20 dicembre 2009

COGLI LA GRANDE MELA

 
Una nuova immagine dell’Italia, finalmente lontana da quella dell’emigrante con la valigia di cartone. Resoconto (e difficoltà) di Renato Miracco, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di New York, alla conclusione del suo biennio. Un’intervista che è la prima di una serie di colloqui attraverso i quali scopriremo il lavoro, le strategie, le scelte dei direttori di alcuni tra i più attivi e interessanti Istituti Italiani di Cultura. Un vero e proprio viaggio fra i rappresentanti all’estero della cultura del Belpaese...

di

Partiamo con una domanda soft:
il ruolo degli Istituti Italiani di Cultura oggi, secondo Renato Miracco?

Domanda da 10 milioni di dollari!
Credo che l’istituto debba, in una maniera totalmente nuova, promuovere la
cultura italiana. Cultura non esclusivamente legata al passato. Il nostro
compito è quindi essere il ponte fra le eccellenze contemporanee del Paese
ospitante e quelle italiane nello stesso. Oltre a ciò, dobbiamo creare delle
premesse affinché le eccellenze tricolori trovino un tessuto che le sostenga e
le promuova. Quindi, l’adattabilità e la creatività devono essere la
caratteristica principale dell’Istituto di cultura italiana all’estero.

E invece?
Invece – fuor di polemica – spesso
gli istituti ricalcano vecchi modelli o propongono una vecchia Italia che ormai
non c’è più. Magari legata all’emigrazione degli anni ’20…

Nello specifico, la sua
strategia a New York?

Tentare, e credo che ci siamo
riusciti, di avere un rapporto propositivo paritario rispetto alle istituzioni
americane. Questo con me è stato anche abbastanza facile, essendo io curatore
di alcune esposizioni fatte con la New York University, il MoMA o il Met, come
la grande mostra su Morandi. Ora siamo davvero presi sul serio da queste
istituzioni e da altre come la Morgan Library.

Quale il posizionamento della
cultura italiana a New York?

Credo che l’italianità crei sempre
moltissima curiosità. Abbiamo una credibilità istintiva ed emozionale
incredibile. Ciò di cui abbiamo bisogno è guadagnare una credibilità in termini
di fattibilità.

Renato MiraccoIn che città ha lavorato
precedentemente?

Ho avuto la fortuna di viaggiare
moltissimo: sono stato guest curator per la Tate Modern, dove la grande mostra
di Burri-Fontana-Manzoni è rimasta allestita per un anno, attirando oltre tre
milioni di visitatori. Precedentemente sono stato in Australia, a Shanghai, in
Francia e ancora a Londra (presso la Estorick Collection), tutte cose
meravigliose. Ho avuto la fortuna di vedere tantissime realtà differenti.

Come si è mosso per “scoprire”
la cultura italiana a New York? Ha visitato studi di artisti, mostre, si è
avvalso di collaboratori?

Avrei voluto avere collaboratori,
ma la struttura non me l’ha permesso. Comunque, la cosa importante è “sporcarsi
le mani”. Non si deve sentire parlare di un residence, di uno studio, si deve
andare a vederlo. Dell’arte non si può parlare: l’arte va vista, va vissuta,
assaporata, mangiata e digerita. Sono stato sempre molto contento di andare a
Williamsburg o a Dumbo (anche sabato o domenica) perché porta a rendersi conto
di dove l’arte stia andando. E non potresti capirlo guardando dei libri o
sfogliando delle riviste: devi andare là guardare, parlare con l’artista…

L’Istituto che spazi espositivi
ha?

Quando sono arrivato c’era solo un
piccolo spazio dedicato alle mostre. Poi, con l’aiuto di sponsor, abbiamo
acquisito tre piccole gallerie. E fanno quattro adesso che abbiamo aperto – con
una mostra di Tina Modotti – una nuova galleria fotografica, grazie al sostegno
di Giulia Ghirardi Borghese. Ogni mese vi sarà un nuovo fotografo italiano. La
possibilità di avere più mostre contemporaneamente crea energia.

Capitolo budget…
La situazione dei budget è molto
dolorosa. Anche se non spetta a me farlo, credo debba essere sollecitata una
nuova legge sugli Istituti di Cultura e sui loro finanziamenti. L’identità di
un Paese si vede dalla sua cultura e questa non deve essere solo gestita dalle
Regioni, ma deve essere centralizzata, altrimenti si promuove solo il piccolo
territorio. Tornando a noi, siamo in un palazzo non restaurato, che quindi ha
un costo di mantenimento altissimo. Abbiamo 450mila euro per tutto l’anno:
manifestazioni culturali, sei stipendi, maintenance dello stabile, tutto…

Il logo dell'Istituto Italiano di Cultura di New York
Ha appena pubblicato un
compendio degli artisti italiani a New York. Di che si tratta?

Andando negli studi ho incontrato
moltissimi artisti italiani. E mi sono sorpreso della non esistenza di una
pubblicazione su tutto questo fermento. Se vogliamo è uno strumento banale, un
piccolo vocabolarietto per gallerie, artisti, curatori, concepito con la
collaborazione di Terna, della principessa Borghese e di Charta…

La sua avventura di direttore
volge alla conclusione. Quali progetti lascia in dote all’Istituto?

L’anno del Futurismo e di Galileo.
Per la prima volta l’Istituto collabora a un grande convegno sul Futurismo con
Columbia e New York University. Poi collaborazioni già aperte con il MoMA, il
Met e col gruppo Performa di RoseLee Goldberg. Quanto a me, ho deciso di
restare in America e mi vengono in mente i versi di Ezra Pound: “Quello che
veramente ami rimane, il resto è scorie, quello che veramente ami, non ti sarà
strappato, quello che veramente ami è la tua eredità
”. E sono felice di
avere fatto quello che ho fatto, perche l’ho fatto per il mio Paese.

a cura di micaela giovannotti

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 61. Te l’eri perso? Abbonati!


Istituto Italiano di Cultura
686 Park Avenue – 10065 New
York
Info: tel. +1 2128794242; fax
+1 2128614018; iicnewyork@esteri.it; www.iicnewyork.esteri.it/IIC_Newyork

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