13 aprile 2007

fiere_resoconti Rifondare MiArt

 
Con i se e con i ma la storia non si fa. Tuttavia possono servire almeno per programmare il futuro. A livello generale e superficiale la dodicesima di MiArt non ha certo lasciato il segno. Al massimo qualche segnale confortante…

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In un anno non esaltante per le fiere di casa era ghiotta l’opportunità di ridurre il gap sulle dirette concorrenti. Nata sotto una cattiva stella, la kermesse milanese si è trascinata negli anni una pesante zavorra: assenza di un progetto solido, incapacità di aggregare le personalità degli operatori locali, carenze organizzative e scarso appeal, cronica mancanza di sinergie tra pubblico e privato. Il risultato è stato un’inutile rincorsa, fatta di tante promesse e scarsi risultati. Il peggior difetto di MiArt è stato forse quello di insistere lungo una strada sbagliata, sperando che qualcosa cambiasse da solo.
Sotto questo profilo almeno, l’edizione 2007 guadagna dei punti. Per la prima volta sembra si sia presa coscienza dei propri limiti, del fatto che attualmente la città meneghina non può fregiarsi di una vera fiera internazionale, né potrà farlo nel breve periodo. Meglio dunque ricominciare da capo e porre le basi per una rifondazione radicale. Partendo da casa nostra.
Ecco perché il forfait compatto del cartello delle gallerie cittadine, che al vernissage milanese hanno preferito quello romano del Maxxi, pur restando un serio problema, almeno stavolta non è stato percepito come un dramma. Nel settore Anteprima in particolare, una buona selezione sull’asse Milano-Roma ha permesso così di ospitare molte gallerie italiane di recente o recentissima istituzione, alcune poco note. E la sorpresa è stata scoprire che nel sottobosco si annida qualcosa di buono, che merita attenzione.
Così tra la dipartita del consulente artistico Pasquale Leccese e un comitato traballante, l’evento si è consumato senza eccessive polemiche e anzi, intorno ad esso, si è respirata una sottile aria di benevolenza. Quella che si concede di solito agli intraprendenti alle prime armi, augurandogli di compattarsi nel segno di un taglio netto con il passato.
Prima di passare al tradizionale giro delle gallerie un ringraziamento d’obbligo va all’Assessore Sgarbi che, con il suo Martin Eder, Stress, olio su tela, 2004, cm. 60x50 (Mudima) shopping, ha tolto un bel po’ di zavorra alla fiera, aumentandone la qualità complessiva. Un vero toccasana.

