reykjavìk, 1971): la sua Versation Tetralogia è un lavoro complesso a tratti cupo che unisce in un unico flusso d’immagini e suoni, orizzonti mitici e fantasie allucinate. Fa da contraltare il sobrio e semivuoto Padiglione dei Paesi Nordici: rimosse le pareti vetrate Miriam Bäckström (Stoccoloma, 1967) e Carsten Höller (Bruxelles, 1961) hanno installato dei microfoni nascosti nello spazio esterno circostante e sulla sommità del grande albero che attraversa lo spazio espositivo. I suoni registrati vengono trasmessi all’interno, ma a volume ridotto, come una presenza persistente, ma assolutamente non invasiva.

Esercizio sulla capacità d’ascolto con tutta la serie di significati che la parola implica, al di là del rischio (realistico, effettivamente) che il pubblico fatichi ad accorgersi della fin troppo delicata installazione sonora.
Ancora nel padiglione, il doppio progetto di Matias Faldbakken (Hobro, Danimarca, 1973): presenza consolatoria – c’è da dirlo – dopo l’aera leggerezza dell’intervento della coppia Bäckström – Höller. Black Screen è un video e un libro (da portare via, e lo consigliamo perché è realmente un bel prodotto): riflessione –ma affatto paludata– su anarchia e nichilismo. Fil rouge lo schermo nero, vessillo e segno significativo di rottura. Come accade nel video che è una lunga ripresa circolare all’interno di un cinema, dove lo schermo d’argento delle proiezioni è stato significativamente sostituito con uno all black. Da sfogliare il volume, con disegni, immagini e tre interviste: da segnalare quella ad una coppia di fratelli d’oro del cinema stelle & strisce, Tony e Ridley Scott.
Tutto sommato stenta a decollare la panoramica sulla giovane arte danese presentata all’interno del Padiglione. Tra gli altri: Ann Lislegaard (n.1962) riflette sugli spazi ideali con un’animazione 3d dai colori lisergici dedicata a Bellona, città fantastica nata dalla penna di Samuel Delany; Eva Koch s’impantana provando a mettere in scena – in un video – la difficoltà di comunicazione e comprensione nell’età contemporanea; Peter Land (Aarhaus, 1966) allestisce una variazione sul tema consueto del freak. Peccato che sui due bambini impegnati in un alienante gioco con la palla finisca per gravare un’aurea malsana decisamente lugubre: tutto il contrario della leggerezza di tocco magistrale che plasmava i Benevolent Monsters.

Interessante è il lavoro di Joachim Koester (Copenhagen, 1962) dedicato alla sfortunata spedizione al Polo Nord tentata Salomon August Andrée nel 1897. Per realizzare il video in mostra Koester ha filmato i negativi originali scattati dal fotografo della spedizione e rinvenuti tra i ghiacci, trentadue anni dopo la tragica e misteriosa scomparsa dell’equipaggio. Sulla pellicola si muovono piccoli cerchi neri, esili come fiocchi di neve. Più che una docu-fiction, una riflessione sull’essenza delle testimonianze ed, in fondo, la suggestione sottile un messaggio occulto, ancora da decifrare. Che pare aver attraversato intatto il tempo.

mariacristina bastante
mostre visitate il 9 e 10 giugno 2005


51. Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Periodo di apertura: 12 giugno – 6 novembre 2005
Siti espositivi: Giardini (chiuso il lunedì, escluso lunedì 13 giugno 2005) – Arsenale (chiuso il martedì, escluso martedì 14 giugno 2005)
Orario d’apertura: ore 10.00 – 18.00
Biglietti: € 15 (intero) – € 12 (ridotto) – € 40 (Permanent Pass) – € 34 (Formula Family: 2 adulti + 2 ragazzi under 14) – € 8 (under 26 e studenti) – ingresso gratuito: fino ai 6 anni e accompagnatori di persone disabili – Prenotazioni Gruppi / Itinerari Tematici / Percorsi Didattici e Informazioni: Call center 041 5218828 – Ufficio Promozione Pubblico: Fax 041 5218825 – www.labiennale.org  


[exibart]

3 Commenti

  1. EXIBART-Biennale di Venezia: a quando un “piccolo vostro viaggio” tra gli artisti veneziani che fanno underground di qualità in questa città?
    Venezia è un luogo unico perchè ci sono stati artisti che nel passato hanno creato un universo di cultura ancor valido oggi: i veri eredi di questa realtà siamo noi artisti e non i direttori dei musei, il potere culturale ecc…
    Daniele Scarpa Kos

  2. Le istituzioni veneziane quest’anno hanno involontariamente organizzato, in concomitanza con la 51° Biennale d’Arte, una sorta di fiera del MADE IN USA. A Barbara Kruger è stato assegnato il Leone d’oro alla Carriera, Kiki Smith è presente con una mostra alla Fondazione Querini Stampalia, Karen Kilimnik espone alla Fondazione Bevilacqua La Masa, la Collezione Peggy Guggenheim ospita un’esposizione di opere su carta di Pollock. E ad essi dobbiamo aggiungere, in una prospettiva più ampia (di neocolonialismo culturale anglofono) anche gli ENGLISH SPEAKING, Lucy Orta-Lucian Freud. E’ importante chiarire alcuni gravi dubbi ed equivoci su questa cultura a cui diamo tanto spazio, da noi forse eccessivamente idealizzata, anche considerando che oggi, per ottenere davvero attenzione in quell’area, un giovane artista italiano vi si deve necessariamente trasferire. Per questo ho sottoposto (con volantinaggi e proteste) agli artisti USA che espongono a Venezia durante la Biennale, la richiesta di dissociarsi dalla barbarie di Guantanamo. Come sappiamo, su questi temi i creativi USA sono campioni di autocensura e omissioni, Kiki Smith (che pure dice di conoscere la situazione carceraria di quel paese) si sente perfino autorizzata ad insegnarci quello che dobbiamo seguire (Follow your shadow). STOP GUANTANAMO! DISSOCIATEVI! Daniele Scarpa Kos

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