20 dicembre 2007

arteatro_opinioni Dispositivi della visione

 
Orthographe, Pathosformel, Limitrophy Theatre. Quando il teatro diviene il luogo d’elaborazione di una materia immaginale metamorfica e in fermentazione, e la visione si genera da dispositivi analogici capaci di produrre una defamiliarizzazione dello sguardo sulle forme...

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Da più parti e da qualche tempo si avverte, nella scena contemporanea, l’urgenza di dover sancire a livello critico un avvicendamento generazionale, con tanto di tentativi di accaparramento ed etichette da apporre a liste di nomi noti e meno noti. Libri coniano definizioni. Definizioni siglano teatri in via di definirsi. Difficile entrare nel contenzioso. Ai margini di queste elaborazioni emerge un dato interessante, qualora si guardi alla scena senza istanze categorizzanti: si assiste, da parte di alcune realtà giovani, a lavori che sanno fare piazza pulita da un lato con il pregiudizio del training attoriale, con i bozzetti dialettali di interni indolorati, dall’altro con qualsiasi patinatura glamour estetizzante, con tecniche di découpage multimediali, mettendo, in qualche modo, a margine ogni legame di continuità con i territori tecnologici dell’immagine. Appaiono in scena dispositivi analogici capaci di generare un immaginario che privilegia i processi di formazione dell’immagine e la visione teatrale vale per il potere che ha di inaugurare un altro mondo e un altro tempo. Un hic et nunc che si coniuga con un altrove. Ecco che il teatro diviene, una volta di più, il luogo di un problema della visione, qualora sia in grado di innescare un’alterazione percettiva sullo spettatore, e di mettere in gioco una diversa rete di somiglianze e differenze con il reale.
Il gruppo ravennate Orthographe, apparso per la prima volta nella Biennale di Teatro di Venezia (2005) con lo spettacolo Orthographe de la physionomie en mouvement, ha presentato lo scorso settembre in anteprima a Rotterdamse Schouwburg il nuovo lavoro, Tentativi di Volo, che radicalizza la propria ricerca di un linguaggio ibrido tra pittura, fotografia e cinema, trasformando il trattamento più cinematografico della materia visiva della prima creazione, in direzione di un uso pittorico e per brevi momenti scultoreo dell’immagine solo a patto, però, che si origini come processo di generazione delle forme attraverso i gradienti dell’informe.
Orthographe de la physionomie en mouvement - photo Pietro Castellucci
Prodotto da Spielart Festival di Monaco su indicazione di Romeo Castellucci per il progetto What’s next. A theatre generation project, e presentato in anteprima nazionale a VIE Scena Contemporanea Festival di Modena (13-15 ottobre 2007), Tentativi di Volo è una complessa macchina analogica capace di produrre e scatenare una poiesis imaginale tutta sua propria in virtù di un complesso set artificiale ideato da Alessandro Panzavolta: un dispositivo ottico costituito da una camera chiara che ospita attori e fonti luminose, lenti convergenti, e una camera oscura che accoglie gli spettatori. Questa macchina scenica produce un evento in cui l’immagine, divenuta quasi una sostanza gassosa, rappresa su una superficie-schermo, si sfalda, si vaporizza, assestandosi nell’immediato prima e subito oltre lo sfuocato. Le presenze corporeo-oggettuali sono inserite in una modulazione della luce che consiste in rapporti di espansione e contrazione, che compromettono i contorni netti delle cose. La loro opacizzazione arriva fino al punto in cui le forme si rapprendono in tracciati di luce che si espandono (e contraggono) in un fluire distillato di macchie cariche di sospensioni, come minacciate da essenze fantasmatiche e allucinatorie.
Coscienza sceno-tecnica ed elaborazione concettuale sono rintracciabili negli “studi sul corpo” della formazione veneta Pathosformel (e il nome del gruppo si direbbe warburghianamente “sintomatico”) apparsa sulla scena italiana con La timidezza delle ossa e Volta, l’uno segnalato al Premio Scenario e l’altro presentato a Drosedera FIES. Si tratta di creazioni di breve durata che conducono lo spettatore dentro traiettorie aptico-visuali prodotte da partiture a scatti, visioni discontinue e traballanti di segni non riconoscibili che pongono un rapporto di tensione tra esterno/interno del corpo. La timidezza delle ossa è un dispositivo scenico fatto di un telaio elastico, latteo, illuminato da quattro neon e luci frontali, dietro il quale movimenti, prima accennati e segmentati, si fanno via via più dettagliati: porzioni di ossa affiorano come tracce fino a ricomporre l’intera struttura scheletrica. Volta, pur muovendosi in una simile direttrice, intensifica in negativo la condizione ottica e fa del buio il luogo di un’interdizione della visione del corpo dei due performer, che riemergono sulla scena attraverso frammenti di forma, simulacri, visioni millimetriche (per effetto di una cera bianca quasi fluorescente) che demarca protuberanze e ossa.
Pathosformel - La timidezza delle ossa
Un dispositivo di calcolo è Eupalinos dell’artista bulgara Snejanka Mihaylova, fondatrice insieme a Nickolai Nickolov del Limitrophy Theatre. Dopo uno sviluppo per fasi iniziato nel 2001, Eupalinos, presentato al Festival delle Colline Torinesi, si configura come “una condizione di possibilità della visione” che dispone la scena alla sguardo delle forze elementari della rappresentazione: tempo, spazio, materia, suono. Si tratta di una congegno costituito da piccole carrucole e apparati meccanici, posti sotto la superficie di un praticabile attrezzato (210 mm x 120 mm) dal quale affiorano sottili pellicole di plexiglas e compensato, moduli stilizzati in legno che attraversano letteralmente il corpo solido della struttura grazie alle azioni silenti di un performer ricondotto alla condizione di esecutore matematico. Di fronte allo spettatore si dispone un pensiero in azione che è un dispiegarsi di potenzialità, di forze composte in un corpo urbano. La visione che si genera è il prodotto di rapporti di calcolo e proporzioni di elementi materiali in un controllato ambiente sonoro e luminoso, ma queste configurazioni portano a emersione come una linea segreta di inquietudine dell’immagine in cui la scena, interrogando la relazione tra il pensabile e il visibile, indaga il punto critico in cui i suoi singoli elementi collassano nel proprium teatrale.

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*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 43. Te l’eri perso? Abbonati!

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