IL GIRO DELLE GALLERIE

Anteprima
L’età media delle 21 gallerie in campo è 3,4 anni. AMT di Como, del giovanissimo Alberto Torri si presenta con una bella personale dal californiano d’origine filippina Robert Gutierrez, mai così ispirato. Il suo limbo onirico e surreale, tra figurazione e astrazione, si nutre di un’alchimia gotica dai toni danteschi.
Da Artopia (Mi) intreccia l’erba la mai allineata Maja Bajevic, vicino alle classiche tavolette di Adrian Paci. E condivide con Alessandro De March (Mi) il lavoro autobiografico di Moira Ricci (1977). Il suo album di famiglia passato al fotoritocco è particolarmente convincente quando il collasso temporale si palesa, o ancor più quando la memoria mescola realtà e leggenda infantile: l’auspicio è che i suoi galleristi l’aiutino a scansare certa retorica femminista obsoleta che a tratti sembra far capolino. Da De March anche Ettore Favini, scuola di Garutti. La ricerca non è priva di interesse, se solo non fosse castrata dalla Regola di Brera. Cambiare aria gli potrebbe giovare.
Analogo rischio della succitata Ricci corre il giovane americano Eli Stertz (1980) di Citric (Bs). Le frequentazioni milanesi talora lo spingono ad indulgere in un tipico concettualino aspro e debole. La sua piezografia Tower5 (2006) ricorda Simone Berti e Michael Fliri. Ma è un talento che può maturare.
Edicola Notte (Roma) porta in trasferta la nuova e discussa installazione di Bruna Esposito, la torinese Glance i suoi assi americani, Kent Henricksen in testa. Interessanti i lavori su carta di Min Kim, quasi la versione manga del nostro Mastrovito, ma con il Greater New York 2005 in tasca che, purtroppo per il nostro, fa una bella differenza.
Oh My Dog!! è il recente di Marco Belfiore (1980) giovane ligure attento a cogliere gli aspetti tragicomici della vita quotidiana ed esposto da Le Case d’Arte ma, a proposito di giovanissimi, l’altra milanese Federico Luger fa di meglio con un poco più che ventenne Mattia Barbieri. I suoi piccoli bad painting su tavola, tra autobiografismo romantico e citazionismo, sono attraenti anche se acerbi. Il resto dello stand lo fanno le nuove foto di Igor Eskinja, sempre ispirato, e le carte calligrafiche di Annelise Coste, alla vigilia del passaggio alla Tate.
Monitor (Roma) presenta nuove foto in bianco e nero di Nico Vascellari, made in Cuckoo, e gli esiti del programma di residence per artisti, con l’inglese bricoleur di belle speranze Graham Hudson.
Lo stand di Colombo con un’opera di Pierluigi Calignano in primo piano
I lavori di Federico Solmi e le piccole ceramiche di Atrium Project propone la partenopea Not Gallery, tutto Masbedo invece per la milanese Pack, che ospita nel proprio spazio di Foro Bonaparte un progetto curatoriale di Gianluca Marziani che coinvolge quattro gallerie provenienti dal paese ospite a MiArt quest’anno: l’Olanda. Ci sono anche il solo show di Inaki Bonillas per la spagnola Projectesd e il collage su muro di Lisi Raskin (già PS1) per il nuovissimo spazio meneghino di Riccardo Crespi.
Da Unorossodue (Mi) il greco Thanos Zakopoulos (1978) progetta armi montando in modo non ortodosso i kit Ikea. Un lavoro tra business e antimilitarismo per la verità non troppo originale (si pensi ad Jan Kotìk). Meglio il Pinocchio che si spiaccica tentando di sfondare il televisore di Luca Bolognesi.
La romana V.M. 21 sta sulle sue ricalcando più o meno lo stand di Artissima, con la coppia Bianco-Valente e Jules Spinatsch in evidenza.
Dal punto di vista logistico, gli ampi spazi hanno reso la passeggiata godibile, niente a che fare con l’ansiosa indole milanese. E anche gli stand, aperti, articolati, dalle pareti non ortogonali, seppur complessi, invitano gli operatori ad uno sforzo creativo.
Buona l’idea delle Exhibitons, che però non paiono all’altezza. Sulla carta promettevano bene i progetti di Maria Rosa Sossai e la collettiva di Milovan Farronato, Francesca Pasini e Michele Robecchi. Ma la Video lounge non risolve il problema della fruizione di questo medium alle fiere, mentre il gruppo In attesa di Giudizio somiglia a una minestra riscaldata, con l’unico acuto di Paolo Gonzato. Anche Arcipelago Olanda è un’incompiuta: la selezione è buona, ci sono nomi di spicco come Jeroen Koijmans o Job Koelewijn ma l’allestimento è dispersivo e invasivo, e le opere, non sempre all’altezza, James Brown, Head Winter, tecnica mista, 1984 (Studio Raffaelli) ne soffrono. Quanto alla premiata sforneria Beatrice-Riva-Sciaccaluga, il loro Indicativo presente ai più è parso un Passato remoto.

Padiglione 4
Dopo il settore anteprima, quello del Moderno e Contemporaneo suona come “il resto del mondo”: una diversificazione ulteriore sarebbe stata opportuna, se non altro per scandire il monumentale padiglione. Non sono certo gli spazi che hanno fatto difetto a questa fiera, che si è giovata anche delle molte aree di sosta ma, come dire, oltre le gambe c’è di più… e l’occhio e la mente vogliono la loro parte.
Si parte con lo Studio Raffaelli (Tn) che, con buona intuizione, in pieno revival graffitista, mette sul piatto il fratello sottovalutato di Basquiat ed Haring. Di James Brown tanti ottimi disegni e la tecnica mista Head-Winter dell 1984.
Di lì in poi inizia il feudo dagli occhi a mandorla. Zonca e Zonca (Mi) infila una serie di lavori di Tomoko Konoike, Makoto Aida, Murakami, Araki e Kusama, Marella (Mi) presenta tre lavori di Jiang Zhi, e gioca a sponda con Tang (Beijing), che gli anticipa la prossima mostra di Cui Xiuwen con la serie Angel. La corazzata toscana Continua occupa quattro stand con altrettanti solo show. Gli spunti d’interesse abbondano: c’è la serie One of the most stupid attacks against scienze fiction is that it is unable to forcast… di Lu Chiunsheng, quindi tocca a Yan Lei, cui seguono tre video di Kan Xuan, tra le più interessanti videoartiste emergenti. Chiude Gu Dexin, con le foto dell’installazione che ha trasformato la galleria in bananiera, nella triplice versione cromatica: giallo maturo, molto maturo, marcio.
Da Unosunove (Roma) si vede una leziosa anamorfosi di Matt Collishaw, in contrasto rispetto all’indole archiviale di Jamie Shovlin, che i passaggi alla Tate e da Saatchi hanno reso un interessante investimento.
Il Ponte (Roma) allestisce un lavoro storico di Calzolari, Metis (NL) riesce in uno stand compatto con Heerschop e Schaap. BnD (Mi) cavalca il trend di LaChapelle e mostra l’evoluzione di Erwin Olaf, dal quale ci si aspettava forse una maggiore carica concettuale.
Roberta Lietti (Co) non si perde il traino di Sugimoto di Villa Manin (in mostra, fuori fiera, allo Studio Guenzani), Fabbrica Eos (Mi) lascia ampio spazio alle curiose composizioni di David Reimondo: la tecnica è toast bruciato.
Prima fiera per la nuova veneziana Jarach. L’ambito esclusivo è la fotografia, la mission ambiziosa: unire classici mid career con giovani emergenti. Qui un primo assaggio con Primoz Bizjak, Tina Rheims, Marina Ballo, Lewis Baltz, Roberto Orio e Robert Polidori, la cui personale intercetterà la Biennale.
Un collage di Min Kim, prossima personale da Glance
Ben Brown (UK) è uno dei rarissimi big stranieri e si vede: tre ritratti di Thomas Ruff, tre lavori parigini di Candida Höfer e dei Rotella veri degli anni ’50-primi ’60. Per la serie a volte ritornano, Sabrina Raffaghello (AL) rilancia Luisa Raffaelli, Milton Manetas e Barbara La Ragione, la casertana Studio Legale ha un ottimo disegno su lucido di Dacia Manto, lavori di Paolo Gonzato e Roxy in The Box. Non pervenuta la finlandese Strindberg, che marina la fiera; lo stand vuoto si poteva concedere tutto all’intenso ritratto di Martin Eder presentato da Davide di Maggio (Berlino): un’opera struggente, tra le cose più belle della fiera.
Spazio Mazzotta (Mi) si gioca l’accoppiata del compianto Scarpitta (recente la mostra in galleria) e Simone Pellegrini (’72), le cui tecniche miste sono mappe dal sapore arcano che richiamano alla memoria le pitture parietali preistoriche. Nasce dalla collaborazione con il Goethe Institute il progetto di Dieci-Due! (Mi), che presenta una collettiva a 3 di artisti tedeschi e tocca al cubano Django Hernàndez la ribalta della trentina Paolo Maria Deanesi: noto per i suoi poetici acrilici si dimostra a suo agio anche nel video.
Amedeo Porro (Mi) si coccola la raffinata fotografia di Tim Lehmacher, riprese di spalle di celebri sculture canoviane, SALES (Roma) affianca Avery e Richard Woods ai classici mid career italiani Toderi, Arienti e Marisaldi, mentre il colosso tedesco Sprüth Magers sfodera big del calibro di Holzer, Sherman, Kruger e Fischli & Weiss, reduci dalla retrospettiva alla Tate e spinti da sovresposizione mediatica. Tocca a Cardi (Mi) raccogliere la sfida: stand di nomi storici, soprattutto italiani, e spicca il motore frigorifero di Calzolari.
Tra i big, Lia Rumma (Mi-Na) finalmente vivacizza lo stand con un nuovo arazzo (ed. 5) di Kentridge della Porter series, un lavoro recente della Abramovic (Carryng Elvira facing up, ed. 7 + 3 p.a.) ed una foto di Tessa Manon Den Uyl.
Consueta bipartizione dello stand per Gianferrari (Mi); la sezione storica è stavolta per Sironi, di cui spicca un grande cartone realizzato tra il 1938 – ’39 per la vetrata dell’Annunciazione nella chiesa del nuovo ospedale Maggiore di Niguarda di Milano.
Nomi celebri anche da Peola (To) ma in formato mini: Crewdson, Höfer ed Eliasson. Da Colombo (Mi) sono ispirate le nuove strutture lisergiche di Pierluigi Calignano, che tiene alla distanza e meriterebbe una chance importante. Su una mensolina anche le bizzarre e misteriose sculturine di Presicce, che per la sintesi si fanno preferire ai tipici acrilici.
Fotografia Italiana (Mi) sceglie Silvio Wolf: le sue Icone di luce degli anni ’90, riflessi luminosi su quadri storici, sono un ulteriore credito da riscuotere per la ricerca fotografica italiana: vedere la serie Shadows di Jorma Puranen della Helsinky School per informazione.
Sfacciato Piercarlo Borgogno (Mi), per lo scenografico e imponente allestimento realizzato in collaborazione con W139, spazio espositivo e produttivo che promuove giovani artisti ad Amsterdam, tutta made in Japan Kitai, che vende bene gli inchiostri di Tsunashima Reiko non dimentichi della tradizione locale.
Passato In Arco (To), dove il giovane Manuele Cerutti strizza l’occhio a Mendoza e si rivedono le ultime uscite in galleria dei vortici pop di David Salle e di Daniele Galliano, c’è l’intraprendente Bonelli (Mn), che sembra intenzionato a voltar pagina. Prima la mostra di Impellizzeri in galleria (con tanto di sontuoso catalogo antologico), poi l’annunciata partecipazione a MACO Mexico e le voci della nascita di una testa di ponte in zona losangelena, quindi la rinuncia all’esclusività della pittura. I primi fotografi sono Serrano e Nicola Vinci.
Un lavoro di Robert Gutierrez da AMT
Delle due gallerie fiorentine, il Pizzi Cannella di Poggiali e Forconi è quello della mostra veronese sulla Malinconia mentre la promessa di Ugolini è il giovane Matteo Fato (Pescara, ’79): le sue grandi chine nere su carta attingono, tra l’altro, alla tradizione calligrafica cinese. Prometeo (Mi) associa i buoni lavori di Santiago Sierra all’ultima tortura della Galindo, che si incatena per quattro notti e quattro dì (ma non bastava uno)? Da ultima la veneziana Michela Rizzo porta una sintesi dei suoi e annuncia per la Biennale la personale del talentuoso scultore ex-minimal Barry X Ball, (già PS1, Luhring Augustine e Collezione Panza).

