07 febbraio 2006

fotografia Geografie affettive e sociali

 
Il secondo approfondimento della rubrica fotografia sul tema delle geografie si incentra sull’opera delle americane Nan Goldin e Diane Arbus. Due donne che hanno ampliato i confini del lecito in fotografia…

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L’evoluzione tecnologica della macchina fotografica (che con il tempo è diventata sempre più leggera, maneggevole e sofisticata nel riprendere, anche in condizioni scarse di luce), al pari dei cambiamenti nelle abitudini sociali, ha permesso di ampliare le situazioni in cui scattare immagini, così come la rosa dei soggetti ripresi. Due fotografe americane (una con la Leica e l’altra con la Pentax) lo dimostrano efficacemente.
Nan Goldin (Washington D.C. 1953, vive a Parigi) si avvicina alla fotografia intorno agli anni ’70 a Boston, dove riprende le drag queen: sin da queste prime immagini, in bianco e nero e un po’ glamour, è evidente il suo approccio umano ma diretto, malinconico eppure immediato. I soggetti ripresi e la loro vita quotidiana vengono raccontati anche nei momenti più intimi, relegati in genere nella dimensione privata. Lo stesso atteggiamento, usato in modo più consapevole e maturo, caratterizza The Ballad of Sexual Dependency (1981), la sua serie fotografica più famosa che -dopo essere stata costantemente rimaneggiata e ampliata- oggi comprende 700 scatti a colori. Ci sono istantanee di amici e di familiari mentre riposano su letti sfatti, fanno l’amore, si truccano, parlano al telefono. Ma anche persone sotto gli effetti dell’alcool e della droga, con i segni dell’AIDS. E, ancora, persino istantanee della sua vita personale, che non viene risparmiata nemmeno nei momenti di maggiore vulnerabilità (in Nan One Month after Being Battered la Goldin haUno scatto di Diane Arbus il volto gonfio dalle percosse che il suo amante Brian le ha dato prima che finisse la loro relazione).
Le immagini nel loro insieme formano una sorta di diario pubblico (come lei stessa lo definisce) che, proiettato in uno slide show di 50 minuti -con tanto di colonna sonora fatta di brani musicali di generi diversi per sottolineare i vari momenti della proiezione- racconta di relazioni affettive alle prese con un precario equilibrio fra autonomia e dipendenza; di vite quotidiane fatte spesso di drammi e, sempre, di momenti difficili. Immagini trasgressive per la candida onestà con cui sono scattate prima ancora che per le situazioni riprese, immagini il cui modo di guardare è debitore delle fotografie di Sander, Weegee, Clark e della Arbus, anche se la Goldin rifiuta categoricamente qualsiasi somiglianza, soprattutto con quest’ultima.
Diane Arbus (New York 1923 – 1971), pur avendo cominciato con la fotografia di moda come assistente del marito Allan Arbus, dal 1956 (cioè dall’incontro con l’austriaca Lisette Model che le parlò di un tipo di fotografia più semplice e diretto, che colpisce direttamente allo stomaco) realizza ritratti frontali dei “diversi”, i cosiddetti freaks. Coloro che portano il marchio della diversità ben impresso sul corpo (travestiti, nani, giganti, transessuali, uomini tatoo, nudisti) ma, al contempo, anche dei cosiddetti “normali”, scovando in loro particolari inquietanti, goffi, assurdi. Come un trucco troppo marcato o un cappellino troppo eccentrico. Davanti al suo obiettivo anche le coppie di fidanzatini, le allegre famigliole, i bambini che giocano o quelli che piangono, persino le gemelle (nel film Shining il regista Stanley Kubrick dedica un omaggio ad Arbus, citando proprio una sua immagine di gemelle) diventano inquietanti. Grazie alle sue fotografie la Arbus ricevette due borse di studio dalla fondazione Guggenheim, pubblicò su riviste, allestì mostre ma spesso, anzi quasi sempre, sollevò polemiche, perché le sue opere sono ritenute troppo forti e perfino offensive.
Una fotografia di Nan Goldin
E nonostante nel 1972 (l’anno seguente al sui suicidio) sia stata la prima fra i fotografi americani a essere ospitata alla Biennale di Venezia, Hilton Kramer (critico d’arte del New York Times) la definì in toni sprezzanti come “l’angosciosa attrazione del padiglione americano”.
Forse ha ragione chi sostiene che i lavori di Nan Goldin e di Diane Arbus si assomigliano in modo soltanto superficiale e apparente, eppure entrambe le fotografe –anche se in modi diversi- si sono ribellate contro ciò che è convenzionale e rassicurante, per far emergere ciò che è privato, segreto e che viene considerato brutto o pericoloso. Così facendo hanno infranto l’uniformità del sogno americano, così come il confine fra ciò che è lecito e ciò che non è lecito dire in fotografia, fra ciò che si deve e ciò che non si deve mostrare.

