11 luglio 2010

TUTT’ ‘E COSE

 
Intervista con James Brett, colui che ha fondato e dirige il Museo di tutte le cose in quel di Londra. 1.000 metri quadri per 200 opere. Il filo rosso? La cosiddetta “outsider art”. Ora in mostra a Torino...

di

“Ti dirò un segreto: se chiami
un luogo museo, finirà per esserlo. Se parli di qualcosa come fosse reale, lo
diventerà”.
The
Museum of Everything: un tempo caseificio, poi studio di registrazione, ora
“museo di tutte le cose”. 1.000 mq suppergiù, oltre 200 opere ad abitarli,
tutte o quasi di artisti che artisti consapevolmente non sono.

È l’unico spazio espositivo
pubblico – a Londra come nel mondo – interamente dedicato all’outsider art
, produzione marginale,
autodidatta, non convenzionale, che poco condivide con i circuiti creativi e
distributivi dell’arte mainstream. La quale, “per fare un’analogia, è molto
più vicina al teatro amatoriale che al recitare. Una compagnia amatoriale si
educa, perfeziona ed esibisce dichiaratamente in funzione di un pubblico; la
recitazione pura è altra cosa, è espressione urgente e spontanea di un bisogno
di comunicare. Prescinde da qualunque corso serale di teatro. Si fa di pancia,
e basta
.

A parlare è James Brett, fondatore
e deus ex machina del progetto The Museum of Everything, creatura museale tanto
naïf quanto drastica nel dare nuova forma alla nozione di museo d’arte
contemporanea: “Il punto è che il 90% dei lavori qui esposti non è fatto per
il mercato, è fatto perché doveva essere fatto. L’artista migliore fa arte
perché questa deve essere fatta. Un particolare dell'allestimento del Museum of Everything di LondraNon so come funzioni in Italia, ma qui a
Londra l’artista è estremamente conscio della propria audience e il dialogo con
il mercato è parte integrante dell’arte che produce. Damien Hirst, i fratelli
Chapman, Tracey Emin, tutti loro hanno una conversazione diretta con chiunque
si confronti con il loro lavoro; niente di più remoto per gli artisti in mostra
al Museum
”.

Tutto questo ha inizio anni or
sono con l’acquisto accidentale di alcuni artwork
– non proprio esemplari d’arte
contemporanea – destinati alla collezione privata di Brett, cui rinomatamente “non
piace mai niente
”.
Lentamente prende forma l’idea di farne materiale d’esposizione per un pubblico
più ampio.

Precipitosamente il concept
diviene sostanza: tre mesi concludono l’allestimento. Due le ragioni. L’arte
contemporanea avrebbe altre sembianze se, tanto sfacciata, non avesse attinto a
opere e motivi di detta secret art
: le bambole eroticamente mozzate di Cindy Sherman rendono grazie alle ceramiche di Morton
Bartlett
, che fu
scultore, sarto e ritrattista del suo immaginario familiare privato, popolato
da mannequin

in pre-adolescenza. Altrettanta devozione professano gli acquerelli di Marcel
Dzama
per i fairytale pastello di Henry Darger.

E la gente dovrebbe saperlo: “Molti
dei lavori selezionati – poco rintracciabili altrove – sono parte di una
categoria disomogenea rispetto a quella canonica di arte contemporanea, e
questo fa sì che se ne sia diffusamente all’oscuro. Perciò il Museum vuol
essere primariamente un concetto, costruito sull’idea che qualunque cosa possa
essere inclusa ed esibita nell’ambito di una crociata di eliminazione delle
categorie tradizionali d’appartenenza artistica
”.

A tale scopo la convenzione con
Frieze Art Fair 2009 e il richiamo all’ordine di curatori inconsueti: “Volendo
congiungere il progetto al mercato d’arte contemporanea, ho chiesto ad artisti
e addetti ai lavori che ne compongono le fila di valutare la collezione e
spenderci due parole
”.

Così, su lapidario suggerimento di
Ed Ruscha
e Nick
Cave
e Arnulf Rainer et similia sono accorse 25mila persone in
tre mesi, 25mila avventori che assalgono voraci una exhibition
fatta di artisti universalmente
sconosciuti. O quasi. Opere del Museum of Everything di James BrettTutti selezionati con un criterio stentatamente
machiavellico: “Semplicemente perché ci piacciono. E nonostante alcuni non
siano certo tra i miei preferiti, c’è qualcosa di eccezionale che li riguarda.
È sempre stata ferma la volontà di includere uno o due artisti più rinomati – è
il caso di Darger – purché fossero discreti nell’integrarsi in un group show
organico, compatto, idealmente anonimo
”.