Padiglione 1
È il padiglione deputato all’arte del ‘900 storico. Da Bergamo (Bg) lavori di qualità di De Luigi, Santomaso e Capogrossi, da Colossi (Bs) una serie di tecniche miste di Pino Pascali dei primi anni ’50, da Contini (Ve) i grandi progetti di Plessi.
Si misurano gli estremi fuori contesto: da un lato la milanese Movimento, con Nara, Kusama, Mr., Zhao Bandi, Sugito, Shen Qi e Pei Ming, dall’altro Il Mappamondo (Mi), che mette insieme una mostra di Utrillo. Studio Lattuada (Mi) dà un assaggio della sua collezione futurista e ci mette il carico di un Silvestro Lega del ’19.
Tra le chicche ci sono le carte degli anni ’80 di Sam Francis da San Carlo, quelle di Afro e un Manzoni del ’56 per Poleschi (Mi-Lu), i Corpora degli anni ’40 e ’50 da Di Summa (Roma) mentre Blu (Mi) incuriosisce con la serie delle mini sculture di Lynn Chadwick. B&B (Mn) riscopre Rognoni, Cafiso (Mi) si prende il lusso di Carrà, Casorati e di un De Pisis dagli anni ’20 ai ’40. La Visita di Guidi del ’26 è tra le suggestive proposte di Tega (Mi), il grande disco di Vedova dell’’86 quella di Mazzoleni (To).
Da Farsetti (Bl), tra un De Chirico del ’60 e una Natura morta di De Pisis del periodo parigino, si fronteggiano due enigmatici ritratti femminili: la scelta tra quello di Boccioni de 1911 e quello di Balla del 1907 non è facile.
Tornabuoni (Fi-Ve) affianca ai vari Fontana un ritratto di Warhol del 1981, già esposto da Shafrazi nel 2005, Marescalchi (Bo) mette con i De Chirico e De Pisis da manuale di storia dell’arte una Donna pensosa di Mario Tozzi del 1926.
L’Archimede (Roma) vuole strafare: non è solo per l’Alfred Sisley del 1897 (The Wave, Lady’s Cove, Langhans Bay) o la Maternité di Picasso del 1901, né per il monocromo di Schifano del ’75 o il Franco Angeli del ’63, ma per le monumentali tele di Cucchi e De Maria, oltre 41 mq di pittura in due (cm. 295×635 la prima, 325×695 la seconda).

