14 marzo 2007

exibart_studi L’abito (non) fa il museo

 
Nato per essere indossato e vissuto, l’abito rischia di perdere parte del suo fascino dietro le vetrine di un museo. Eppure la sua delicatezza impone severi accorgimenti espositivi e conservativi. Gli standard internazionali propongono…

di

abstract
L’affermazione ironico-provocatoria con cui si è deciso di intitolare questo studio vuol essere in qualche modo un invito a (ri)considerare in termini muselogici l’abito, prezioso manufatto artistico protagonista della storia del quotidiano, che soltanto recentemente ha acquisito la propria dignità espositiva.
L’indagine si articola attraverso l’analisi di fonti documentarie e di considerazioni critiche, mediante le quali sono studiate alcune delle principali tappe del complesso ed articolato percorso che lo hanno reso moderno protagonista dello spazio museale.
Dagli importanti cenni storici riguardanti i primi interessi collezionistici per i manufatti tessili tridimensionali attestabili alla seconda metà dell’Ottocento- contestualmente al gusto per i revival storici ed in stretta correlazione al fenomeno di rivalutazione delle Arti Minori-, si arriva ad analizzare gli aspetti sostanziali delle recenti linee guida per la conservazione e la fruizione dei capi di abbigliamento alla moda (Guidelines for Costumes, ICOM 1998), evidenziando in un secondo momento quali siano stati i più importanti risvolti di queste ‘buone prassi’ in area anglosassone.
L’esempio illustre del V&A – il cui spiccato fine educativo fu il modello eccellente per molti dei musei di Arti Applicate internazionali- e delle sue collezioni di moda dei primi quaranta anni del XX secolo, è lo spunto per la trattazione di alcune considerazioni riguardo ai moderni criteri di gestione del capo di abbigliamento nell’ambito dell’istituto museale (criteri di conservazione preventiva, uso di vetrine, climatizzazione, allestimento su manichino, elaborazione di molteplici chiavi di lettura dell’ordinamento espositivo). Coerentemente alle più recenti definizioni di museo ed in relazione alla esigenze di fruizione allargata dei nuovi pubblici di riferimento, si cerca così di delineare la sfida museologica di cui oggi l’abito sembra essere prezioso ‘soggetto’. Quest’ultima va incontro a sempre nuove elaborazioni che, in bilico tra teoria e pratica, tra reale e virtuale, dovranno trasmettere alle generazioni future un importante testimone del tempo, considerando le necessità specifiche del degrado materico ma anche cercando di rileggere i messaggi di cui è portatore, nella speranza che tutto ciò possa restituirci anche soltanto un briciolo delle emozioni che un tempo lo hanno fatto vibrare.

Autore: Giovanna Tennirelli
Revisione: Caterina Chiarelli, Carlo Sisi

* photo credits: V&A – www.vam.ac.uk


Scarica il pdf del saggio “L’abito (non) fa il museo”, di Giovanna Tennirelli

articoli correlati
Leggi la presentazione della rubrica Exibart.studi
Il primo saggio di Exibart.studi: Sul teatro come pura immagine, di Tiziana Landra


[exibart]

1 commento

  1. Modello
    L’abito è anche modello di comportamento, desiderio di porsi in relazione o anche invece volontà di fuggire al contatto e difendersi nell’isolamento. L’abito che scegliamo rivela ciò che vogliamo o non vogliamo essere ; é un’occasione in per dichiarare ciò che siamo o desideriamo essere.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui