06 novembre 2000

Fino al 3.XII.2000 Sepo (1895-1983) dalla scultura alla pubblicità Pieve di Cento (bo), Museo d’Arte delle Generazioni Italiane del Novecento

 
E’ con piacere che ci ritroviamo, a distanza di qualche tempo, a riparlare dell’attività del Museo delle Generazioni Italiane del ‘900 G. Bargellini, …

di

nato recentemente dalla volontà forte di un imprenditore di successo con una storica passione per l’arte e il collezionismo. Il piacere sta tutto in un certo qual senso di gratificazione personale occorso nel constatare che l’interesse e il favore di Exibart verso i primi passi di questa istituzione museale era ben riposto: ora infatti ci scopriamo a fare i conti con un programma denso di iniziative ma, soprattutto, con la prima grande mostra temporanea. Si tratta di una interessante esposizione dedicata alla figura di Sepo (al secolo Severo Pozzati 1895-1983), di cui vengono presentati i disegni, i dipinti, le sculture e i manifesti donati al Comune di Pieve dalla nipote dell’artista, la Signora Amelia Pozzati, che purtroppo è venuta a mancare proprio nel corso di quest’anno.
Sepo appartiene ad una gloriosa famiglia di artisti che da Comacchio si spostò a Bologna: ne fanno parte, oltre al nostro, Mario e il figlio di quest’ultimo, quel Concetto che ancor oggi è considerato fra i migliori artisti del panorama nazionale (oltre che brillante insegnante).

La mostra
Al primo piano del museo di Pieve il percorso espositivo è stato organizzato con estrema razionalità e chiarezza. Si inizia dai disegni e dalle sculture (bellissime) per proseguire con i dipinti e le grafiche espressioniste. SepoL’ultima sezione, la più ampia, è dedicata soprattutto ai manifesti di Sepo, posti quasi a significare l’esito supremo della ricerca e dello studio dell’artista. Fra questi ricordiamo i manifesti per Novoltex, per la Moutarde Vert-Prè, per Talmone, Buitoni, Lebole, Maggi ecc..
Riuscita anche la presentazione pubblica che ha aperto la mostra: la sala gremita si è stretta intorno al tavolo dei relatori: accanto alle autorità il patron Giulio Bargellini che ha indicato nel progetto di questa mostra un momento esemplare in cui si è realizzata una produttiva collaborazione tra Museo (iniziativa privata), Comune (iniziativa pubblica) e fondazioni bancarie (in questo caso la Cassa di Risparmio di Cento), modello ideale di un concerto d’intenti cui si vorrebbe mirare in ogni futura iniziativa del museo. Presente sul palco anche il Maestro Concetto Pozzati che, col solito piglio istrionico, ha intrattenuto il pubblico con ricordi inediti intorno alla figura di Sepo e si è reso molto disponibile a rispondere a domande e a segnalare curiosità durante la passeggiata che inaugurava la mostra. L’Assessore alla Cultura della Provincia di Bologna Marco Macciantelli è, dal canto suo, intervenuto intelligentemente e lucidamente per auspicare che si proceda ad una riscrittura della storia dell’arte all’insegna del riconoscimento ed approfondimento delle correnti e delle scuole locali. L’ultimo pensiero l’Assessore bolognese ha voluto dedicarlo, nell’ambito complessivo della questione da lui trattata, al grande lavoro dell’ex soprintendente Andrea Emiliani, che dai primi anni ’60 è impegnato nello studio delle espressioni artistiche emiliane e bolognesi per quanto concerne il periodo manierista (ricordiamo fondamentali mostre e contributi).

