06 giugno 2009

Da Venezia: Padiglione Italia ’90. Ma l’impaginazione taglia la cover dello Speciale Biennale…

 

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67403Lo sfortunato caso della Famiglia Vignetta: la sinuosa Lady Immagine resta vedova del concettuale Dottor Testo, scomparso nel nulla alla vigilia della Biennale d’Arte”. Così Maddalena Fragnito de Giorgio simpaticamente ricostruisce il disguido grafico capitato al suo disegno per la cover dello Speciale Biennale di Exibart.onpaper, distribuito in questi giorni in massa a Venezia. Sotto l’immagine che campeggia sulla pagina, infatti, doveva apparire la scritta padiglione italia ’90, saltata per problemi grafici. Ma l’autrice non si è persa d’animo: si aggira anzi per Venezia “riparando” direttamente lei all’incidente, apponendo la scritta su tutte le copie che le capita di incontrare. Il disguido si è dunque trasformato in una forte azione artistica… regalando peraltro a molti lettori tanti pezzi unici!

[exibart]

22 Commenti

  1. Sorrisi e pugnalate alla schiena in laguna

    | Cultura | Luca Beatrice
    Pubblicato il giorno: 11/06/09

    Alla fine mancherà soprattutto la terrazza di Ca’ Giustinian sul Canal Grande, a due passi dall’Harry’s Bar e proprio di fronte a Punta della Dogana. Forse il posto più bello del mondo, solleticato appena da una lieve brezza serale, con il presidente Paolo Baratta gran cerimoniere, maestro del gusto, che apre una bottiglia del suo vino, invitandoti a godere fino in fondo questo panorama da capogiro, perché la bellezza sopisce ogni polemica.

    Avevo portato con me appena due piccoli libri: Fondamenta degli incurabili di Iosif Brodskij che mi consigliò Sandro Chia come il più bel racconto scritto su Venezia, e il recente romanzo di Geoff Dyer, Amore a Venezia. Morte a Varanasi, ambientato proprio nei giorni di vernice della Biennale, vertiginosa storia di sesso tra due sconosciuti in giro tra feste, padiglioni, calli. Rispetto alla critica la letteratura ha il gran vantaggio di poter confessare liberamente i propri sentimenti senza il rischio di essere guardata con sufficienza. Il personaggio di Dyer si interroga come possa essere considerata arte la foto, stampata grande, della nonna dell’artista mentre spinge il carrello al supermercato. È una cosa che mi chiedo anche io da tanto tempo, infatti…

    Pelo sullo stomacoe sangue freddo
    Quando abbiamo cominciato a pensare a cosa sarebbe mai stata la “nostra” Biennale di Venezia, Beatrice Buscaroli e io, ci sono venute in mente alcune parole come sogno, bellezza, ideale, romanzo, nostalgia. Realtà no, non c’era. Niente nonna, niente carrello, niente tristezza, quest’anno proprio no…

    Forse per questo la mostra sta incontrando i favori del pubblico, strabordante di giovani le due Tese delle Vergini fin da giovedì mattina, nonostante gli addetti ai lavori ci abbiano fatto il pelo e il contropelo. Più o meno la stessa proporzione tra chi è libero e guarda con gli occhi e chi, condizionato dall’ideologia, per vedere usa le orecchie. Il Leone d’oro alla pazienza proponeva da queste colonne Alessandro Gnocchi, supponendo il nostro fastidio ai continui attacchi da manca più che da destra. Indubbiamente un po’ di sangue freddo e pelo sullo stomaco ci vuole, ma l’occasione di un’esperienza del genere non ha uguali. Invidia a parte, quanti si sarebbero venduti la madre per stare al nostro posto?

    Di episodi divertenti, repentini sbalzi d’umore, attacchi d’ansia da prestazione, se ne potrebbero raccontare a volontà, soprattutto durante l’allestimento – magistrali le soluzioni inventate dagli architetti della Biennale – al punto che da curatore tendi a trasformarti in psicoterapeuta. Indimenticabili per sempre saranno le visite personalizzate alle giornaliste, categoria terribile di signore perennemente incazzate col mondo, disposte a tutto pur di sapere ciò che non si può dire, di sottrarti un’espressione strana, beccarti in un momento di difficoltà.

