03 settembre 2007

biennale_padiglioni Balkan epic

 
Dall’est con furore. Giovani paesi crescono. Una ventata di freschezza dai Padiglioni dell’area balcanica. Si parla di politica, di società, dell’esigenza di un vivere comune. Albania, Bulgaria, Serbia e Romania interpretano così la Biennale…

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Spira un vento di novità da est. Come da alcune Biennali a questa parte, i padiglioni della Nuova Europa riservano sempre non poche sorprese. Si parte dal Padiglione Albanese, presso Palazzo Malipiero. Nel congegno espositivo progettato da Bonnie Clearwater, spicca l’opera di Helidon Gjergji, uno scontro tra uomo e natura, svolto con consapevolezza alla Naum June Paik, attraverso la “preparazione” fluxus di televisioni rivestite di strati di sabbia, fino a creare un cortocircuito reale e di senso e a trasformare la figurazione mediatica in astrazione. La Serbia propone, invece, la scultura di Mrdjan Bajic, scelto dall’artista Vladimir Velickovic, e selezionato dalla giovanissima curatrice Maja Ciric. Le sue opere, strazianti incontri scultorei di materiali dalle epidermidi contrastranti, di volumi dalle nature opposte, di volti traditi e corpi astratti, rivelano la desolazione di un disagio che è sociale, politico, ma anche culturale, il tentativo di ricostruire un’identità a 360 gradi che non coincida con la violenza o l’intolleranza. Ugualmente interessato al discorso sull’identità, ma con un approccio che concerne la tradizione, è Nikos Alexiou, presentato dal curatore Yorgos Tzirtzilakis. Partendo dalla sua indagine sulla ripetizione, sulle forme modulari, l’artista fa risalire la sua installazione per la Biennale ad un mosaico del X sec. a. C. che egli ha studiato per due anni e da cui ha ricavato il senso escatologico cui si deve il nome dell’installazione, The end. La solidità della Storia, della sua persistenza nel tempo si contrappone inoltre ironicamente all’utilizzo di materiali fragili ed effimeri che fanno parte della poetica dell’artista e che restituiscono del mosaico ispiratore la semplice idea platonica. Pravdoliub Ivanov, Ivan Il grande accendino di Stefan Nikolaev Moudov, Stefan Nikolaev, protagonisti del Padiglione Bulgaro, regalano allo spettatore “un posto in cui non è mai stato”, saturo di stravizi, in cui Moudov riscopre il valore della collettività, dell’incontro attraverso la convivialità e offre bottiglie di vino d’artista, Nikolaev costruisce un enorme accendino in bronzo che parodiando la torcia delle Olimpiadi, offre una fiamma eterna, mentre Ivanov gioca con l’architettura classicheggiante del palazzo, proponendo una scultura di silicone che ne asseconda i volumi e nello stesso tempo la provoca. Tra gli artisti selezionati da Minhea Mircan per il suo Low Budget Monuments (Victor Man, Cristi Pogacean, Mona Vatamanu & Florin Tudor) spicca l’obelisco all’aperto Cristi Pogacean, totem di un’arte carica di simbologie, che non ha bisogno di un contorno allestitivo, ma si trova a suo agio a briglie sciolte, lontano da costose impalcature, bensì a contatto con la natura. Ed in questo senso, la semplicità formale e la densità dei contenuti di cui si fanno carico gli artisti dei padiglioni sopra citati è un buon metro di paragone per un’arte Occidentale che soffoca nella necessità di tracciare un’apparenza sensazionale, che appiccica il contenuto a posteriori sul contenitore, che desidera stupire attraverso rocambolesche finzioni, che si contrappone all’arte malinconica, ma vivace, rabbiosa, ma intrepida dei Paesi dell’Est.

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