29 ottobre 2008

Cinque mostre in cinque sedi. A Trieste i novant’anni della Grande Guerra

 

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Numero monografico de «La Voce» sull’irredentismoLa guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di Sua Maestà il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asperrima per 41 mesi, è vinta“. Firmato, Armando Diaz. Ecco la data fatidica, il 4 novembre 1918 alle ore 12: Trieste, insieme a Trento e ai rispettivi territori, tornavano sotto la bandiera italiana dopo oltre tre anni di guerra cruenta, tra gli altri, contro l’impero austro-ungarico. Una guerra che, condotta scelleratamente dal generale Cadorna con la folle teoria delle “spallate”, ci costò quasi un milione di morti, lasciati sulle trincee per guadagnare pochi metri di terreno, senza contare i feriti, i mutilati, i dispersi. E poi ancora, il dramma delle decimazioni, le condizioni inumane in cui i soldati erano costretti in prima linea, mal nutriti, malvestiti, al freddo, in mezzo a topi e agli escrementi. “Si sta come d’autunno, sugli alberi le foglie“, poetò Ungaretti in una sua lirica composta sul Carso. Moralmente precario, in attesa che un colpo di shrapnel o di mortaio venisse a centrarlo in pieno volto, a fargli fare la fine del commilitone che marciva, pochi metri più in là, nella terra di nessuno. Tutto questo è costata la “prima redenzione” di Trieste, che sarebbe potuta essere evitata a tavolino visto che gli Asburgo erano anche disposti a lasciare all’Italia in concessione le cosiddette “terre irredente” se essa avesse fornito il suo supporto all’intervento contro la Serbia, rea di aver assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. Ma la Triplice Alleanza era difensiva, e comunque perché non intervenire in una guerra che, in cambio di un po’ di carne da cannone, avrebbe concesso all’Italia, Paese straccione, di sedere finalmente al tavolo dell’Europa che conta? A spingere, del resto, erano gli irredentisti, gli interventisti come D’Annunzio e Mussolini, i “giovani” delle avanguardie come Marinetti e i futuristi, che volevano, fortissimamente volevano la guerra come “sola igiene del mondo”. Un modo per calciare via il passato, senza pensare (o forse sì, gioiosamente) che sarebbe stato spazzato via da una cascata di sangue. Il “ribaltone” a favore dell’Intesa diede i suoi frutti. Sono passati 90 anni giusti da quel 4 novembre del 1918. E l’anniversario della “Vittoria”, finora un po’ in sordina, viene ora celebrato a Trieste con manifestazioni in programma fino a gennaio. “L’intento – dicono gli organizzatori – non è tanto celebrativo ma di indagine storica, a più voci e su più fronti, per approfondire un momento cruciale nelle vicende della città ma egualmente fondamentale nella storia d’Italia“. In “Trieste 1918” rientrano cinque mostre in cinque sedi, oltre a dibattiti, letture, spettacoli, film e documentari d’autore. Tra le iniziative, “La posta degli irredenti. Documenti dei volontari giuliani e dalmati del Museo Postale e Telegrafico della Mitteleuropa“, con le testimonianze di Slataper e Stuparich, la mostra di foto (a Palazzo Costanzi) sui momenti di Trieste liberata. E poi ancora, divise, reperti bellici, immagini d’epoca. Col ritorno di Trieste italiana si aprì un nuovo capitolo che avrà di lì a poco nuovi risvolti tragici. Col Fascismo, con la seconda guerra mondiale, con la dittatura di Tito, con le deportazioni di massa, le foibe, il genocidio di istriani, giuliani e dalmati. Ferite che la “seconda redenzione” di Trieste con il suo ritorno all’Italia nel 1954 non è ancora riuscita a sanare. Che questa mostra sia al servizio della Verità è più di un auspicio. (elena percivaldi)






Info: 0406754068
Web:
www.triestecultura.it

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