15 settembre 2006

exibinterviste – la giovane arte Roberto Ago

 
L’arte come dispositivo semantico d’après Duchamp. Quattro chiacchiere con Roberto Ago: la scelta di lasciare Roma per Milano, la lezione di Fabro e Garutti e un’analisi disincantata del panorama italiano della giovane arte…

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Da dove arriva Roberto Ago?
Credo siano stati determinanti i miei nonni paterni. Lui era collezionista, così sono cresciuto in mezzo ai Fontana, Burri, Twombly, Moore, mentre con mia nonna e mia madre andavamo spesso alle mostre. Ma è solo dopo un lunghissimo periodo di latenza, congiuntamente allo sbocciare della calvizie, che ho riscoperto l’arte, a 22 anni.

La tua formazione vera e propria?
A Milano ho studiato con Fabro e Garutti, due personalità straordinarie e per molti versi opposte. Ho cercato di prendere il più possibile da entrambi.

La scelta di Milano, quindi, la difendi?
Credo che il luogo in cui si vive inevitabilmente influisca sul proprio lavoro. In meglio o in peggio. Se si è in cerca di stimoli di qualità e di un confronto costruttivo, è meglio andarseli a cercare dove esiste una realtà artistica riconosciuta e dinamica, piuttosto che fermarsi dove capita. In Italia Milano (che per il resto non è il massimo) è uno di questi luoghi, e probabilmente il migliore; tanta arte prodotta qui è anche il frutto del lavoro di molti artisti provenienti da ogni parte della Penisola. Quanto detto vale, in modo esponenziale, in relazione al fatto di trasferirsi all’estero, o anche solo di soggiornarvi. Per cui farò un salto, appena potrò, nella succulenta Grande Mela.

Hai a disposizione tre righe per presentare il tuo lavoro…
Facciamo sei? In genere lavoro utilizzando quegli oggetti, immagini e iconografie preesistenti che siano riconducibili in modo pertinente ad altri oggetti, immagini, e iconografie preesistenti. Ovvero formalizzo delle metafore, anche solo con un titolo o attraverso le modalità di presentazione di un oggetto, che cerco di alterare il meno possibile. Questa sorta di dispositivi semantici, una volta affidati all’interpretazione dello spettatore, lasciano emergere gli aspetti più immaginali, inopinati e profondi circa i contesti dai quali i vari oggetti sono stati prelevati o a cui fanno riferimento.
Roberto Ago, Vacuum II, polvere, dimensioni variabili, installazione site specific in Viafarini, 2004
E un autoritratto te la senti di tratteggiarlo?
Credo di possedere capacità di distacco, senso critico e un’attitudine all’analisi, che a volte mi rendono pedante con me stesso. E rompipalle con gli altri. Nella vita sono un po’ incapace di smettere di fare l’artista, che forse è un pregio. Ma è sicuramente un difetto, soprattutto per chi con l’arte non ha nulla a che vedere (esiste anche gente così). Credo che chi si occupi d’arte sappia bene, e a malincuore, cosa intendo.

Influenze e persone davvero importanti attualmente per il tuo lavoro?
Sarò banale, ma Duchamp su tutti.

Dove si danno appuntamento politica e arte?
Nel più intimo dei luoghi domestici, dove amo consultare le riviste d’arte. In quel di Roma, leggevo spesso di come a Milano fosse ancora attivo un Tempio dedicato all’Arte e all’istruzione dei suoi giovani iniziati; mentre nell’Urbe, ahimé, solo rovine. Sposai quella lungimirante “politica”, e così a 25 anni mi sono trasferito a Milano, iscrivendomi all’Accademia di Brera. La cosa divertente è che qui ho messo su famiglia, lavoro con qualche risultato e continuo a consultare riviste nel più intimo dei luoghi domestici. Solo che ora (ma anche allora) la Dea dell’Arte passeggia altrove, ovvero in Central Park…

Chi vuoi ringraziare?
Mia moglie, mia figlia e Duchamp (che non è il gatto).

