03 marzo 2009

decibel_interviste Una montagna congelata di suono

 
Due modi diversi di esperire il mondo che spesso s'incrociano senza apparente soluzione di continuità. Il visivo e il sonoro aprono sentieri diversi del vivere e del conoscere. E infinite domande su che cosa sia reale. Ne abbiamo discusso con Daniela Cascella e Lucia Farinati, curatrici di Sound Threshold...

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Innanzitutto, che cosa è Sound Threshold?
Uno dei tanti motivi che hanno ispirato lo sviluppo del concept è stato il titolo di una celebre installazione di Joseph Beuys, ossia Voglio vedere le mie montagne (1950/71). Un’opera di forte impronta autobiografica, in cui l’artista tedesco ha ricostruito un immaginario paesaggio montano impiegando alcuni mobili della sua casa/studio a Cleves, in Germania. Il titolo riprende testualmente le ultime parole del pittore trentino Giovanni Segantini pronunciate a quanto pare il 28 settembre del 1899, poco prima di morire sullo Schafberg, in Alta Engadina. Come ha sottolineato Beuys, “The title of this work does not directly reflect what one sees. The question is raised, what there is to see”. Traducendo l’osservazione di Beuys e pensando alla dimensione acustica/sonica anziché visiva del paesaggio, la nostra domanda iniziale è stata: “What is there to hear?”.

Se Aristotele pensava che l’origine materiale della conoscenza fosse la vista, Marius Schneider immaginò l’esistenza di un suono primordiale – Ursound – che origina l’Universo. In modo del tutto diverso, un iPod introietta nell’ambiente circostante un suono estraneo, che annienta le caratteristiche acustiche del paesaggio trasformandolo in uno schermo interattivo, mobile e trasparente. Ci sono poi un cinema d’ascolto, in cui l’immagine è cercata immediatamente con il suono, e un cinema dove a contare è solo la storia raccontata. Quale rapporto tra visivo e sonoro? Che cosa ha da offrire il suono, di per se stesso?
Lucia Farinati: È difficile pensare al suono slegato dall’immagine poiché la nostra cultura è fondamentalmente una cultura visiva, determinata da un sistema di pensiero improntato sul vedere piuttosto che l’ascoltare. Pensare al suono slegato dall’immagine, può voler dire reintrodurre l’ascolto come modo ‘altro’ di pensare e percepire la realtà che ci circonda, come attitudine verso l’altro e il sé nel guardare in profondità.
Daniela Cascella: Pur se ispirato e nato in relazione a un paesaggio, il cd è in realtà una successione di tracce audio. Sono altri i paesaggi suscitati da quei suoni: paesaggi legati piuttosto a memoria e ricordi, a immaginari, invece che al semplice effetto cartolina. Spesso assistiamo a forzature marcate, soprattutto da parte di organizzatori di festival e rassegne, che quasi esigono che i concerti prevedano un elemento video. A volte invece, l’essenza del lavoro di un musicista sta tutta nella materia sonora. Il punto è che l’audience oggi (soprattutto in Italia) è molto poco educata alla dimensione dell’ascolto; manca nella nostra cultura museale e universitaria ancora prima, l’opportunità di creare spazi di ascolto.
La locandina di Sound Threshold
Con Watson, diversi sono stati gli artisti coinvolti nel progetto, da C.M. Von Hausswolf a Fovea Hex…

L.F.: La scelta degli artisti non è partita tanto da quegli elementi che accomunano le pratiche artistiche e musicali di Waston, C.M. von Hausswolf, Fovea Hex, quanto dall’analisi di un contesto specifico, quello del paesaggio trentino. Un aspetto comune sviluppato per esempio sia dal duo Hausswolf e Elggren che da Watson, è stato il rapporto tra suono e altitudine. Nel tracciare un percorso sonoro dall’alto verso il basso Hausswolf e Elggren hanno fatto riferimento al noto motto alchemico “così sopra così sotto”, mentre Watson ha immaginato una montagna congelata di suono che si scioglie in sette stadi attraverso tremila metri di habitat acustici. La parte più affascinante è stata seguire Chris durante la registrazione di alcune tracce per il brano Le Crone e rielaborare poi con Daniela i testi per il cd. Questa stretta collaborazione con Chris, mi ha fatto capire come il suo lavoro sia tutto incentrato sull’ascolto e non tanto sugli strumenti tecnici impiegati nella registrazione. Ore e ore di ascolto nel buio, per distillare in pochi frammenti l’atmosfera e lo spirito di un luogo.
D.C.: Chris, nonostante l’attitudine apparentemente realistica nel modo di riportare i suoni, lavora in realtà a un livello ben più sottile; i suoni della radura di Le Crone, captati sulla soglia tra notte e giorno, tra temporale violento e quiete del sereno, reinventano in un certo senso quel luogo, se paragoni lo stesso luogo a quello percepito dai turisti domenicali chiassosi o dai motociclisti che percorrono le stesse strade di montagna. E per fare altri esempi: i suoni che si ascoltano in La Selva di Francisco Lopez, interamente registrati nella foresta pluviale, in alcuni momenti sembrano in effetti suoni noise generati da qualche software, e se non sapessimo la storia del disco potremmo continuare a pensarli come tali. Chi dice cosa è invenzione, a questo punto?
Watson a caccia di suoni
Certo, i suoni della foresta pluviale possono ingannare, così come ogni suono della natura può sembrare frutto di sintesi se fruito al di fuori del riferimento al corpo che lo produce. E viceversa. D’altra parte, in fase di post-produzione, le tecnologie permettono livelli di editing così complessi e modalità di montaggio tali, da rendere quasi impercettibile la membrana che separa il reale dall’immaginario. Una registrazione, al di là della posizione e della scelta del luogo, è sicuramente una presa oggettiva di un dato spaziotempo. Le cose cambiano se a quella stessa registrazione ne viene sovrapposta una seconda, o se si interviene sul colore e così via. Per alcuni soundscapist il paesaggio sonoro è semplicemente il risuonare di ciò che sta loro intorno… adesso; altri invece concepiscono il paesaggio sonoro come collezione e ripensamento del paesaggio stesso attraverso la fusione di spazi e tempi totalmente diversi e distanti tra loro… Più che altro uno paesaggio mentale.

D.C.: Mi sembra una connessione impossibile da sciogliere. Le narrazioni di paesaggi sonori risalenti a periodi storici precedenti all’invenzione e alla diffusione di mezzi tecnologici capaci di registrare il suono, riportate (inventate? immaginate?) da Murray Schafer nel suo The tuning of the world sono generate da fonti narrative precise e da cronache dell’epoca (quindi documentaristiche, in un certo senso) eppure necessariamente immaginate (quindi inventate)… Più che interrogarci sul confine tra documentario e immaginazione, non sarebbe forse meglio chiederci in quali modi si riesca a trasportare e riportare la densità culturale o l’aura dei luoghi?
Il live di Fovea Hex
Un bilancio?

Assolutamente positivo da tanti punti di vista. La nostra partnership ha funzionato allegramente nell’intessere idee e percorsi al di fuori dei soliti circuiti artistici. Gli eventi hanno visto infatti un pubblico davvero diversificato, artisti, ecologisti, amanti della montagna, archeologi, o semplicemente esploratori giunti a millecinquecento metri per ascoltare le Fovea Hex e Blind Cave Salamander alla terrazza delle stelle. Stiamo parlando di artisti ben noti a livello internazionale, seppure in aree di confine rispetto a quanto va per la maggiore nel contesto dell’arte contemporanea oggi. Il riconoscimento più grande, dunque, ci è arrivato dall’intensità creativa di queste collaborazioni e dalla stima da parte di personaggi che a nostra volta riteniamo fondamentali nello sviluppo di certi discorsi creativi e critici.

a cura di alessandro massobrio

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 54. Te l’eri perso? Abbonati!


Sound Threshold. Musica e suono attraverso il paesaggio
a cura di Daniela Cascella e Lucia Farinati
Info: soundthreshold@gmail.com; www.cealp.it/soundthreshold

[exibart]

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