20 luglio 2006

arteatro Morfometrie e corpi sensibili

 
Stasi, coscienza della durata e isolamento, fughe prospettiche e ridefinizione volumetrica del gesto corporeo sono i segni distintivi del lavoro di una delle figure più interessanti della scena performativa nazionale. La parola a Sonia Brunelli…

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Il tuo lavoro vive di visioni di forme metriche, di processi di metamorfosi, di esperienze di mutamento, di scomposizioni della corporeità. Il cambiamento di un precedente stato fisico e, dello sguardo che tale modificazione è capace di innescare, sembra il punto di partenza della tua ricerca. Come si manifesta questo cambiamento?
È una condizione fisica costretta quella in cui cerco di immergermi nella rappresentazione teatrale. Lo stato che prendo in considerazione è sempre scelto, stabilito in precedenza. La creazione e la sperimentazione che conduco parte dallo studio di figure o forme isolate, sole e mute dentro uno spazio limitato da elementi, dalla luce e dal colore.

Esempi a partire da qualche tua rappresentazione?
Nell’azione Encefalo (2004) ho scelto di rappresentare una figura in posa egizia. La scelta di vivere radicalmente una forma statuaria, immobile e seduta con le mani sulle ginocchia ha innescato da subito la possibilità della forma come magnete. Il volto era esposto frontalmente al pubblico per 15 minuti. La figura, con lo scorrere del tempo, diventa una calamita, un punto di fuga a cui convergono le traiettorie degli occhi degli spettatori. La rete di sguardi e l’immobilità si sostengono ri-lanciandosi il peso del tempo. In Umo (2005), invece, ho scelto di rappresentare una figura posta sotto la linea dell’orizzonte ottico. In questo caso, lo sguardo dello spettatore si china verso il terreno perdendosi nel colore nero del suolo e sfocando il senso del suo orientamento, visivo e spaziale. In queste azioni teatrali c’è un cambiamento lento e analogico del movimento, la forma si svasa su se stessa dall’incontro di forze o dal rapporto con gli elementi.
Sonia Brunelli, Doma
L’azione Animalia delineare può definirsi una fare intermedia?
Questo lavoro è stato rappresentato una sola volta e credo rimanga unico nella sua ripetizione. L’azione unisce due lavori, Umo del 2005 e Doma del 2006. Ho pensato, solo in l’occasione del festival Danae di Milano, di rappresentare lo studio delle due figure senza soluzione di continuità. In Animalia delineare il pensiero gira attorno a un asse dove la figura precedente fa posto all’antecedente e viceversa. È la necessità di misurarsi con forme in continua trasformazione. Per me questo esperimento è riuscito bene, le figure si sono legate e slegate attraverso i loro tratti animali.

Il tuo ultimo lavoro, Doma, ha avuto una gestazione complessa. L’orizzonte ottico raso terra e umido di Umo recupera una verticale e una vertigine per via di figure in jumping motion…
La figura Doma passa da entrambe le dimensioni, dalla celeste e alla terrestre. Il movimento oscilla tra lo stare al suolo e lo stare per aria attraverso delle piccole fasi di volo. Il rimbalzo e la caduta del corpo sono contemplate in questo tipo di movimento, in particolare penso alla flessione e alla tensione degli arti come nella dinamica della molla.

Dichiari che in Umo le forme dell’azione teatrale emergono dal silenzio e si sviluppano all’interno di uno spazio chiuso fra il pavimento e la posizione variabile di uno sguardo che si fa tattile…
Il discorso apre a una dialettica di scambio tra la figura e lo sfondo. La stretta vicinanza con il pavimento in Umo ha generato un nuovo modo di agire. L’andamento si è sviluppato in modo orizzontale come una scrittura su un foglio di carta. I segni e le linee prendevano potenza dal loro stagliarsi sul fondo oppure il luogo prendeva la sua potenza dallo sprofondare della figura. Nell’azione ho cercato di seguire degli assi, delle linee trovate sul pavimento. La condizione aptico-percettiva si sviluppa per geometrie viste ed evidenziate. Il gesto recupera e traccia il percorso dell’occhio. Lo spettatore è in un luogo meno pericoloso del mio. Entrambi sono luoghi di concentrazione e di tensione.
Sonia Brunelli, Doma
Concludiamo con i nuovi progetti.
Ho appena concluso la creazione nuova. In scena sono l’unica interprete. Sento di poter rappresentare anche questa nuova figura ma non escudo altri interpreti. Il teatro che penso è formato da una forte collaborazione tecnica ma questo ha bisogno di energie, denaro e motivazioni. Ora sono all’inizio della sperimentazione e molto fragile. Ingrandire il pensiero a più mani sarebbe faticoso ma può darsi anche di no. La solitudine è la condizione che preferisco quando devo concentrarmi e misurarmi con l’elasticità del corpo. Conduco un allenamento individuale di verifica della forza fisica: è il motore del mio fare teatro a cui non potrei rinunciare.

piersandra di matteo

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 31. Te l’eri perso? Abbonati!

bio Sonia Brunelli (1976), studia arte e il radicale problema della rappresentazione e della comunicazione artistica. Si diploma in scenografia del teatro all’Accademia di Belle Arti di Bologna e dal 2000 segue la produzione di alcuni spettacoli teatrali. In parallelo allo studio tecnico dello spazio dal 2002 è Coroginnasta della Stoa, Scuola di Danza e filosofia, fondata dalla Societas Raffaello Sanzio di Cesena e dal 2004 è autrice di azioni teatrali, realizza la performance ‘Encefalo. Azione Riproducibile’, e l’anno successivo con ‘Umo’ è 2a vincitrice del Premio Internazionale della Performance 2005, Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento. Realizza con il gruppo Orthographe lo spettacolo per camera ottica ospite della 37 Biennale Teatro di Venezia e attualmente prepara una nuova produzione in collaborazione con Cango Cantieri Goldonetta Firenze, Drodesera>Centrale >Fies (TN) e Xing.

[exibart]

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