Il catalogo
SepoMerita alcune considerazioni anche il Catalogo che accompagna la mostra. Ben fatto, contiene interventi di grande rigore scientifico. Il critico Di Genova (direttore artistico del museo e della bella rivista Terz’Occhio) sottolinea l’importanza della formazione giovanile di Sepo nel campo della scultura: concisione formale, ritmo, sintesi e plasticità sono qualità tipiche ed originali dell’artista. In questo contesto appare corretta la chiamata in causa della forma Cézanniana quale punto di riferimento fondamentale nell’ispirazione di Pozzati, ma anche delle frequentazioni de Les Italiens de Paris, che appaiono riassunte nello storico episodio della mostra del ’28. Nell’ambito dell’analisi di singole opere appare suggestiva la lettura dell’invenzione, operata da Sepo, del noto logo dell’azienda Motta, ove la grande M maiuscola nacque quando la M minuscola corsiva rimandava al governo fascista in generale ed a Mussolini in particolare.
Lucio Scardino, proprietario della casa editrice Liberty House, nota agli appassionati per le belle pubblicazioni tecniche di carattere storico-artistico, nel suo contributo si giova di un lontano rapporto di parentela e di amicizia con la famiglia Pozzati ed illustra alcuni particolari inediti della vita artistica di Sepo.
Bellissimo l’articolo di Alessandro Guiduzzi e Vittorio Taruffi che sottolineano l’importanza della geometria nell’opera di Sepo, una geometria piegata a suscitare emozioni e sentimenti. Sepo diviene l’inventore di una nuova geometria sentimentale.
Nel contributo di Marco Scopini l’autore ripercorre le tappe della teoria che Raggianti sviluppò negli anni ’60: analizzando il fenomeno della corrente “Valori plastici” negli anni ’10 Ragghianti operò una decostruzione degli eventi storici dell’arte italiana riuscendo a riconoscere, negli sviluppi figurativi fino al secondo dopoguerra, linee di continuità rispetto ad concezione diffusa che aveva visto una sostanziale cesura in corrispondenza degli eventi bellici. Il pensiero di Ragghianti svelò infatti tutta la stratificata ricchezza e complessità dell’arte italiana, rivalutando anche artisti considerati minori. Il grande storico e critico, prolungando il neoprimitivismo e il plasticismo di matrice tre e quattrocentesca oltre la cesura della guerra, individuò un filo conduttore che lega l’esperienza di Valori Plastici a quelli di Novecento e oltre. Raggianti, in quest’ottica, indicò la mostra all’Hotel Baglioni quale momento chiave della nascita di una koinè linguistica che avrebbe caratterizzato tutto il dopoguerra. Questa innovativa teoria si scontrava, di fatto, con quella di Venturi che nella parentesi oscurantista della guerra aveva cercato i motivi per una rinascita figurativa dimentica delle esperienze maturate in quel periodo storico.
Del catalogo fa parte anche una intervista di Emilio Mattioli e Marco Pellizzola a Sepo negli anni ’70, a cura di Ludovico Verzellesi. Unica nota stonata del volume è il pezzo di Michela Scolare che, pur disponendo di buon materiale, non ha la capacità di organizzare un discorso fluido e chiaro. Il suo procedere è infatti assai tribolato e la costruzione del periodo incerta.

La vita
Trasferitosi a Bologna nel ’97 Severo studia all’Accademia sotto la guida di Barbieri e Dagnini. La sua formazione giovanile fu soprattutto fatta all’insegna della scultura e tale educazione, unita ad una non comune propensione alla sintesi plastica, ne caratterizzeranno fortemente l’opera grafica e pittorica. Nel ’14 partecipa ad una fondamentale mostra all’Hotel Baglioni di Bologna con Vespignani, Bacchelli ma soprattutto con i compagni Morandi e Licini, con i quali faceva trio fisso, al punto che erano scherzosamente definiti “i tre tortellini”. Ma in questo periodo, com’era buona consuetudine dell’epoca, la cerchia degli amici si allarga, in un scenario aperto al confronto ed al dibattito culturale: De Pisis, Raimondi, Campana, Govoni, Papini, Soffici, e altri formano una bella compagnia foriera di progetti e ricerche di ampio respiro.

Nel 1917 Sepo comincia la sua carriera di cartellonista per l’azienda Maya di Bologna. Nel corso della sua vita l’artista non amò molto essere etichettato per questa sua attività, ritenendola non proprio gratificante. Sbagliava il buon Severo che di quest’arte mobilissima fu invece un altissimo interprete; probabilmente nell’età attuale si sarebbe di un po’ ricreduto vedendo il grande favore che è tributato all’informazione pubblicitaria (vi è chi, non a torto, indica negli spot pubblicitari le forme più alte della cultura televisiva); ma il favore, all’epoca, glielo concessero comunque la Dorland” di Parigi (1920) e la “Publivox” di Ginevra (1924) che gli valsero la notorietà internazionale.