    Alcune di loro si scatenarono fin dalla famosa lista degli artisti, contando sulla complicità di qualche pirla (uno su venti c’è sempre, è matematico) incapace di tenere il segreto. La stessa te la ritrovi che sballetta le proprie (dis)grazie tra i padiglioni una settimana prima dell’inaugurazione, anche se l’avevi bellamente mandata a stendere davanti a tutti: alle pareti ci sono forse quattro quadri, lei ha già il suo giudizietto in tasca che infatti trascriverà con lo stile da maestra elementare sopraggiunta giusto per farti perdere tempo.

    Abbronzaturaal Lido
    Il giorno prima dell’apertura, mentre ritocco l’abbronzatura al Lido, arriva la telefonata dell’ufficio stampa a precettarmi per accogliere Natalia Aspesi di Repubblica che vuole vedere prima di tutti. Fossi matto a lasciare la spiaggia col sole che c’è. Ci mando la mia assistente Corinna, lei sì gentile e paziente. Mi riferisce di una signora affabile e curiosa, che chiede e si informa, parla a lungo con Nicola Bolla, medico oculista oltre che artista, il quale la consiglia e le propone di visitarla. Lei se ne va tutta contenta e felice. Non basta a evitare la stroncatura, il giorno dopo. La povera Corinna è in crisi, pensa di aver sbagliato qualcosa. Ma dài, Repubblica usa lo stesso metro di giudizio, che si tratti di cultura o di politica: se non sono loro a fare sarà comunque una schifezza.

    Stesso motivetto con Anna Detheridge del Sole 24 Ore. Mi inchioda un’ora al Padiglione, prende appunti, le rivelo alcune linee guida della mostra, parliamo a lungo della differenza tra approccio iconografico (il nostro) e iconoclasta (di Birnbaum), della matrice cattolica nell’arte italiana. Alcuni giorni dopo ci viene elegantemente attribuita «truculenza politica», e forse bisognerebbe ricordare alla signora dall’esotico cognome che tali aggettivi si abbinano ai massacri di Milosevic, non al lavoro di due curatori.

    Non sarà l’espressione truce di Ester Coen, ancora di Repubblica, né il cipiglio dotto ma artefatto di Arianna Di Genova del Manifesto a scalfire il piacere di queste giornate. E di queste serate, con cene, feste, incontri, risate, simpatia. Dopo tanti anni venti artisti italiani alla Biennale di Venezia (con quelli di Birnbaum sono trenta, e se aggiungiamo altri dieci della “mostra secessionista” a Ca’ Pesaro fanno quaranta) portano una ventata di ottimismo che non si vedeva da tempo. Soprattutto non si vedeva quando al governo c’era la sinistra. Come ha scritto sempre sul Sole 24 Ore Marina Mojana, abbiamo fatto sistema. Di questo si sarebbe potuto e dovuto parlare di più.

    Appena in tempo a ultimare i cambi d’abito, ahimé la Biennale finisce. Ecco il giorno tanto atteso dell’inaugurazione ufficiale, quello dove ti giochi il futuro e lo sai, altro che giornalisti. Il ministro Bondi sembra felice, la mostra gli piace, c’è un casino di gente, si cammina a fatica. Neppure in tempo di finire i discorsi ufficiali e si scatena il previsto temporale. Ma non saranno certo due gocce d’acqua a fermare il rock and roll, e infatti Syria e Andy cominciano a suonare dentro l’opera di Marco Lodola, mentre si aggirano Lucio Dalla e Red Ronnie, Cristiano Godano dei Marlene Kuntz e Gianni Maroccolo. Good Vibrations.