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elisa paltrinieri

[exibart]

3 Commenti

  1. Salve!
    Concordo con te sul fatto , evidente, che entrambe hanno saltato o meglio spezzato lo steccato e il sogno (non solo americano) e questo certamente le accomuna, ma trovo che il codice e il segno siano profondamente diversi ( forse anche nel merito), per quanto concerne le immagini nello specifico.
    Annalisa Ceolin

  2. ciao!
    ho letto con interesse! ho fatto la tesi su Diane Arbus sulla fotografia come arte politica. L’accostamento con Nan Goldin e’ interessante!un saluto betta

  3. la verità su DIANE IN UNA MIA SCHEDA

    Diane Arbus Saggio

    “Saggio su Diane Arbus” Pino Bertelli e la fotografia trasgressiva, testi di Gianna Ciao Pointer, Alfredo de Paz, Geraldina Coltoti; edito da NdApress; pgg.130 n°30 fotografie €13.

    Bellissimo, coltissimo, affascinante eccetera: è incredibile quello che si può ancora avere per tredici Euro. Solo un difetto: manca un mio testo che ovviamente avrei offerto senza pretendere nulla, anzi! disposto a pagare qualcosa. Pino Bertelli proprio non lo capisco: ho dedicato una vita a dire bene di lui e dei suoi libri e i lettori di questa rubrica ne sono i migliori testimoni; ma lui non una volta ha chiesto la mia collaborazione per una di queste sue tante opere sulla Fotografia Trasgressiva. Eppure credo che fotografo trasgressivo lo sono abbastanza: ho scritto che Niepce non è stato l’inventore della fotografia quando persino la Treccani, come tutte le enciclopedie, afferma il contrario!

    Poi di Diane Arbus conosco molte cose che in questo libro esplosivo di Bertelli non ci sono. Diane Arbus, proposta come massimo esempio della passione depravata per la fotografia, soffriva e godeva insieme di una forma di ermafroditismo. Non era femmina, non era maschio e andava cercando freneticamente e inutilmente, fino a risolvere il suo problema con il suicidio, una forma appagante che altri hanno trovato dove nessuno pensa: nella politica, e avrei voglia di scrivere addirittura in Bertinotti. E’ chiaro che penso a Luxuria, un personaggio per cui provo molto interesse e che ha trovato la felicità, perché credo che ora sia felice o almeno soddisfatta, dove nessuno lo avrebbe immaginato: in Parlamento! Potrei anche dire che proprio per non avere mai conosciuto nella sua lunga esperienza esistenziale la Fotografia, intendo non averne mai fatto un suo primordiale interesse, abbia permesso a Luxuria di ottenere il successo che la rende orgogliosa.

    Devo subito scrivere che la Fotografia, che del resto per me è stata la vita, non è quello che ha condotto Diane Arbus all’autodistruzione. La Fotografia non è una droga anche se a volte lo pare, ma proprio il contrario: è un catalizzatore che fa emergere il buono o il cattivo, il bene o il male, il sano o l’insano che può trovarsi in ciascuno. Diane Arbus non sopportava la propria diversità: la “mostruosità” che la condannava alla solitudine e andava cercando con il suo apparecchio altri suoi simili: per usare una parola crudele. un proprio branco. Ma non trovò abbastanza esemplari perché di un branco vero, meno che mai di una tribù, di un specie, si potesse parlare. Così cercò un surrogato nella regia fotografica: una delle sue istantanee più conosciuta è quella di un terribile bambino biondiccio che fa una orribile smorfia assassina stringendo in pugno una bomba a mano. Questa fotografia ha o almeno aveva un significato tremendo fino a quando fosse ritenuta una image alla sauvette come direbbe Bresson: cioè rubata a sorpresa dalla realtà vivente del piccolo idiota.

    Pino Bertelli sacrifica la povera Diane Arbus pubblicando altre sue dodici istantanee del fanciullo prese nello stesso punto e momento che documentano la sua normalità: è come tanti bambini, gioca, sorride, ha una famiglia qualunque. Perché dell’immagine schizofrenica è stata regista la Arbus e il bambino recita una smorfia feroce che lei gli ha fatto vedere come si fa e ho ragione di pensare che la bomba a mano appartenesse alla fotografa. Niente di male, beninteso: io per anni quando facevo il fotoreporter tenevo nella borsa una bambola rotta, spelacchiata, con solo una gambetta: fotografandola in primo piano davanti a qualsiasi cosa, una maceria, una automobile spinta in un fosso, una vecchia che nascondesse il suo volto dietro mani rugose …. Ebbene creava una situazione terribile che facilmente vendevo.

    Ma devo concludere consigliando vivissimamente questo ultimo lavoro dell’amico Pino Bertelli: sono straordinarie le immagini, straordinari i testi: specialmente se come introduzione avessero pubblicato questo che ho scritto: a mio parere è come una bambola rotta che, come dicevo, può dare un senso profondo anche a chi non ce l’ha.

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