Autoritratti di ingenuità
guerrafondaia, mementi di tragedie, Myrninerest lo spirito guida, ex-mogli
promiscue da disegnare, numeri e ancora numeri. Parafrasando: gli artisti Alexander
Lobanov
, George
Widener
, Madge
Gill
, Alfred
Jensen
, Prophet
Royal Robertson
,
altri e altri ancora.

James Brett ha origini da regista,
parla di amore senza senno per l’Art Brut di Carlo Zinelli
e governa il Museum “come se
fosse un film: i momenti strutturali essenziali sono inizio ed epilogo, sicché
il percorso fisico dell’esposizione preleva il pubblico, lo conduce altrove e
infine lo restituisce a se stesso
”. Oppure al minuscolo bookshop, ove campeggiano cataloghi
e feticci-opera di Marc Jacobs
a favore del Creative Growth Centre di Berkeley.

The Museum of Everything ora s’è
messo in viaggio, per un iter di presentazioni europee in via di definizione e
che in Italia, a Torino, ha ricevuto battesimo: la Pinacoteca Agnelli dà
alloggio all’exhibition londinese, “perché sai, prima di avviare un progetto
se ne valuta il potenziale riscontro; ebbene, ogni nostra verosimile attesa
stata travolta. La Pinacoteca aveva già manifestato interesse a esportare lo
show in precedenza, quando l’idea di renderlo itinerante sembrava ancora mancare
di concretezza. Adesso perché esitare?
”.

Brett confessa un amore datato
2007 per l’istituzione torinese. A muoverlo il vernissage della rassegna Why
Africa?
: “Ero
impressionato dalle scelte espositive, impressionato dalla collezione
permanente, impressionato da chi ne era artefice. Le Watts Towers di Simon Rodia, capolavoro di Art BrutLa mostra e il suo contesto
mi hanno scortato a lungo, tanto da aver sempre immaginato che se il Museum
fosse andato all’estero, è qui che avrebbe per primo albergato
”.

E poi l’Italia di queste cose è
povera, la tradizione è un’ingombrante signora e ai dettami di un’arte severa
James Brett obietta: “Le cose migliori sono quelle che generano libertà. Al
Museum ho preteso che non vigesse alcuna regola, affinché il pubblico si
privasse di ogni vizio prospettico o valutativo; la stessa ambizione avrà la
Pinacoteca, nonostante la struttura formale dell’exhibition muterà parzialmente
in relazione alle necessità del luogo
”.

Se a Londra lo spazio espositivo
preesistente ha sillabato autorevolmente su cosa fare delle opere, a governare
Torino è invece la piena autonomia di costruirne integralmente uno. Purché
riesca nell’intento: “Il ciclo vitale culturale e sociale in cui l’umanità
si trova sta approdando a un momento storico in cui la gente per delle mere
idee non spende più. Credo che il regno dell’arte concettuale stia
disperdendosi. E credo che, fiduciosamente, ci stiamo avviando verso qualcosa
di più emotivo: l’arte che il Museum propone è un feroce vettore di emozioni,
tanto che il pubblico in visita ci congeda sorridendo. La ragione per cui
voglio che la gente conosca questi lavori è che tutti possono realizzarli.
L’arte non è riservata a chi la produce, è creatività ed espressione, la
maniera più valida e vitale di manifestarsi: dunque non è questione di volersi
ascrivere dal macrocosmo commerciale, è tutto l’intento a differire. Questa
arte è fatta privatamente, per se stessi nella forma di diario. Per nessun
altro. E questa è l’arte che mi piace, dove troneggiano anonimato e scoperta, i
cui artisti muoiono in sordina o spesso vivono nella disabilità fisica e
mentale. La domanda è: sanno di stare creando un’opera d’arte? E qui le cose si
complicano
”.

Qui le cose si
complicano, in effetti…

articoli correlati

La
recensione della mostra

Why
Africa?
alla Pinacoteca Agnelli

L’arte
Fuori cornice secondo Dal Lago e
Giordano

a cura di marina calvaresi


dal 31 marzo al 29
agosto 2010

The Museum of Everything

Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli

Via Nizza, 230 (zona Lingotto) – 10126 Torino

Orario: da martedì a domenica ore 10-19

Ingresso: intero € 7; ridotto € 6

Catalogo Electa

Info: tel. +39 0110062008; fax +39 0110062115; info@pinacoteca-agnelli.it; www.pinacoteca-agnelli.it

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1 commento

  1. Apprendo ora di questa grande cosa, e mi duole che non credo di riuscire ad andare a Torino.
    Comunque è un discorso che mi coinvolge da sempre, e penso che apra orizzonti da vertigine, quando si complica, ma più semplicemente invita a fare attenzione alla bellezza in agguato che dice Borges.
    Sì, Cose importanti.

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