16 ottobre 2008

RICAPITOLIAMO

 
di anita pepe

Nel senso di riassumere, riepilogare. Ma anche di ri-capitolare, rassegnarsi ancora una volta. Potrebbe essere questo il Verbo di una Manifesta le cui sfaccettature paiono accollarsi il compito di rappresentare ciascuna un pezzo di un Sistema, quello dell’arte, inguaribilmente endocrino...

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Tra le quattro proposte di Manifesta7, quella di Trento è la più biennalesca, quella di Bolzano la più espositiva e quella di Rovereto la più galleristica. A non dire del lavoro di gruppo di Fortezza, sofisticata allegoria, per concept e ubicazione, dell’asserragliarsi di un’arte democratica a parole, ma nei fatti custode di intellettualismi che aggravano il disorientamento e l’emarginazione del pubblico cui vorrebbero (e dovrebbero, visto il consistente esborso di denaro, appunto, pubblico) rivolgersi consimili rassegne. Pubblico cui non è dato di non capire, perciò preventivamente punito con la scomunica(zione), condannato a restare al di qua della parete, salvo la grazia fugace di spiare dal buco della serratura.
Un’edizione complessivamente da grande balzo all’indietro nella scelta dei lavori e nell’approccio ad alcune problematiche, sicché questa prima mela trentina-altoatesina (specificare la duplicità è obbligatorio) viene spiccata già vizza da un albero gravato di frutti, dal quale diventa arduo cogliere gli episodi di qualità che certo non mancano. Come nel percorso del Palazzo delle Poste che, pur seguendo con scolastico puntiglio un fil ambiziosamente universale (L’anima), ne sbiadisce il rouge nella tetra polvere di un impegno postdatato. Se ne esce, quando se ne esce, sfibrati, come da due Biennali di Venezia trangugiate in un colpo solo.
Luigi Ontani - Mask
Più fruibile l’ex Alumix, grazie agli artisti-curatori Raqs che ci mettono un po’ di colore e spettacolo, più qualche pennellata ludica, sdrucciolando però su tracce residue alquanto ingenue.
Il mainstream trionfa alla Manifattura Tabacchi e nell’ex Peterlini, non solo per il titolo astutamente astruso, ma per l’esplicita condivisione di alcuni trend cari ai dealer che contano, con qualche apertura in più rispetto agli altri al made in Italy. Eh già perché, in questa Manifesta italiana nella meno italiana tra le regioni, il tricolore sventola poco. E nessuno dei curatori internazionali – o dei loro consulenti locali – sembra essersi scapicollato a scivolare lungo una dorsale appenninica che di santi, poeti e artisti sarebbe stata prodiga, preferendo invece portarsi il “lavoro da casa” e spuntando candidati da fidi carnet. L’ennesimo caso di provincialismo alla rovescia?
In merito alla politica di decentramento, caratteristica di questa edizione 2008, bisognerà calcolare quanto la sfida, concettualmente stuzzicante ma logisticamente complessa, del grand tour de force abbia fruttato in termini commerciali. Saranno i numeri a dirlo, nonostante – i musei insegnano – non sempre matematica sia sinonimo di verità. Vero è, però, che la propaganda vacanziera a mezzo stampa – foraggiata spesso dagli enti locali – ha poco invitato a godere, oltre che dell’aria buona, dei paesaggi stupendi e dell’ottima cucina locale, anche di questa kermesse.
Riccardo Previdi - The Last Desire
L’ottima fatica di organizzatori e ufficio stampa è stata, dunque, concepita e recepita esclusivamente dagli addetti ai lavori? E chi sarà responsabile degli incassi eventualmente insoddisfacenti? Il solito pubblico ineducato e insensibile o, piuttosto, il solito difetto di sistema, primo fra tutti la proliferazione e il prolungamento che, di fatto, strappano alle biennali l’appeal di evento?
Per i bilanci, s’aspetta novembre. Nel frattempo, chi è senza peccato scagli la prima mela.

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anita pepe


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 52. Te l’eri perso? Abbonati!

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5 Commenti

  1. cara Pepe, a parte la prosa ridondante di cui ti avevo già scritto, la prima ad essere senza peccato sembri tu. Anche qui lanci due giudizi così, senza articolare mezzo concetto: la Manifesta è vecchia e non ci sono italiani. Cos’è il nuovo? La quadriennale? La pittura?
    Se non ci sono italiani… ai curatori non saranno piaciuti…
    o no, anzi, è il mondo intero che ce l’ha con l’Italia e non vuol riconoscere la qualità dei nostri artisti (!).
    Comunque la Manifesta a me è piaciuta molto, per l’impianto culturale complessivo, per la qualità delle opere e per l’interazione con il territorio… Argomenti di cui forse un giorno discuteremo dettagliatamente.
    Cordialmente

  2. però provate a cantarla sul ritmo de ‘la cucaracha’: la manifesta, la manifesta ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta, la manifesta, la manifesta ta-ta-tata-tata-tà!
    meno male che silvio c’è
    let him b

  3. Brava, bravissima. Come sempre. Pennellate veloci, micidiali quando necessarie, delicate e amorevoli quando è il caso. Mi piace il tuo punto di vista, è quello della maggioranza a cui si vorrebbe spacciare ogni “merda d’artista” per chissà quale grande opera con buona pace per il grande Manzoni.
    Finchè passerai piccolina e insignificante per i corridoi dell’arte, sarai l’invisibile angelo della morte che fa giustizia di mestatori affaristi e sedicenti artisti con la tua rara capacità di vedere e far vedere il re nudo. Speriamo che non impareranno a riconoscerti.
    Se hai effettivamente respirato le atmosfere che hai descritto, se mai un giorno dovessi andare per quei luoghi, mi attrezzerò di capienti cantari etruschi o magnogreci onde prevenire diarroiche visioni. Viva l’arte. Ovunque essa sia. Amen

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