E tra i galleristi?
Devo molto a Lino Baldini, buon Mefistofele dell’arte nostrana, con il quale sono “venuto alla luce”. In questo momento sto collaborando con Davide Stroppa di Pianissimo e altri artisti che stimo, al lancio della galleria. È una situazione rara e molto stimolante perché essendo tutti, più o meno, agli inizi, siamo pieni di entusiasmo.

Sei soddisfatto di come il tuo lavoro viene letto?
Spesso sono soddisfatto, a volte meno. I miei lavori essenzialmente sono interpretazioni, da fare e da disfare, richiedono un piccolo sforzo ermeneutico per essere davvero apprezzati, poiché formalmente non sono certo esuberanti (almeno per ora). Comunque non mi lamento, mi sembra che, generalmente, vengano accolti con vivo interesse. Forse per le vere cantonate e i resoconti puntuali dovrò aspettare un po’, perché a parte qualche giovane critico, non ho ancora avuto molti rapporti né con la critica, né con la stampa.
Roberto Ago, Cattedrali (verso Bisantio), meccanismi d’aggancio di sacchetti per aspirapolvere, 220x15x20 cm, 2004
Hai uno studio?
No, all’occorrenza “mi appoggio” da qualcuno. Ma in genere non ne ho bisogno, perché il mio modus operandi non lo richiede. Lavoro con le idee, e queste o si concretizzano in oggetti e immagini che mi limito a prelevare dalla realtà quotidiana, o vengono formalizzate da artigiani di vario tipo a cui commissiono tutto il lavoro manuale. I soldi che ho risparmiato sullo studio amo spenderli così.

La tua mostra migliore?
Phoenomena, l’ultima, da Vitamin a Torino (a cura di Luigi Fassi). Perché si è articolata intorno ad un tema inconsueto ma molto attuale, perché illustra bene il mio modo di lavorare e perché… voglio farmi pubblicità!

All’estero conoscono Beecroft, Cattelan, Vezzoli. E gli altri, quando?
Temo che il fantasmatico quarto podio non solo è vacante, ma resterà tale per un bel pezzo, visto che all’estero un italiano deve avere le doti di una star oppure è l’oblio. Vorrei dire in proposito –invece di stilare una lista di nomi che avrebbe le stesse chance di una schedina– che qualche artista noto, dell’attuale panorama italiano, ha già raggiunto, sta raggiungendo o raggiungerà senz’altro un’attenzione internazionale, ma in tempi più dilatati e soprattutto senza i clamori che hanno accompagnato l’ascesa dei fantastici tre. Ma il vero problema –this is the question!– è quello di rimanerci, lassù.

Puoi dirlo chiaramente: in molti sono sopravvalutati?
In molti –forse tutti?– sono sopravvalutati, ma si tende a rimuovere il fatto che l’Italia non ha storicamente mai prodotto, per ogni decennio, che un esiguo numero di artisti veramente validi, di cui meno della metà in grado di calcare la scena internazionale.

exibinterviste – la giovane arte è un progetto a cura di pericle guaglianone

bio: Roberto Ago è nato a Roma nel ’72, vive e lavora a Milano. Mostre personali: Phoenomena, Vitamin, Torino (2006); Flowers, Pianissimo, Milano (2005); Una mostra marrone, Placentia Arte, Piacenza (2004). Tra le collettive: Corto circuito: coincidenze ed incontri segnici, ex Palazzo dell’Enel, Novara (2006); So Far, Sevenseven Art Gallery, Londra (2005); No Parachute, Art & Gallery, Milano; Tracce di un Seminario, Viafarini, Milano (2004) Mostra di fine corso della Fondazione Ratti, Chiesa di S. Francesco, Como (2003); Trading Spirit, TENT Centrum Beeldende Kunst, Rotterdam (2001).

[exibart]


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