Tra le mostre a latere, dovuto omaggio del Comune di Milano a Mercedes Garberi, direttrice delle Civiche Raccolte d’arte della città e inventrice del PAC, recentemente scomparsa; di pretta rappresentanza il contributo della Fondazione Beyeler. Significativo l’intervento in catalogo di Christoph Vitali, Direttore artistico della fondazione, che definisce MiArt tra le più importanti fiere… d’Italia, prendendo atto che la kermesse meneghina, ad oggi, non può essere compresa in una ipotetica Top Ten financo europea.
Fuori fiera, in zona Bovisa, Who do you think you are?, a cura di Adriana Forconi, fa il punto con successo sulla ricerca e l’evoluzione artistica cinese nell’ultimo anno.

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alfredo sigolo

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4 Commenti

  1. le gallerie da me ospitate erano di Ginevra, Tokio, Barcellona e Berlino, come riportato nel comunicato stampa e sull’invito

  2. … articolo MOLTO discutibile…
    Innanzitutto credo bisogna evidenziare il fatto (ridicolo a mio pensiero) che parte delle gallerie citate si ostinano a presentare lavori (spesso di dubbia qualità) di artisti noti nel sistema dell’arte modaiolo contemporaneo per attrarre collezionisti al posto di presentare i propri con i quali lavorano ma che han meno nome e meno capaci di una echo di quel tipo. Un esempio su tutti… i vari Hofer o anche solo il quadretto piuttosto brutto di Eider presentato da Mudima…
    Stenderei poi un pietoso velo su i fantomatici “progetti” presentati dalle gallerie… abbastanza difficile riuscire a distinguerli!
    Perchè non dire che la fiera ( quella di Milano in primis) è un mercatino dove tutti cercano di vendere la maggior quantità ad un prezzo decente? Non parliamo della quantità di sconti…
    Personalmente ritengo che l’atteggiamento altezzoso e snob (di quello snobbismo povero e senza radici) dei galleristi italiani non li porta a creare una situazione all’altezza del panorama dell’arte contemporanea internazionali e delle fiere estere e mai sarà così per la mancanza di forza collaborativa e il cinismo che li imputridisce.
    A rimetterci gli artisti che però son talmente presi dalla corsa all’oro da non accorgersi.
    Mi piacerebbe vedere una rinascita delle gallerie italiane, ma siam molto lontani. Ci vorrebbe più studio, più serietà e più desiderio di costruire. E bisognerebbe che la smettessero di comperare opere di artisti noti per darsi un pregio che non si meritano e che inizino a lavorare (VERAMENTE) su gli artisti che hanno.
    Forse anche i giornalisti che scrivono articoli come questo (è un buon resoconto… ma solo buono, è ora di vederne di ottimi!) dovrebbero accorgersi di più di quello che succede…

  3. Mi permetto di raccontare com’è andata a finire la storia di quello che Nino ha definito “il quadretto piuttosto brutto di Eder presentato da Mudima”. Acquistato all’epoca in fiera da un collezionista privato, è stato da questo, due giorni fa, messo all’asta da Sotheby’s a Londra. Stimato tra i 20 e i 30 mila GBP, ne ha realizzati 29, ossia 41.600 euro e spiccioli. Risultato eccezionale per l’artista, viste le ridotte dimensioni dell’opera (50×60). Limitandoci alle mere dimensioni (visto che il giudizio sulla qualità è controverso), a cm quadro siamo ai livelli del record assoluto, che risale al 2003.

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