14 ottobre 2008

arteatro_contaminazioni Carloni & Franceschetti

 
Creare immagini capaci di nascondere molte più cose di quello che mostrano. Esercizi di credulità e crudeltà. Uno sguardo sul lavoro Carloni & Franceschetti, videoartisti che sanno dialogare con il teatro...

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Provenienti da studi di cinema d’animazione e pittura, e insegnanti presso la Scuola del Libro e l’Accademia di Belle Arti a Urbino, i due videoartisti Cristiano Carloni (Fano, 1963) e Stefano Franceschetti (Pesaro, 1966) esplorano nei loro lavori la potenza dell’evocazione in ciò che sfugge alla volontà di uno sguardo. Dal loro incontro nel 1993 nascono La camera intorno, Urbino memoriale (primo premio al Grand Prix de la Ville de Locarno, Videoart Festival 1996), Errante erotico eretico (1998), Witness (2001), Petrolio (2001), Emergenza Limbo (2002).
Dal 1999 collaborano con la Socìetas Raffaello Sanzio, la più importante compagnia italiana di teatro contemporaneo: realizzano le scenografie elettroniche per Voyage au bout de la nuit, nel 2000 il video per Le pèlerin de la matière e Genesi from the Museum of sleep (premio Riccione TTV Performing Arts on Screen 2002) e, infine, il Ciclo Filmico (pubblicato dalla RaroVideo) della Tragedia Endogonidia che li impegna dal 2002 al 2004.
Una delle ultime videoinstallazioni, Materia grigia, presentato al Festival di Santarcangelo dei Teatri, muove dallo studio della fisiognomica, ricercando nei tratti somatici dell’individuo un’ipotetica predestinazione. Per i due videoartisti, Materia Grigia, che evidentemente allude al cervello e insinua una relazione analogica con la materia oscura, è anche un’indagine sui temi dell’allevamento, della riproduzione e dell’educazione. Carloni & Franceschetti - Materia Grigia - 2008 - still da videoNel buio della lavagna, presente come tema cruciale, si tracciano segni e correzioni. Un gessetto cade nella sua stessa polvere e viene raccolto. Riparte la scrittura e la sua negazione. La fanciulla, nel raccogliere il gessetto e guidare la mano di un bambino, personifica l’istituzione, che sembra non avere risposte ma solo ripetizioni cicliche: ciò che è incomprensibile resta tale e genera impotenza.
Se la polvere di gesso allude alla consumazione di segni grafici che hanno imparato a usare la negazione e l’invisibilità come supporto, il bambino alla lavagna appare attonito e interrogato, ha l’espressione di chi sprofonda in una frustrazione, nella delusione di una realtà aliena avvertita come enigmatica e irraggiungibile. Educare vale dunque nel suo duplice significato etimologico di avvezzare a qualcosa, ma anche di trarre fuori, allevare. La condizione qui interpellata ci riporta a livello esistenziale, a ciò che, negato da una cancellazione, continua a essere corretto oppure ripetuto in modo sbagliato, e a un livello prettamente biologico in cui l’errore, se non fosse avvenuto nel dna, non avrebbe permesso evoluzione alcuna. La sensazione è quella di varcare la soglia di un luogo della mente, come Alice nel racconto di Lewis Carroll attraversa lo specchio, si è chiamati qui ad entrare in una lavagna/cervello continuamente resettata ma ci troviamo immersi anche nell’oscurità: utero o matrice del cosmo?
Ispirato al XIII canto dell’Inferno di Dante Alighieri è invece Infero (2007). Siamo tra i suicidi, nel secondo girone. Il video ruota attorno ai sentimenti della speranza vana, del dolore, dell’angoscia. Tematiche diversamente presenti anche in Ultima scena, creato per la Biennale di Venezia 2005, che evoca il Cenacolo di Leonardo da Vinci mediante la desolazione di un litorale sabbioso cosparso di resti del passaggio umano. Un pezzo di pane, piatti e bicchieri di plastica inghiottiti e resi dal mare, resti appunto di un’ultima cena, sono corpi che appaiono e scompaiono ed emblemi del nostro tradimento politico e religioso.
Carloni & Franceschetti - Infero - 2007 - still da video
Mentre ancora obbligato all’invisibilità è lo sguardo incorporeo del Ciclo Filmico: una testimonianza videografica della Tragedia Endogonidia, opera teatrale in undici episodi. Fulcro del lavoro è il concetto d’immaginazione, intesa con Giorgio Agamben come fantasmi e modelli della memoria collettiva, connotata dunque da una forte valenza evocatrice: l’immaginazione, affermano i due autori, è il potere della mente di intensificare la presenza o l’assenza di una figura e permette di agire al di fuori di sé. Attraverso di essa il desiderio e la paura possono dare vita a rappresentazioni in grado di veicolare nuove interrogazioni, verifiche di esistenze, trasfigurazioni di stato e di segno, proprio come avviene nei fenomeni naturali e nei laboratori scientifici. In zoologia, l’immagine è l’ultimo stadio della metamorfosi di alcuni insetti che corrisponde all’insetto perfetto.

lisa cantoli

arteatro è una rubrica a cura di piersandra di matteo

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