    Yoko Ono cadenell’acqua alta
    Solo un attimo prima di fissarci negli occhi languidi a San Marco, io e la Beatrice, e la Biennale finisce. Manca giusto la consegna dei Leoni d’Oro, vivacemente contestato quello a Yoko Ono, perché i fans dei Beatles non dimenticano. Seguono tromba d’aria nel Trevigiano, acqua alta in piazza (assai rara in giugno), e nemesi imprevista di un ruzzolone della stessa Ono a pochi passi da Ca’ Giustinian.

    A tavola non c’è la sensazione dell’ultima cena ma di una festa che ciascuno sente di meritare. Tutti brindano e fanno discorsi: il presidente Napolitano, il nobile Baratta, il simpatico Daniel Birnbaum, il colto sottosegretario Franco Giro che a casa di Cacciari osa metterla sul filosofico.

    Alla fine tocca a noi: che dire? W l’Italia. Il Padiglione Italia c’è, è presente. Il tempo si è rimesso al bello, Yoko Ono è andata a dormire, c’è la luna piena sulla terrazza del Canal Grande. Ancora un bicchiere, peccato svegliarsi domani, con le valigie da fare.

  2. Caro luca,

    sei proprio sicuro di essere tu la persona libera e gli altri tutti offuscati dall’ideologia?

    Certo. sei forte e vai controcorrente, ma, tu gli occhi li hai per vedere quanto il tuo padiglione sia caotico e senza senso. e a volte proprio deludente.

    Il padiglione piace a chi non ha avuto la possibilità di raffinare un gusto estetico non dico eccellente ma neppure mediocre. a chi non sa il perchè delle scelte.
    E poi ti assicuro che la maggior parte delle persone di buon senso non si venderebbero la madre per stare al tuo posto, probabilmente non venderebbero neppure una matita consumata per essere come te.. perchè essere come te e faticoso e senza certezze, perchè le persone famose che ti piacciono tanto sanno pensare solo al proprio tornaconto e in realtà per loro tu vali quanto puoi restituire a loro in immagine. E basta.

    Se questa è libertà dimmelo tu.

  3. Davvero commovente questo articolo…pubblicato su Libero immagino. Solo in Italia un curatore può autocelebrarsi sulla carta stampata. Ma Beatrice si è dimenticato quando affermava ai quattro venti che lui lavorava solo col privato e detestava la politica al pari di chi si confrontava con le istituzioni per provare a cambiare qualcosa. Coerenza ci vuole..la coerenza genera rispetto.

  4. ma beatrice usa libero come diario personale e per autopromuoversi?

    Ho dato un0occhiata ai suoi articoli ed è proprio così.

    Il mondo dell’arte ride di lui e lui non se ne accorge

  5. Ma che bel gallo sulla monnezza!
    Se la canta, se la suona e si da anche le pacche sulle spalle.
    Ma che bell’esempio di giornalismo!
    Complimenti, solo Libero può dare spazio a tale spazzatura.

  6. i favori del pubblico??
    ragazzi qui c’è veramente il delirio1
    se per pubblico s’intende mamma, papà e nonni, allora siamo tutti d’accordo: è ovvio che ogni familiare stravede per il proprio rampollo e compiacente lo incoraggia.
    ma se per pubblico s’intende il resto, tra cui oltre agli appassionati, anche gli studiosi, gli storici, gli addetti ai lavori, i galleristi, ecc ecc, i commenti sulla mostra curata dal nostro “sorcino” sono stati altri. quello che maggiormente è ricorso è stato: “vergognoso” (il padiglione e quindi il suo contenuto).
    Luca, per favore, smettila di parlare solo con mammà!!!

  7. “Soprattutto non si vedeva quando al governo c’era la sinistra”..scrive Luca Beatrice.
    vorrei sapere cosa ne pensano quegli artisti tipo Galliano che hanno sempre considerato la sinistra fulcro della cultura. grazie

  8. ma un artista, uno solo che ci dica cosa ne pensa di tutto questo. coraggio. o siete così concentrati su voi stessi da non accorgervi quanto questa biennale vi abbia danneggiato?