Dopo una breve parentesi come regista e scenografo, sulla quale il catalogo della mostra presente svela alcuni segreti, nel 1919 Sepo parte per Parigi dove un breve soggiorno si trasforma in una lunga permanenza: vi rimane infatti fino al 1957. Grazie all’attività di grafico pubblicitario, nel ’23 la fama di Sepo (pseudonimo nato proprio in quell’anno) comincia la sua escalation; unitamente si rinsaldano i rapporti con Les Italiens de Paris, la cerchia di grandi esponenti dell’arte italiana che si erano dati appuntamento all’ombra della torre Eiffel, all’epoca una sorta di Eden dell’arte internazionale: con Campigli, De Pisis, Savino, De Chirico, Severini, Licini, Tozzi e Paresce, Sepo tiene numerose mostre che sollecitano l’interesse sulla sua opera da parte di grandi personaggi della cultura mondiale, tra i quali Picasso, Derain, Braque, Severini, Carrà, Cocteau.

Al ritorno a Bologna, nel ’57, gli si fa incontro l’ispirazione che lo riconduce lungo le strade della pittura. Un momento fondamentale della critica su Severo lo segna nel ’69 Ragghianti con “Bologna cruciale 1914”, contributo ad una monografia dedicata all’artista. Nel ’74 Bologna gli dedica una grande mostra antologica, avviando una serie di riconoscimenti che gli tributarono le città di Parma, Milano, Ferrara, Mantova, Firenze. Nel 1983 Sepo muore; nonostante la fama internazionale, è cosa assai strana che quella esile, alta ed elegante figura, eclettica e piena di sfaccettature, riesca ancor oggi a presentare rinnovati spunti di interesse: si ha la sensazione che vi sarà sempre un aspetto nuovo da riscoprire in Severo, artista che conobbe i futuristi e odiò Boldini, forse la sua attività cinematografica, forse quella di scrittore, se non quella di scultore. Già, perché l’anima plastica è caratteristica di tutta l’opera di Sepo, quell’anima che si sposò con una non comune abilità di sintesi e che, com’è facile intuire, alimentò l’ispirazione creativa nel campo della grafica pubblicitaria come una fonte inesauribile di intuizioni, di idee, di trovate.



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Alfredo Sigolo



“Sepo (Severo Pozzati) 1895-1983”. Pieve di Cento, Museo d’Arte delle Generazioni Italiane del Novecento, via Rusticana 1/A. Dal 15 ottobre 2000 al 3 dicembre 2000. Orari: 10.00-18.00 (chiuso il lunedì). Informazioni: tel. 051/6861545; fax 051/6860364; e-mail museo.bargellini@ova.it. Catalogo Siaca £ 30.000.



[exibart]

2 Commenti

  1. Mi sarebbe piaciuto ammirare le tavole di Severo Pozzati. Invece voi, col tipico difetto italiano (la prolissitá) riempite una pagina enorme di parole inutili, celebrando le autoritá, bella roba, i critici, i critici dei critici e un mucchio di ciance in corpo 4. Fatemi vedere Sepo e al massimo scrivete una biografia dell’artista invece di celebrare voi stessi, egregi signori. Guardate gli americani. Quelli non hanno la cultura italiana, né il colosseo né la torre di Pisa, né Leonardo né Raffaello, ma sono pratici, semplici e diretti e quando dicono che ti mostrano i loro cow boys, ti mostrano i loro cow boys e non l’eccellente organizzazione. Capito?

  2. Caro Fernando Cardoso,
    Gli americani sono passati dalla barbarie alla decadenza, senza conoscere la civilizzazione.
    Quando parlano dei cow boys vanno diretti ai cow boys, forse perchè attorno ai cow boys non c’è molto da dire.
    Non è lo stesso per Michelangelo e la Torre di Pisa, che tutti gi americani adorano senza comprenderli, proprio per il loro smaccato senso pratico.
    Spesso l’America, di cui il Brasile fa parte, confonde la superficie delle cose con le cose stesse.
    Mi tengo volentieri la prolissità italiana.
    Voi tenetevi i vostri manzi, i vostri cow boys e il vostro senso pratico.
    Un senso pratico che utilizza una ricerca concettuale e umanistica già esplorata dall’Europa e, in primis, dall’Italia.
    Molto comodo.
    Credi che Michelangelo sia nato dal buio cosmico e che, così, per noia a colazione, abbia dipinto la Cappella Sistina senza una “prolissa” ricerca estetica?
    Quanto alle ciance inutili… perchè invece di sciorinare idiozie non vai a visitare la mostra?
    Certo… col tuo senso pratico preferisci trovare un hamburger a forma di album che te ne illustri le opere.
    Ebbene, devo disilluderti su un punto: il difetto italiano sarà anche la prolissità.
    Ma i Cow boys li trovi in America, e Michelangelo e la Torre di Pisa stanno qui. In Italia.
    …. Capito?
    Ciao, Biz.

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