14 marzo 2007

BAUDRILLARD, O L’ILLUSIONE DELLA FINE

 
Il 6 marzo scorso si è spento a Parigi Jean Baudrillard, uno dei filosofi più influenti e discussi del nostro tempo. Continuamente citato e tirato in ballo da artisti, letterati e persino registi -si pensi alla trilogia di Matrix-, ma in fondo sempre troppo poco compreso. Una riflessione sull’eredità che ci lascia…

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Pare che Jean Baudrillard (Reims, 1929 – Parigi, 2007) abbia voluto compiere un ultimo spettacolare gesto mediatico, autorizzando Wikipedia, la nota enciclopedia in rete, a comunicare la notizia della sua morte con largo anticipo sui mezzi di comunicazione tradizionali. Una conclusione piuttosto degna, per un intellettuale spesso accusato di oscurità, incomprensibilità e, peggio, di vacuità. Del resto, egli stesso ammetteva in parte un problema di ricezione riguardo ai suoi testi, dichiarando: “ciò che sto scrivendo avrà sempre meno probabilità di essere compreso”.
Quello che i suoi detrattori gli hanno imputato, soprattutto nel corso dell’ultimo quindicennio, è l’atteggiamento sostanzialmente acritico nei confronti dei grandi fenomeni contemporanei: lo spettacolo, il simulacro, l’iperrealtà. Grandi trasformazioni e temi pesanti, che Baudrillard ha affrontato con gli strumenti del diario e dell’episodicità. Abdicando categoricamente e costantemente al metodo e alla sistematicità. Tanto che, per esempio, Il sistema degli oggetti (1968), nato come tesi di dottorato in Sociologia, fu giudicato “eccentrico rispetto ai canoni della disciplina e insufficiente ad aprirgli la carriera universitaria” (Franco Volpi).
Ma è davvero tutta colpa della leggerezza e della superficialità di un intellettuale iper-francese? O non è piuttosto l’argomento stesso della sua analisi ‘non analitica’ a richiedere, in definitiva, un approccio di questo tipo? I temi che Baudrillard si è scelto caparbiamente, fin dall’inizio, appaiono generalmente impermeabili, infatti, all’indagine delle discipline tradizionalmente intese, si tratti di sociolUn ogia o di storia dell’arte.
A partire da Lo scambio simbolico e la morte (1976), seguito dall’importante Simulacri e simulazioni (1981), la sua attenzione si concentra sui concetti di simulazione e di riproduzione infinita, immaginando la realtà attuale come una gigantesca copia che ha sostituito definitivamente l’originale. Il discorso sull’arte -idealmente chiuso, negli anni Novanta, da Illusione, disillusione estetiche e Il complotto dell’arte (1997)- è il naturale complemento a quello sulla società: “l’arte è ovunque poiché l’artificio è al centro della realtà. Così l’arte è morte, perché non soltanto la sua trascendenza critica è morta, ma perché la stessa realtà (…) s’è confusa con la propria immagine. Essa non ha più nemmeno il tempo di acquistare valore di realtà”.
Il dissolvimento inarrestabile della realtà, declinato in innumerevoli versioni, diventa così il tema di Baudrillard, investendo ogni evento del mondo contemporaneo, dalla prima Guerra del Golfo (La Guerra del Golfo non c’è mai stata, pubblicato nel 1991 sulle pagine del Guardian e di Libération) all’11 Settembre (Requiem per le Twin Towers, Lo spirito del terrorismo, 2002). Non è un segreto che i fratelli Wachowski abbiano più volte dichiarato come la trilogia di Matrix abbia tra i suoi ispiratori proprio il filosofo. Il quale, da parte sua, ha sempre preso le distanze da questa eredità, sostenendo che si basi su un colossale fraintendimento: “È il film sulla Matrice che la Matrice stessa avrebbe potuto realizzare”.
Ma il risultato più interessante e coerente appare la contestazione, su queste basi, del concetto di ‘fine della storia’ introdotto da una folta schiera di studiosi tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta sulla scorta della riflessione di Francis Fukuyama (Siamo forse alla fine della storia?, 1989 e La fine della storia e l’ultimo uomo, 1992). La nozione stessa di ‘fine’ è parte integrante del Grande Racconto della Storia, e come tale va rigettata: questa è la tesi de L’illusione della fine (1992). Al posto della teleologia e della linearità moderniste, Baudrillard immagina un movimento a ritroso, un processo di cancellazione sistematica della memoria, simile all’amnesia storica di cui parla, parallelamente, Fredric Jameson.
Un fotogramma tratto da Matrix
Il tutto, calato nel luccicante e fantasmatico spettacolo postmoderno o, come il maître-à-penser preferiva definirlo, post-storico. Il debito nei confronti di Guy Debord -peraltro mai realmente riconosciuto- è enorme. A separarli, fondamentalmente, l’intero atteggiamento nei confronti del mondo e della sua trasformazione epocale: attivamente critico e interpretativo in un caso, estaticamente descrittivo e deresponsabilizzato nell’altro.

christian caliandro

[exibart]


1 commento

  1. Baudrillard è stato il mio filosofo di riferimento, insieme a Mario Perniola, negli ultimi anni. Di lui ho letto quasi tutto e posso dirmi suo allievo a distanza. Se leggerete la mia intervista su videolab scoprirete che molti sono gli argomenti che ho maturato dalle letture di Baudrillard. Con lui se ne va un altro grande del pensiero contemporaneo, che dico? Un grande del pensiero. Non voglio ricordarlo, come feci anni fa per un altro mio maestro Gianni Carchia, voglio solamente invitare i lettori di EXIBART a leggere i suoi libri e ad usarli come strumento per leggere il mondo. Il mio rammarico è di non averlo mai incontrato personalmente, sicuramente gli avrei dichiarato la mia stima.
    Dedicherò il mio prossimo libro “Iperluogo, ed altri luoghi” alla sua memoria.
    Marcello Carriero

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