  9. e una recensione del padiglione italia seria?
    qualcuno che abbia il coraggio di farla ci sarà pure!!
    vorrei una visione onesta

  10. Purtroppo a oggi ancora non sono apparsi articoli critici (nel senso greco del termine) sul padiglione italia del 2009, né su riviste specializzate, né su quotidiani.
    Rari esempi come Ester Coen e Francesco Cascino non bastano a colmare quest’ambigua mancanza d’interesse sull’argomento.
    Gli ‘addetti ai lavori’ che ricordo correre su e giù come pazzi tra i vari opening della biennale dove sono? Cosa pensano?
    Siamo tutti complici silenziosi di un sistema di controllo/autocontrollo più sottile di quello che tendiamo ad ipotizzare, o le vacanze sono tornate ad essere lunghe tre mesi?
    Fra questi interrogativi consiglio la lettura di:

    http://www.flashartonline.it/interno.php?pagina=articolo_det&id_art=362&det=ok&titolo=PADIGLIONE-ITALIA:-PROVA-GENERALE-DI-ORDINE-NUOVO?

  11. I sistema artistico italiano è peggiore della mafia, Beatrice è visto come un traditore, un infame, ha osato disobbedire alla cupola che va da Patrizia a Giancarlo.
    I picciotti stanno zitti, non si vogliono fare scoprire. Venite fuori, su! Scrivetele queste critiche sulla biennale!

  12. ho letto l’intervista di Luca. Mi chiedo con quale faccia la gente “dell’arte contemporanea” si presenta come aperta, tollerante.
    Personalmente mi sono fatto i 3 chilometri di calvario attraverso l’arsenale, solo gli ultimi 200 metri, gestiti da B&B erano strutturati, ordinati, guardabili, decenti. Il resto sembrava un vecchio film di Sordi degli anni 70, sempre la stessa roba da 30/40 anni.

  13. Bigfoot non permetterti di usare questo tono con me…disperati sono quelli che scrivono scempiaggini tipo che Beatrice, poverino, è uno anti-sistema

  14. eheheh! ho fatto segno, leggiti i post precedenti, “il mondo dell’arte ride di lui”. chi sarebbe sto mondo se non il sistema? Quella miriade di piccoli curatori allineati all’ortodossia contemporanea dei MAC etc…

  15. Su toni che possono essere ironici ma più rispettosi riprendo a discutere caro Big Foot tuttavia continuo a non capirti.Il sistema dell’arte italiano dalla fine degli anni ’80 ad oggi, per dirla in estrema sintesi, è stato caratterizzato da un lato dagli omologati e politicamente corretti linea neio concettuale e, dall’altro, dal versante biecamente mercantilista che in Beatrice ha avuto indubbiamente l’esponente più visibile. Aspetti in apparenza diversi ma assolutamente speculari di un sistema malato. Esiste però una “zona d’ombra” per dirla con parole del bravo e sottovalutato Mario Perniola di critici ed artisti che hanno permesso con il loro lavoro tenace di dotare di un senso ciò che facciamo. Loro sono gli anti-sistema…certamente non Beatrice

  16. Caro X, non ci siamo! L’opera d’arte è un manufatto che possiede un valore intrinseco. L’arte intesa come pensiero è immateriale e necessita di un sistema per la sua valorizzazione. L’arte come pensiero non può vivere senza un sistema complesso di curatori, musei e cospicui finanziamenti pubblici (o vantaggi fiscali). All’opera d’arte invece serve solo un ammiratore.

  17. Il signor Perniola vende i suoi pensieri a 18,50 euro, ma ci viene a predicare di lavorare gratisssss… u signurrrr

  18. Quando l’obiettivo è solo provocare meglio lasciar perdere…ma chi ha detto che l’opera può fare a meno di un sistema? Il problema semmai e come questo sistema agisce

  19. “ma chi ha detto che l’opera può fare a meno di un sistema?”
    Lo dico io e lo dimostra l’immenso patrimonio artistico. Alle piramidi d’Egitto non serve nessun “sistema”. Il XX secolo dimostra che l’arte fa a meno del sistema e il sistema fa a meno dell’arte.

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